The Project Gutenberg eBook of Le monete dei possedimenti veneziani di oltremare e di terraferma descritte ed illustrate da Vincenzo Lazari

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Title : Le monete dei possedimenti veneziani di oltremare e di terraferma descritte ed illustrate da Vincenzo Lazari

Author : Vincenzo Lazari

Release date : October 10, 2008 [eBook #26866]

Language : Italian

Credits : Produced by Piero Vianelli

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LE MONETE DEI POSSEDIMENTI VENEZIANI DI OLTREMARE E DI TERRAFERMA DESCRITTE ED ILLUSTRATE DA VINCENZO LAZARI ***

Produced by Piero Vianelli

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Sono stati attribuiti i corretti accenti gravi ed acuti, nel testo
originale tutti acuti.
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[Copertina]

[T0] LE MONETE DEI POSSEDIMENTI VENEZIANI DI OLTREMARE E DI TERRAFERMA DESCRITTE ED ILLUSTRATE DA VINCENZO LAZARI.

Venezia.

A. Santini e figlio tipografi-editori.

MDCCCLI.

[Testo]

[T1] AI CULTORI DELLA STORIA VENETA.

Imprendo a svolgere una materia che può dirsi rimasta finora una terra incognita ai più pazienti eruditi. Le monete de' possedimenti di Venezia, comeché ramo importantissimo della patria numismatica, cedettero d'ordinario il campo alle monete della metropoli, come per la storia di quella maravigliosa Repubblica andò quasi dimenticata la storia de' singoli paesi che le furon soggetti.

Gli scrittori che consacrarono con amore operoso il loro ingegno allo studio difficile della veneta numografia fusero in essa quella delle colonie, non s'avvedendo forse come per tal maniera si rendeva intralciata la storia nummaria di Venezia unificandola con quella di province e di città che derivavano da altri stati, a cui prima appartennero, sistemi monetarii affatto diversi dal sistema della dominante. Angelo Zon aveva bensì, prima d'altri, sceverato dalle monete di Venezia quelle de' suoi possedimenti; ma il costui lavoro, colpa il brevissimo tempo concedutogli ad occuparsene, riescì non sempre esatto, spesso mancante, massime nella parte che aveva peculiare riguardo alle coloniali.

I decreti che allo stampo di queste ultime si riferiscono, ed altri documenti che vi hanno più o meno immediato rapporto, meritavano di venir tratti dalla polvere degli archivii, e pubblicati ad illustrazione de' risultamenti di quelle indagini che tanto s'intrinsecano nella storia commerciale e politica di Venezia. Studiate prima coll'occhio del critico e colla bilancia dell'orafo le monete ch'era mio intendimento illustrare, nelle raccolte che ne vanno più doviziose, in quella cioè che Teodoro Correr legava alla patria e in quella che dal Pasqualigo passava al Consiglio de' Dieci e più tardi alla Marciana, mi volsi a frugare nell'Archivio Generale i decreti e le tariffe ed ogni altra maniera di documenti che valessero a recar luce al bujo sentiero ch'io m'ero accinto a percorrere. Nel 1849 i libri della zecca nostra conservati in quel gigantesco deposito di patrie memorie mi fornirono copia de' documenti bramati; e credetti rendere vero servigio agli studii storici ed economici col pubblicarli a corredo del presente libro. Né le sciagure che si aggravavano sulla mia patria bastarono a togliermi a quelle pacifiche indagini in cui trovavo conforto del molto dolore che straziava me impotente spettator dell'eccidio del mio paese. Molti di questi studii furono condotti fra il lugubre tuonar del cannone nell'ultimo assedio che strinse questa cara città, grande e maravigliosa finanche nelle sue sventure.

Ma non soltanto ai nummi delle colonie della Repubblica ho consacrato le veglie mie; lauta è altresì la messe d'illustrazioni che mi fu dato raccogliere alle monete della metropoli. Formeranno queste l'oggetto di ben maggior lavoro, del quale il presente non è che un saggio, e a cui m'accingerò con alacre volontà se mi sarà dato modo d'intendere a cosiffatti studii nell'avvenire, se peculiari circostanze non mi violenteranno ad abbandonare per sempre queste cure dilette alle quali sperai, e non dispero, poter consacrare la vita.

Terrà dietro, fra non molto, a questo libretto una serie di tavole incise, ove saranno accolti i disegni de' pezzi qui illustrati, delle quali s'è già affidata la esecuzione ad abilissimo artista.

Ben lontano dall'essere intollerante della critica, di quella critica intendo che si fonda su' fatti e non folleggia ne' campi della imaginazione, accoglierò con grato animo le osservazioni che convalidassero od infirmassero le opinioni da me seguite, o da me primo abbracciate. Giovane d'anni e di studii, invoco la critica severa per illuminarmi e correggermi se alcuno s'avveda abbisognar me di lumi e di raddrizzamento nel cammino da me battuto. Ma chi vorrà onorare il mio qualsiasi libro de' suoi riflessi per convincermi di qualche errore in cui io possa essere incorso, mi trovi cattivo critico, inesperto erudito, ma sappia ch'io non ho mai scientemente falsata la verità.

V. L.

[T1] PREFAZIONE.

Prima che delle monete battute da' Veneziani pei loro possedimenti di oltremare e di terraferma io faccia parola, credo opportuna cosa il premettere un rapido cenno della divisione naturale e politica di que' possedimenti stessi; senza però estendermi in minuti particolari che tornerebbero inutili allo scopo nostro, e solo limitandomi a quelle generiche divisioni che agevolino a' lettori la netta intelligenza di questa operetta, e giustifichino la classificazione delle monete che andrò illustrando.

Comprendeva la DALMAZIA quel territorio che oggi costituisce i due circoli di Zara e di Spalato, conterminato a tramontana e ad oriente dai Monti Velebich, dalle Alpi Dinarie, e dalla Erzegovina, bagnato a ponente ed a mezzogiorno dal mare Adriatico; nonché le isole che si protendono lunghesso il suo litorale e quelle che sorgono nel Quarnero, delle quali le maggiori sono Veglia, Cherso, Arbe, Pago, Brazza, Lesina e Curzola.

Le coste marittime confinanti a maestro colla piccola Repubblica di Ragusa, a scirocco bagnate dalle acque del golfo di Lepanto, formavano l'ALBANIA. Della qual provincia la più bella e maggior parte toglieva a Venezia l'impeto struggitore de' Turchi, restringendone i possedimenti a quel breve territorio marittimo che da Castelnuovo va sino a Lastua, al quale rimase il nome d'ALBANIA VENETA, assumendo la parte occupata dagli Ottomani quello d'ALBANIA TURCA.

Le isole Jonie, la Morea, l'Attica, Negroponte e parecchie isole dell'Arcipelago costituivano il LEVANTE VENETO. A cui si aggiungeva il reame di CANDIA, e più tardi quello di CIPRO.

Il nome d'ITALIA VENETA abbracciava la penisola d'Istria ne' suoi naturali confini, i territorii di Monfalcone e di Gradisca, la terraferma oggi soggetta al Governo di Venezia, le province lombarde di Brescia, Bergamo e Crema, la rocca di Riva sul lago di Garda, e nel secolo XV ma per pochi anni anche Ravenna ed altre castella delle marche oltre Po. Ma formando l'Istria una provincia a parte, restava agli altri possedimenti della valle padana il nome di TERRAFERMA VENETA.

Non è qui il luogo d'esporre in più circostanziata maniera le varie forme di reggimento delle varie province suddite alla Repubblica, governate da proprii statuti e quasi formanti stati a sé sotto la supremazia e le armi della metropoli. Questi particolari che svolgeremo brevemente più tardi, ci porterebbero ora senz'utilità alcuna lungi dallo scopo che ci siamo prefissi.

Dividerò pertanto in cinque sezioni il mio breve lavoro. Abbraccerà la prima le monete battute per tutt'i possedimenti di Dalmazia ed Albania, trattandovisi poi di quelle che si coniarono per le singole città dalmate ed albanesi. La seconda comprenderà la monetazione del Levante Veneto; quella di Candia la terza, di Cipro la quarta, limitandosi queste ultime due sezioni quasi a sole monete ossidionali. Nella quinta verranno quelle della Veneta Terraferma, escludendosi così dalle nostre ricerche la numismatica della metropoli, che formerà soggetto a ben più lungo e più faticoso lavoro.

E nel presente non toccherò nemmeno delle particolari medaglie che per antico privilegio batteva la comunità di Murano, simili nel peso e nel titolo a quella moneta di congiario che distribuiva annualmente il doge, e che dagli uccelli presi nelle valli del Dogado (di cui egli regalava prima del 1521 i patrizi) ebbe il nome di [I[Osella]I]. Onde questo nome passò alla medaglia muranese, destinata parimente a donativo del Comune alle cariche del consiglio di quell'isola industre. E ad escluderla da questa serie non altro mi determinò che il pensiero, esser stata essa soltanto una medaglia, e non moneta battuta per aver corso, comeché si sappia figurassero le [I[Oselle]I] venete ne' due ultimi secoli nelle tariffe delle monete correnti.

Ma ben diversa ragione mi consiglia ad escludere quel troppo famoso [I[michieletto]I] di piombo, già posseduto dal senatore Domenico Pasqualigo (ora nella Marciana) il quale sognò leggervi le iniziali del nome di Domenico Michiel doge dal 1116 al 1130; moneta che secondo lui sarebbe stata battuta dal Michiel nel 1125 quando fu coi crociati alla presa di Tiro, e scarseggiava di denaro la truppa che montava i legni veneziani schierati intorno a quell'assediata città. Ma non si accorse il buon uomo che non era quel suo vantato cimelio se non un'informe imitazione dei [I[marcelli]I] battuti sul declinare del secolo XV; una di quelle non insolite giunterie di chi vuoi prendersi gioco non della dottrina ma della credulità. Che se al Pasqualigo dobbiamo la maggior gratitudine perché legò alla patria copia di preziosità numismatiche, le illustrazioni ch'egli ne stese sono così impastojate di fole antiquarie che non saprei qual più opportuno tipo avrebbe potuto scegliere il nostro Goldoni in una delle sue più briose commedie. Sennonché vollero altri, sull'autorità di cronache non sempre veridiche, che il [I[michieletto]I] battuto nel 1125 nelle acque della Soria fosse di cuojo. Ed infatti, sul finire del passato secolo, di questi [I[michieletti]I] di cuojo ne vennero fuori a dozzine. Gli è proprio vero che le leggi dell'ordine fisico governano il mondo morale; quasi per necessario equilibrio, gli anni in cui il Winckelmann ed il Visconti creavano la critica archeologica, fiorivano i più ignoranti eruditi e si spacciavano le più goffe corbellerie. Né lo smascheramento di queste fraudi, operato con raro fior di dottrina da S. E. il conte Leonardo Manin a Venezia e dal conte Giulio Cordero di San Quintino a Torino bastò ad aprir gli occhi agli accecati raccoglitori che di quelle brutte contraffazioni andavano impinguando i loro musei.

Nel novero immenso delle quali sarei pur tentato a registrare un'altra moneta, se non mi determinassi piuttosto a ravvisarvi un abbaglio preso da un nostro dotto concittadino per condiscendenza soverchia all'altrui giudizio. Angelo Zon, profondo e coscienzioso ricercatore delle venete antichità, toltoci due anni sono da una morte immatura e crudele, scrisse pregato quel trattatello [I[sulla Zecca e sulle monete di Venezia]I] che fu inserito nella grand'opera [I[Venezia e le sue Lagune]I]. La rara modestia di quell'uomo lo fece troppe volte schivo dall'esibirci francamente il suo ponderato giudizio sui monumenti ch'esaminava, giudizio che solo talora pronunciò titubante. Venn'egli a parlare di un certo [I[soldo d'argento]I] col leone veneziano e colla figura del doge armato posseduto dalla Marciana nella collezione del Pasqualigo, i cui dubbii caratteri questo antico erudito, che vedemmo di qual calibro fosse, credeva misti di greco e di latino, comodamente pegli studii suoi, e vi ravvisava nientemanco che questa leggenda: [I[Cristophorus de Mauro imperator nationis christianae cum Pio nomine Secundo]I]. Quanto poi alla circostanza in cui fu battuto questo pezzo singolare, dato che la leggenda fosse proprio quella, niente di più facile che spiegarla. L'avrebbero battuto i crocesignati veneziani nell'occasione che il doge Moro fu nel 1464 ad Ancona per collegarsi con Pio II contro i Turchi irruenti. Lo Zon invece, credendo al nome di [I[Christophorus]I] che pur credeano leggervi lo Zanetti e il Morelli, penserebbe ricordasse l'alleanza segnata il 19 ottobre 1463 col cardinal Bessarione, non senza però che potesse riferirsi ad altre circostanze e ad altre persone le quali in modo diverso si collegassero colle cose veneziane. Mi fa però maraviglia come il nostro amico non avvertisse essere quella moneta una cattiva contraffazione del soldino d'argento, alterata nel peso, scemata nel titolo, barbara nelle imagini, capricciosa ne' caratteri.

Altrettanto potrebbesi dire di quello zecchino che lo Zon, sull'autorità del Pasqualigo nel cui museo si conserva, credette appartenere a Vlatco Cosaccio duca dell'Erzegovina nel sec. XIV, ch'ebbe da' Veneti tutela e nobiltà patrizia; zecchino evidentemente imitato da un falsario su quello di Alvise Mocenigo I°, di cui ha la leggenda in controparte e sfigurata, come pure inversa è la posizione delle due figure nel diritto; coniato altresì in oro di lega bassissima e assai scarseggiante nel peso. Mi arrestai forse più del bisogno su queste inconcludenti monete; ma credo non basti mai l'insistere in distruggere i vecchi errori nella critica, quando li rafforza un'autorità venerata.

Troppo devierei però dallo scopo mio se per me si volesse soffermarmi tratto tratto a confutare tutti gli errori che si stamparono in fatto di numismatica veneziana. Il più degli autori che finora ne hanno trattato furono soverchiamente proclivi a ripetere ciò che s'era divulgato da chi li avea preceduti. Così la critica non avanza di un passo, ma il sapere indietreggia finché il falso, invece che si abbatta, si puntella e si accarezza. La missione del critico non è di farsi eco dell'altrui giudizio; è di cribrarlo, rinfiancarlo se giusto, crollarlo se mai fallace; è di attingere il vero alle sue fonti, nei documenti cioè e nei monumenti. Chi batte un altro cammino non credo abbia diritto di chiedere, siccome io chiedo, la indulgenza di lettori spassionati e sapienti.

Giova anzi tutto avvertire di qual peso mi sia valso nell'esame delle monete della cui descrizione ed illustrazione ci andremo occupando. Scelsi a quest'uopo l'ordinario peso veneziano dell'oro e dell'argento, la [I[marca]I]; si perché eguagliando la [I[marca]I] nostra quella di Colonia, è peso generalmente noto; sì perché nelle memorie che ho disseppelite dalla polvere degli archivii non d'altro peso si parla, e adottandone io uno differente, avrei dovuto ad ogni pie' sospinto soffermarmi ad un nuovo ragguaglio.

Fino dal secolo XII troviamo documenti che ci provano essersi in queste lagune adottata la [I[marca]I] di Colonia; in una quitanza infatti del 1123 spettante a San Giorgio Maggiore leggiamo che l'abbate e vicario di quel monastero accusa ricevute [I[argenti de marcha de Colonia undecim marchas]I]. Così parimente nel trattalo fra il doge Enrico Dandolo e Baldovino di Fiandra stipulato il 4 aprile 1201 leggiamo queste parole: [I[Propter quod nobis dare debetis octuaginta quinque milia marcharum puri argenti ad pondus Coloniae, quo utitur terra nostra]I].

La [I[marca]I] si divide in 8 once, l'[I[oncia]I] in 144 carati che si esprimono colla iniziale [I[k]I], il carato in 4 grani. La marca dunque corrisponde a k. 1152, ovvero gr. 4608; l'oncia a gr. 576. Un'altra suddivisione della marca, meno comunemente adottata fra noi, è in 192 [I[denari]I], quindi dell'oncia in 24 [I[denari]I], de' quali ognuno si compone di k. 6 ovvero gr. 24.

Se alla parte fina della moneta d'oro o d'argento è aggiunta una quota parte di metallo inferiore per ottenerne la lega, la quantità di questo in rapporto alla marca si esprime coi carati e colla voce [I[peggio]I]. Quando verbigrazia diciamo che una data moneta ha di peggio 60, indichiamo che dei 1152 carati componenti una marca, 60 sono di rame. Il metallo puro si dice [I[fino]I], e parlando di oro senza lega si dice altresì volgarmente [I[oro di 24 carati]I], [I[oro di zecchino]I]. L'argento senza lega dicesi volgarmente [I[argento di 12 denari]I].

[T1] I. DALMAZIA ED ALBANIA.

[T2] A. MONETE GENERALI.

Queste due belle province di cui la conquista e la conservazione costarono alla Repubblica tanto sangue e tant'oro, formavano una delle predilette cure de' Veneziani i quali, padroni di quella grande striscia di lidi che fiancheggia ad oriente l'Adriatico, e delle isole Jonie che ne guardano l'entrata, sapevano come solo mantenendo que' possedimenti potevano assicurare la durevolezza del loro dominio su quel mare ch'era, anziché i Portoghesi girassero il Capo di Buona Speranza, la strada del commercio dell'Europa coll'Egitto e coll'Indie. La Dalmazia, le condizioni del cui suolo vietavano un rapido sviluppo d'incivilimento e d'industria, fu calcolata sempre da' nostri una colonia mercantile e militare. Provveduta di porti eccellenti e di magnifiche rade, con un popolo dedito, più che ad opere di pace, al maneggio dell'armi nell'interno del paese, e sul littorale tutto consacrato alle arti marinaresche, quella provincia forniva la metropoli di marinai e di soldati. La Repubblica dal suo canto ricompensava colla mitezza del governo, tollerante nelle province la forma di quasi autonomo reggimento, coi premii largheggiati a' Dalmati, e con que' tutti mezzi che uno stato sa mettere in opera per amicarsi i popoli soggetti; e prova ne sia l'affetto moltissimo che i Dalmati posero nel regime veneziano, i Dalmati versanti a rivi il loro sangue per Venezia in tutte le guerre ch'essa sostenne, i Dalmati piangenti nel dipartirsene le mutate sorti del tristo rivolgimento del 1797 e che seppellirono il vessillo a cui aveano giurato fedeltà eterna sotto la mensa degli altari di Cristo nelle loro chiese. Altrettanto dicasi dell'Albania, dove forse ancor più vivo si mantenne quell'affetto, perché messo a dura prova dalla minaccia del giogo ottomano; ma dell'Albania la parte più bella, più fertile, più grande, poco sostennero i Veneziani, perché l'impeto de' Turchi irruenti in Europa si rovesciò su quelle colonie, i cui profughi abitatori cercarono nell'antica metropoli quell'asilo che li mettesse al coperto da ulteriori sevizie del vincitore, intollerante il bene di genti non circoncise e i riti della religione del Nazareno.

Ne' brevi cenni che premisi a questa operetta ho fatto vedere che cosa sia ad intendere sotto questi due nomi, Dalmazia ed Albania; il primo vale a dire abbracciante il littorale Veneto dall'Istria ai confini della Repubblica di Ragusa; il secondo il littorale che si stende dal confine meridionale di questa Repubblica sino al golfo di Lepanto. È noto però come anche Ragusa passasse più d'una volta, ma per tempo breve, nelle mani de' Veneziani, ed è pur noto come poi ritornata a libertà mantenesse la propria indipendente esistenza a spese della protezione ottomana. Come si governassero que' possedimenti Veneti negli ultimi secoli, i soli di cui abbiamo ad occuparci nello intendere allo scopo nostro, verremo brevemente esponendo.

In tutta la provincia della Dalmazia, compresavi quella piccola porzione d'Albania che le conquiste de' Turchi non valsero a togliere alla Repubblica, la giurisdizione ecclesiastica era spartita in tredici diocesi, due arcivescovili ed undici vescovili. Ogni capoluogo di quelle diocesi, mutate poi in divisioni politiche, era validamente fortificato, e vi si contavano dieci altre castella; ognuna delle quali, non meno che le città, ad eccezione di Scardona, si governava da patrizi veneziani che si mutavano ogni 32 mesi, talché l'intera provincia suddividevasi in 22 reggimenti. Preside e capo di tutte queste reggenze destinava la Repubblica un suo patrizio dell'ordine senatorio col titolo di [I[Provveditore generale ordinario di Dalmazia ed Albania]I]. Annesso a questo generalato era il governo politico dell'intera provincia. Il generale esercitava autorità di giudice criminale e civile, in appellazione dalle sentenze di tutt'i rappresentanti sì delle isole che del continente. Non era peraltro giudice definitivo, perché devolveansi i suoi atti ai competenti Consigli della metropoli. Sussistevano nullameno antichissime consuetudini che gli assicuravano inappellabilità di giudicio dalle sue sentenze in certi casi di diritto criminale. Infatti a lui indirizzavansi dai subalterni reggimenti le notizie de' casi delittuosi, ch'egli o spacciava da sé, o rimandava a' reggimenti stessi perché continuassero la procedura, riserbandosi egli a giudicarne, quella fornita. Era una consuetudine inveterata e portata quasi dalla necessità, perché la distanza di quelle province dalla capitale, in tempi ne' quali le comunicazioni erano bensì continue ma non troppo celeri, non impedisse il rapido corso della giustizia, e fosse più agevole condurre la procedura sul luogo stesso del delitto e da uomini aventi immediata cognizione del paese e degli abitatori. Presiedeva il generale all'introito de' dazii di tutta la provincia, benché le pubbliche casse rimanessero sotto la direzione e la custodia de' patrizii capitani di Zara e delle altre città, non meno che de' rispettivi camerlinghi. Da lui dipendeva altresì la milizia di terra e di mare, e aveva l'obbligo d'invigilare sul contrabbando esercitato sul littorale e contro i delitti commessi a bordo de' legni. Ogni singola città riconosceva in lui e nel patrizio che vi risiedeva in nome della Repubblica con vario titolo di [I[Conte]I], [I[Capitano]I], [I[Rettore]I], [I[Provveditore]I], l'autorità suprema, ma si governava co' proprii statuti.

Data così una rapida occhiata al modo di governo delle province di cui ci occupiamo, si passi a considerarne le monete battute da' Veneziani.

[T5] Tornese di Dalmazia.

Rimasi a lungo indeciso qual nome s'avesse a dare ad un piccolo nummo di basso argento che si dimostra coniato da' Veneti per la Dalmazia, ne' primi anni del secolo XV. La molta rarità di questo pezzo non mi permise di vederne che un solo esemplare custodito nella Marciana; esemplare il cui grado di conservazione è men che mediocre, e lascia a mala pena discernere le rappresentazioni e le leggende; talché i confronti ch'io solevo istituire fra' varii esemplari di una moneta non potevano aver luogo in questo caso, limitato come fui ad uno solo e logoro pezzo.

Ebbi nullameno agio d'assicurarmi che i caratteri di questa moneta rarissima accusano la scrittura veneziana de' primordii del quattrocento, e la scoperta d'un documento ricordante monete battute per Zara nel 1410 mutò in certezza l'ipotesi sull'età del controverso pezzo. Infatti nel [I[Capitolare delle Broche]I], detto così dalle borchie dorate che ne ornano la legatura, prezioso codice della Veneta Zecca che mi somministrò tante notizie di patria numografia, e che si conserva nell'I. R. Archivio Generale ai Frari, trovai un decreto della XLª. civile che determina gli stipendii di alcuni operai di zecca, il 13 agosto 1440: [I[Cum de monetis quae fiunt pro Jadra non sit datus ordo aliquis qualiter solvi debeant laborantibus ipsas in Cecha nostra]I] ecc. Qui non è daddovero indicata alcuna specie particolare di nummi battuti per Zara, ed è affatto generica la espressione [I[monetae]I]. Ma se abbiamo sott'occhi una moneta veneto- dalmata, i cui caratteri corrispondono perfettamente all'epoca surriferita, il cui valore intriseco s'accorda con quello d'altre monete contemporanee coniate per altri possedimenti della Repubblica, domanderò io perché non s'abbia a ritenere che quel decreto non d'altra moneta parli che di quella di che ci stiamo occupando? Eccone pertanto la descrizione.

Il diritto presenta uno scudo gentilizio spartito in rombi verticalmente disposti ed attorniato da sei piccole palle o [I[bisanti]I]; stringe lo scudo all'ingiro un cerchio di perline fuori del quale è la epigrafe: + MONETA. DALMATIE. Il lato opposto figura S. Marco in piedi, di fronte, aperte le mani, e cinto il capo di nimbo di perle; intorno ad esso la scritta SANTVS. MARCVS. Il peso dell'esemplare è k. 3. 1., il diametro m. 0,016; ma il peso del pezzo ben conservato doveva essere probabilmente uno o due grani di più, cioè k. 3. 2. ovvero k. 3. 3. Quanto alla qualità dell'argento, duolmi che la rarità estrema di questo pezzo m'impedisse di venirne all'assaggio, ma dal semplice tocco mi apparve simile alla materia impiegata a quell'epoca a coniare i [I[tornesi]I] per il Levante. Se dunque la materia è la stessa che quella de' contemporanei tornesi, se il peso della moneta in questione corrisponde al peso di un tornese, com' è appunto il caso nostro, noi abbiamo a riguardarla come un vero tornese battuto, anziché pel Levante, per la Dalmazia.

Che se taluno con sottigliezza soverchia, ammettendo la somiglianza della presente moneta col tornese, negasse competerle questo nome, perché non si ha memoria di tornesi coniati per la Dalmazia, si potrebbe rispondere che sotto i ducati di Antonio Venier e di Michele Steno, sotto il qual ultimo fu sancita la surriportata terminazione 1410, non si battevano che quattro monete argentee, oltre il ducato d'oro; il [I[grosso]I] cioè detto altramente [I[matapane]I], il [I[soldino]I] col leone alato e la figura del doge, il [I[piccolo]I] ([I[parvulus]I]) scodellato, e il [I[tornese]I]. Queste sole e non altre monete troviamo indicate nelle memorie di zecca, quindi è d'uopo in una di queste quattro categorie collocare la [I[moneta Dalmatiae]I]. Ed io reputo aver qui un valido fondamento per ritenere la denominazione che le diedi, cioè di [I[tornese]I]. Questo nome sempre isolato ricorre nelle leggi, ne' capitolari, nelle pubbliche e private scritture; non vi si parla mai di tornesi speciali pel Levante, o speciali per la Dalmazia. Quando ci occuperemo più tardi colla necessaria estensione di quest'importante moneta, se ne valuterà il ragguaglio raffrontandola alle altre monete di quell'età. Per ora ci basti l'aver descritto e qualificato questo raro cimelio della numismatica dalmata, il quale manca persino a quella gigantesca collezione del Museo Correr.

Ardua, e finora insormontabile, è la difficoltà piuttosto che presenta lo stemma figurato nel diritto di questo pezzo. È lo scudo gentilizio dei Contarini, ma non saprei a quale degl'individui di questa famiglia si possa attribuirlo. Se fossi corrivo alle ipotesi, una si potrebbe in questo caso avanzarne; essersi questa moneta primamente battuta sotto la ducea di quell'immortale Andrea Contarini che governò la Repubblica dal 1368 al 1382, ducea segnalata per ardite imprese contro il re d'Ungheria e contro Genova poderosa rivale; aversi poi conservato il vecchio tipo nella nuova monetazione del 1410. Ma, lo ripeto, alle ipotesi non m'attacco volentieri, quando non le trovo suffragate da documenti.

[T5] Lirette e Gazzette.

Fra le varie rappresentazioni che adottarono i Veneziani per effigiare l'alato leone simbolo del loro patrono S. Marco, è certamente una delle più singolari quella che ne mostra la sola parte anteriore presentata di guisa tale che la sommità della testa nimbata veduta di prospetto, il lembo delle ale spiegate e il contorno esterno della zampa tenente il libro degli Evangelii disegnino un circolo il cui centro è nel petto del sacro leone. Tale curiosa rappresentazione di San Marco, incisa la prima volta sui soldini d'argento nel sec. XIV, derivò da questa moneta il nome di [I[S. Marco in soldo]I]; più tardi figurata sui pezzi da 2 soldi o [I[gazzette]I] si disse [I[S. Marco in gazzetta]I]; e finalmente ebbe dal volgo un terzo nome, quello di [I[S. Marco in mollecca]I] perché s'accosta nel suo complesso all'aspetto di questo crostaceo, nelle nostre acque comune.

Le monete battute per la Dalmazia e per l'Albania ch'entrano nella classe delle [I[Lirette e Gazzette]I] portano tutte dall'un de' lati così effigiato il simbolo dell'Evangelista, dall'altro i nomi delle province ove furono destinate ad aver corso.

Determinare con certezza quando incominciasse lo stampo di questi nummi dalmato-albanesi, che non recano data né nome di doge, non è invero agevole; ma d'altra parte si hanno indubbii criterii per fissarne approssimativamente la età. A ciò fare, darò anzi tutto opera alla loro descrizione.

Cinque monete diverse abbraccia questa categoria; tre d'argento,
[I[liretta]I], [I[da otto]I], e [I[da quattro]I]; due di rame,
[I[gazzetta]I] o [I[da due]I], e [I[soldo]I].

La [I[liretta]I] è una sottile moneta d'argento del diametro di m. 0,024, e del peso di k. 13.3 1/2 ragguagliata a peggio 350 per marca, corrispondente al titolo 0,696181. Il diritto offre in tre linee la epigrafe DALMA = E . T = ALBAN, una rosa sopra la prima linea, altra sotto la terza. Il rovescio ha il leone in gazzetta attorniato dall'epigrafe S. MARC. VEN. coi punti foggiati a stelline. Nell'esergo la cifra XX (intendi soldi) parimente chiusa da due stelline. Una varietà conservata nel Museo Correr ha la parola MARC fra due punti rotondi.

Il [I[da otto]I] soldi, o due quinti della liretta, ha un diametro di m. 0,019 e un peso di k. 5. 2 1/5; uguali alla liretta stessa le proporzioni de' metalli. Il diritto n'è pur simile, in proporzioni minori, e tale il rovescio, che nell'esergo porta la cifra * VIII *. Questo pezzo è pur descritto nel II vol. della Raccolta dello Zanetti a pag. 206, com'esistente nella collezione Gradenigo sotto il n.° 270, e n'è dato il peso in k. 5 gr. 3. La credo quest'ultima cifra semplice errore di stampa, perché eccedente il peso legale del pezzo che trassi dalle memorie di zecca.

Simile al da otto è il [I[da quattro]I], o un quinto della liretta, ma avente il diametro di m. 0,015 e il peso di k. 2. 3 1/10. Il rovescio offre nell'esergo le lettere MARC fra due punti rotondi e la cifra IIII fra due stelline.

Quanto alle monete di puro rame, il tipo n'è somigliantissimo a quello delle precedenti. La [I[gazzetta]I] offrì a' miei studii tre varietà nel diritto; la prima colla iscrizione DALMA. = E . T = ALBAN., la seconda DALM. = . E . T = ALB., la terza DALMAT. = ET = ALBANIA. Il suo peso varia ne' diversi esemplari; ve n'ha cioè di k. 38, di k. 33 15/17 e di k. 29 7/13. Il suo diametro è di circa m. 0,030. Nell'esergo * II *.

Simile alla gazzetta ma in proporzioni minori è il [I[soldo]I], che ha cioè un diametro di circa m. 0,024, e un peso che varia con quello della gazzetta di cui è la giusta metà. Del diritto avvertii due varietà, l'una recante DALMA. = E . T = ALBAN., l'altra DALM. = ET = ALB. Nell'esergo del rovescio è costante la cifra * I *.

Di queste monete, quelle di rame ricorrono frequentissime nelle raccolte ed in commercio. Non ugualmente comuni, benché tutt'altro che rare, sono le argentee delle quali la men facile a trovarsi è il [I[da quattro]I].

Avevano i Dalmati nel sec. XVII da remotissima età una lira di conto, non mai ancora rappresentata da effettivo pezzo d'argento, e di valore sempre oscillante ed incerto. Ad impedire i disordini di questa fluttuante moneta di computo, sembra che i Veneziani si determinassero a battere per la Dalmazia e per l'Albania le monete d'argento sopra descritte. Non ha dubbio ch'esse sono anteriori all'anno 1706 in cui si coniarono i [I[Leoni Mocenighi]I] che formeranno più sotto l'oggetto delle nostre ricerche; poiché se anche non lo dimostrassero a sufficienza la forma più arcaica delle lettere e il più corretto disegno delle figure, lo proverebbe fuor dubbio la bontà maggiore dell'argento, e la maggior quantità di esso impiegata a rappresentarvi la lira veneta. Andarono finora a vuoto le mie indagini per precisare l'anno in cui queste monete si principiarono a battere; ma in una dissertazione di Cristoforo Raimondi ch'era manoscritta presso lo Svajer, citata dal Gallicciolli (T. II pag. 45 delle [I[Memorie Venete]I]) leggiamo: [I[Nel 1664, 17 ottobre, fu preso di stampar moneta usuale di lega inferiore, e si stampò il Ducato, affinché corresse in Venezia soltanto; come lo fu delle Lirette e Soldoni]I]. Qui non è invero parola di quella più moderna liretta che fu poscia per la prima volta battuta dal doge Nicolò Sagredo nel 1675; dunque l'unica moneta alla quale si possa applicare quel nome, è la moneta di cui stiamo considerando l'intero e gli spezzati, la [I[liretta]I] per la Dalmazia.

Ben più sicure notizie porgerò a' lettori della origine delle monete dalmato-albanesi di rame più sopra descritte. Nella importante [I[Compilazione delle Leggi Venete]I], custodita nell'Archivio generale, rinvenni la seguente terminazione sancita nel Senato l'anno 1690.

[I[ 1690, 27 Maggio, in Pregadi.]I]

[I[ Considerando la prudenza de' Proveditori in Zecca in ordine alle pubbliche commissioni necessario lo stampo di qualche moneta di rame per le occorrente della Dalmazia et per render nello stesso tempo provedute le povere maestranze di lavoro; L'anderà parte che sia commesso a' Proveditori in Zecca d'impiegare la summa di Ducati cinquemila in tanto rame per lo stampo di tante monete di puro rame per uso della Provincia della Dalmazia, portandone, adempita la fabbrica la notitia a publico lume ad oggetto di farne pronta la missione a quel Proveditor Generale.]I]

Sennonché nemmeno questa misura, lo stampo cioè di monete destinate al corso esclusivo nella Dalmazia e nell'Albania, bastò a frenare i disordini dell'incomoda lira di computo in quelle province. Anzi la Repubblica, non potendo o non volendo metter argine a quell'abuso di conteggiare in una moneta del continuo oscillante e che facilitava agli speculatori il monopolio de' metalli coniati, venne più tardi nella determinazione di regolare il peso delle gazzette e de' soldi di rame a seconda del vario valore ch'ebbe lo zecchino in quelle province: talché quando lo zecchino fu ragguagliato a lire di Dalmazia 25 (cioè intorno al 1700) si cavavano da una marca di rame gazzette 30 1/3 che pesavano ciascuna k. 38; quando a lire 27 (cioè nel 1706), gazzette 34 del peso di k. 33 15/17; quando a lire 33 (cioè intorno al 1730), gazzette 39 ciascuna delle quali del peso di k. 29 7/13. Così leggiamo nelle memorie di zecca, e così si spiegano le varietà più sopra avvertite nel peso di queste monete. È nondimeno ad aggiungere che la zecca non era poi sì scrupolosa nello stampo loro come in quello delle monete d'argento e d'oro, e che non è perciò difficile il rinvenire due esemplari del medesimo tipo di peso alcun poco fra loro diversi. Ricavasi però da queste memorie un corollario importante: [I[potersi alcune volte riscontrare nelle monete venete di puro rame l'età del loro stampo, calcolandone il peso]I]. Quello che dissi delle gazzette è pur ad intendersi de' soldi, che ne costituivano la metà.

A continuare questi cenni sulla lira coloniale di computo, ricorderò che nel 1740 gli speculatori cambiavano lo zecchino contro queste gazzette (che dal loro grave peso si dissero altresì [I[gazzettoni]I]) in ragione di lire 52 e talora 54. Una tariffa dell'anno 1780 raffermò da ultimo il valore dello zecchino a lire 48 di computo in gazzette o soldi, in rispondenza al ducato che vi era ragguagliato a lire 17.6.

Anche dopo lo stampo del [I[leone Mocenigo]I] seguitarono ad aver corso quelle monete d'argento da 20, 8, 4 soldi, sempre però ragguagliate a maggior valore, trovandole io descritte fra le correnti in alcune memorie di zecca del 1749, dove se ne calcola il fino esattamente in once 8, denari 8, grani 12 di nostro peso.

[T5] Leoni Mocenighi.

Nel 1706, ducando Alvise Mocenigo secondo di questo nome, per sopperire a' bisogni del commercio ne' possedimenti di Dalmazia e d'Albania, fu decretato lo stampo di una nuova moneta da lire venete 4, in uno a' suoi spezzati da lire 2, 1 e da soldi 10 e 5. Dal nome del doge che primo ed unico la mise fuori fu detta [I[leone Mocenigo]I], a distinguerla da altra moneta di maggior peso e valore battuta pel Levante che dal doge che primo la fece stampare si era chiamata [I[leone Morosini]I]. Tuttavia le succitate memorie di zecca del 1749 non la chiamano con altra appellazione che quella di [I[monete nuove per la Dalmazia]I]. L'argento in cui la si volle coniata aveva di peggio 450 carati per marca, era cioè inferiore di k. 100 di fino a quello impiegato nelle lirette; era quindi al titolo 0,609377, o della bontà di once 7, denari 7, grani 12. In quell'epoca stessa (1706) lo zecchino che, com'è noto, aveva k. 46. 80/91 d'oro purissimo, cioè andava a zecchini 67 1/4 per marca, era valutato nelle tariffe lire 20 e soldi 5, e il ducato d'argento del peso di k. 110 a peggio 200 valeva lire 7 e soldi 4.

Il decreto del Senato 2 marzo 1706 regolava il prezzo dell'argento destinato alla monetazione de' [I[leoni Mocenighi]I] a lire 9, soldi 15 l'oncia fina, pagabili metà in partita di Bancogiro, e metà in zecchini a lire 17 l'uno, ovvero, in luogo di zecchini, nelle dette monete dalmato-albanesi a lire 27 coloniali lo zecchino.

Il [I[leone Mocenigo]I] è del peso di k. 56 e del diametro di m. 0,0335, e porta nell'averso l'imagine di S. Marco seduto sul trono a manca dell'osservatore, porgente al doge genuflesso un'asta sormontata da croce colla sinistra, e benedicente colla destra. Dietro al santo le iniziali S * M * V * ([I[Sanctus Marcus Venetiarum]I]), e dietro al doge la epigrafe ALOY * MOCENI.; lungo l'asta verso il doge è la voce DVX in caratteri verticalmente disposti. Sotto la linea d'esergo sulla quale posano le figure, stanno le iniziali * G. B * (ovvero * B. G *). Il rovescio presenta il leone alato e nimbato, rampante verso la sinistra, ma colla faccia di prospetto, immergente la manca zampa posteriore nel mare e recante nella destra anteriore un ramo d'ulivo. Dinanzi al leone sorge sovra una rupe un turrito castello in cima al quale svolazza una bandiera. D'intorno al leone è la epigrafe DALMAT * ET * ALB, nell'esergo la cifra * 80 *, cioè il numero de' soldi che formano le 4 lire venete.

Il pezzo [I[da due lire]I] o mezzo leone serba il tipo del precedente, in proporzioni minori, limitato cioè al diametro 0,029 e al peso di k. 28. Offre tuttavia nel diritto più incurvata la figura del santo e la epigrafe è questa S. M. V. ALOY * MOC *; l'esergo il medesimo in alcuni esemplari, in altri è * B. C 2° *. Nel rovescio l'esergo è necessariamente * 40 *.

Tale è parimente la [I[lira]I] o quarto di leone, del diametro di m. 0,024 e del peso di k. 14. Strana e rozza nel diritto è la forma del berretto ducale che copre il capo del genuflesso Mocenigo; l'esergo del rovescio è * XX *.

L'ottavo di leone o pezzo [I[da dieci soldi]I] è anch'esso nel tipo simile al mezzo leone, ma il peso n'è di soli k. 7, il diametro di m. 0,019. L'esergo del rovescio porta il numero X ugualmente chiuso fra due stelline. Questi pezzi non sono ora comuni a trovarsi, benché nessuno de' nostri musei ne difetti.

Non potrebbe dirsi altrettanto del sedicesimo di leone, o [I[da cinque soldi]I], se ne fosse accertata la esistenza. Lo trovo registrato più d'una volta nelle memorie di zecca, che gli danno il peso di k. 3 1/2, e dalle quali parrebbe che si fosse effettivamente battuto. Ma il non vederlo conservato nel ricchissimo Museo Correr né in altra delle raccolte da me esaminate, il non trovarlo registrato fra le monete che appartenevano a monsignor Gradenigo, il cui catalogo fu inserito nella collezione dello Zanetti Vol. II, e che non ha guari passarono al R. Gabinetto di Torino, mi fa sospettare che quella moneta non si battesse mai, comeché se ne fosse decretato lo stampo.

Le sigle ricorrenti nell'esergo del diritto di questi nummi mi richiamano a parlare di una consuetudine della zecca nostra. Il religioso rigore serbato da' Veneziani costantemente nell'esercizio di quest'atto del sovrano potere ch'è la monetazione, gl'indusse a mettere in opera tutt'i mezzi possibili per guarentire il commercio da quelle fraudi che, con tanto danno di esso, avvenivano non raramente nella bontà dei metalli coniati. Fu decretato perciò nel 1387 che ogni [I[gastaldo]I] di zecca dovesse apporre ad ogni conio un segno noto a' massari dell'argento, mediante il quale si riconoscesse la mano onde uscì ogni pezzo monetato. Più tardi si volle che ogni moneta d'oro e d'argento, ad eccezione dello zecchino che non portava lega, fosse contrassegnata dalle iniziali del nome e del cognome di uno de' [I[massari all'argento]I] se argentea era la moneta, [I[dell'oro]I] se d'oro. Chiunque pertanto improntava delle proprie sigle un nummo era responsabile in faccia alla legge d'ogni alterazione di titolo che vi fosse mai avvertita. Questa pratica non avea luogo nelle monete erose, né in quelle di puro rame, si però nelle doppie d'oro e in ogni pezzo d'argento il cui peggio non eccedesse il fino, fosse cioè al di sotto della metà de' carati costituenti la marca. Ebbervi però più d'una volta monete di buon argento (come sarebbero a mo' d'esempio le lirette di Dalmazia e i loro spezzati, e così pure le galeazze di cui frappoco ci occuperemo) che non erano contrassegnate da sigle di massaro. Di quelle che ho ricordate impresse sui leoni Mocenighi, mancando una serie cronologica completa de' massari all'argento, non sono in grado d'interpretare che quelle B. C 2.° le quali offrono il nome di Benedetto Civran II.°, che coprì quella carica negli anni 1705 e 1706.

[T5] Galeazze.

Allorché nell'anno 1736, ducante Alvise Pisani, fu decretato lo stampo della nuova moneta per le colonie ch'ebbe il nome di [I[galeazza]I], le precipue specie d'oro e d'argento veneziane correvano come segue:

Lo zecchino a lire 22.

La doppia d'oro peggio 96 del peso di k. 32 2/3, a lire 38.

Il ducato d'argento peggio 200 del peso di k. 110, a lire 8.

Il ducatone d'argento peggio 60 del peso di k. 134 1/2, a lire 11.

Lo scudo d'argento di lega pari al ducatone, del peso di k. 153 1/2, a lire 12. 8.

V'aveano dunque a Venezia cinque monete maggiori, nessuna delle quali esattamente multipla della lira di conto della Dalmazia, ad eccezione dello zecchino ragguagliato allora a 36 di quelle lire. E nondimeno continuavano gli abitatori de' possedimenti oltremarini a valersi di quell'incomoda moneta ideale che non era rappresentata da nessuna delle monete esistenti, nemmeno da quelle erose che si erano mandate fuori nel 1722 del valore di soldi 30, 15, 10 e 5. Fu quindi a sopperire a' bisogni di quelle province che il Governo decretava nel 1736 lo stampo di una moneta, frazione dello zecchino, ed atta perciò ad agevolare le transazioni commerciali della metropoli colle colonie. Quindi ebbe origine la [I[galeazza]I] che corrispondeva insieme ad un terzo dello zecchino e a 12 lire di Dalmazia, ma che ragguagliata alla veneta valeva lire 7. 6. 8.

La [I[galeazza]I] fu battuta in argento peggio 144 per marca, cioè a titolo 0,875, e del peso di k. 92 2/3. Il suo diametro è m. 0,037. Offre nel diritto l'imagine di S. Marco che tiene colla manca il Vangelo e colla destra benedice. A lui dinanzi sta genuflesso il doge che stringe l'asta del vessillo che gli svolazza sul capo ed è sormontata da una croce sporgente dal cerchio di perline che chiude le due figure. All'ingiro è la epigrafe S * M * VENETVS = ALOY: * PISANI * D *; nell'esergo l'anno * 1736 *. Presenta il rovescio una galea ([I[galeazza]I]) colle vele ammainate e con bandiera veneziana; undici remi sul fianco ch'è di prospetto all'osservatore stanno per tuffarsi nel mare; a dritta di chi riguarda si mostra di lontano una seconda nave sull'orizzonte, a sinistra due elevate castella che vuolsi rappresentino le due principali fortificazioni di Corfù, la [I[cittadella]I] e il [I[castello da mar]I]; dinanzi a questa fortezza un'altra galea. Chiude il campo un giro di perline, oltre il quale è l'epigrafe PROVINCIJS MARITIMIS DATVM. Nell'esergo * XII *.

Una varietà singolare e, per quanto io mi sappia, unica di questa moneta è conservata nella raccolta del colto patrizio Angelo Malipiero. Uguale a' pezzi comuni nel peso, varia nel diametro ch'eccede l'ordinario di m. 0,003. Il diritto è di più leggiadro disegno ed offre una piccola diversità nella leggenda, ALOYS: invece di ALOY: La differenza maggiore sta nel rovescio. In mezzo al mare si mostra un vascello d'alto bordo a vele ammainate, ed altro in distanza. Le fiamme svolazzanti in cima agli alberi e le bandiere de' castelli sono rivolte a destra di chi guarda, mentre lo sono a sinistra nell'altro tipo. L'esergo n'è pur variato, avendovi la iniziale della voce [I[Lire]I], così espressa * L. XII *. Questa varietà rarissima sarei inclinato a tenerla un semplice progetto di zecca, scartato forse perché meglio piacque l'altro tipo che in luogo di un vascello presentava una [I[galeazza]I] a remi, onde poi trasse nome questa moneta.

Simile alla comune [I[galeazza]I] n'è la metà o il pezzo da [I[sei lire]I]. È del peso di k. 46 1/3, del diametro di m. 0,032, ed offre nell'esergo del rovescio la cifra * VI *.

Lo stesso dicasi del quarto, o del pezzo da [I[tre lire]I], recante nell'esergo del rovescio il numero * III *, del diametro di m. 0,028 e del peso di k. 23 1/6.

La rappresentazione che qui si scorge delle castella corciresi (almeno secondo ne pensa il Gradenigo nel Vol. II di Zanetti, p. 205), e il nome generico di [I[province marittime]I], mi fanno ritenere che questa moneta non si battesse pe' soli possedimenti dalmati ed albanesi, ma eziandio per il Levante Veneto. Ed infatti da documenti sincroni rileviamo che s'era coniata [I[per spender in Dalmatia et Isole]I].

Abbiamo dalle memorie di zecca più volte citate che di queste galeazze se ne stamparono 223,387 cioè per un valore approssimativo di 74,462 zecchini. Ma gli speculatori si valsero ben presto dell'introduzione di questa nuova moneta per far isparire l'oro e rialzare il prezzo dell'altro argento; quindi sorse il malcontento de' popoli oltremarini che reclamarono il ritorno alla vecchia monetazione. La Repubblica ritirò tosto in brevissimo tempo quante più poté galeazze e loro spezzati e le rimandò alla zecca come metallo da fondere. Tutte però non le fuse, ma ne rimase in giro in buon dato, a saziare i desiderii de' numismatici, a' quali non è difficile aggiungere questi tre pezzi a' lor medaglieri. Quale moneta venisse alla galeazza sostituita in progresso lo vedremo parlando delle coniate per le colonie del Levante. Intanto ci volgeremo alla numografia delle singole città dalmate ed albanesi.

[T2] B. MONETE PARTICOLARI DELLE CITTÀ.
[T3] CITTÀ DI DALMAZIA.
[T4] SEBENICO.

Avvegnaché dal tenore del decreto 13 agosto 1410 appaja essersi battuta per la comunità di Zara quella moneta che delle dalmate prima illustrai, credetti nullameno farne menzione come di moneta generale di que' possedimenti che i Veneziani abbracciavano sotto il nome di [I[Dalmazia]I]. Dagli atti raccolti nel [I[Capitolare delle Broche]I] rilevasi che primi nell'ordine cronologico sono a considerarsi i [I[bagattini]I] o gli [I[oboli]I] battuti per Sebenico. Siccome però le monete fatte coniare da' Veneziani per le singole città della Dalmazia erano di questi bagattini di rame, così premetterò pochi cenni sull'origine di tal moneta e sul valore ch'essa ebbe al declinare del secolo XV e al principio del successivo quando si decretarono e si eseguirono quegli stampi.

Allorché le costituzioni de' Franchi, sotto l'impero di Carlomagno, emancipando l'Europa dai disordini della monetazione dell'impero romano e del greco, fissarono il valore de' metalli nobili, e statuirono il conio di una nuova moneta, fu battuto il solo [I[denaro]I], o la dodicesima parte del [I[soldo]I], formando 20 soldi una [I[lira]I], rappresentata perciò da sì ingente massa d'argento che non fu mai foggiata in moneta speciale, come nol fu nemmeno il soldo carolingio; e quantunque agevole fosse l'una e l'altra somma rappresentare con pezzi d'oro coniato, sappiamo non pertanto che dalla caduta del regno de' Longobardi sino all'imp. Federico II, che batté a Brindisi il primo [I[augustale]I], l'Europa non ebbe altr'oro coniato da quello in fuori de' paesi occupati dagli Arabi e dell'impero greco. I Veneziani ebbero anch'essi i loro denari modellati sui franchi, battuti probabilmente a Pavia od a Treviso, e recanti nelle loro epigrafi i nomi di Lotario, di Lodovico (Pio), o la generica appellazione d'[I[Imperatore romano]I]. Non è di queste pagine il rintracciare per quali cagioni il denaro venisse dall'epoca carolingia in poi scemando successivamente di peso e di titolo; talché quella moneta anche fra noi andò di mano in mano deteriorando, prima sotto gl'imperatori germanici, poi sotto i dogi; fino a che col volger de' secoli fu rappresentata da una massa sì tenue d'argento che sotto il doge Cristoforo Moro fu preso di batterla di puro rame, convertirla quasi in una semplice moneta nominale. La sua piccolezza sotto gli antecedenti dogi le valse il nome di [I[piccolo]I] o [I[parvus]I], come altra volta il colore argentino della sua superficie le meritava quello di [I[albulus]I]. Il [I[bagattino]I] quindi di cui ci occupiamo non è se non una degenerazione del denaro argenteo dei Carolingi, e rappresenta il dodicesimo del soldo, cioè del ventesimo della lira, ma di una lira straordinariamente diminuita del primitivo valore.

Della voce [I[bagattino]I] non sarebbe ozioso per noi il rintracciare la origine; il Gallicciolli ([I[Memorie Venete]I] II, 41) la vorrebbe derivata dall'arabo [I[bagadhon]I], rimoto o vile, quasi moneta la più [I[rimota]I] in cui si risolve la lira, o la più [I[vile]I] di tutte le correnti. Certo è ben degna di riso la etimologia che ne diede Roberto Cenale nel I tomo del suo trattato [I[De rat. pond. et mensur.: Barchatinus, vulgo ]I]barguetìn[I[, puto esse pretium trajectus aquae per barcham]I]; né meno ridicola è quella allegatane da Marquardo Trecher nel libro [I[De re monetaria Germanici Imperii: Pagatini, aeneoli Venetorum, a solvendo dicti]I]. Non saprei invero indurmi a ritenere veneziano questo vocabolo, né in ciò temerei d'opporrai alla pluralità degli eruditi; imperciocché a tutto il secolo XIV e fino al XV avanzato non leggiamo darsi al dodicesimo di soldo altro nome che quello di [I[parvus]I], [I[parvulus]I], [I[pizolus]I], [I[denarius]I] e più di raro [I[obolus]I]; [I[bagattino]I] solo ricorre le prime volte gli ultimi anni del quattrocento. Non così può dirsi della monetazione d'altre parli d'Italia, onde quel nome sembra passato a Venezia; in fatti sino dal 1327 leggiamo nel testamento di Castruccio Castracane quel nome applicato a moneta di Lucca: [I[Restitui inclytae ducissae dominae Pinae uxori libras mille bacattinorum]I]. Ed in epoca ancor più antica si dava quel nome a Padova alla minima frazione della lira ([I[libra parvorum]I]) leggendosi nei [I[Regimina Paduae]I], editi dal Muratori nel T. VIII [I[Rerum Ital. Script.: Hoc anno (1274) de mense februarii fuit inventum in clausura Domus Dei per fratrem Rolandum tantum aurum in meaglis quod valuit circa XVII. millia librarum bagatinorum]I]. Non è dunque vero che questo vocabolo sia veneziano, se lo leggiamo in documenti di Padova due secoli prima che s'introducesse fra noi.

Quanto poi al valore de' bagattini sul declinare del secolo XV, quando cioè si battevano di queste minime parti della lira per le città dalmate, esso risulterà agevolmente da questo calcolo. Dal 1472 al 1512 (secondo le memorie della nostra zecca) il ducato d'oro o zecchino oscillò fra il valore di lire 6 e soldi 4 e quello di lire 6 e soldi 10; adottiamo dunque un valor medio di lire 6 e soldi 7, cioè di soldi 127 pari ad uno zecchino. Soldi 127 corrispondono a bagattini 1524, quindi il bagattino rappresentava 1/1524 dello zecchino. Oggi quest'ultima moneta si calcola corrispondere a lire austriache 14 e centesimi 60; quindi quel bagattino ridotto a nostra moneta sarebbe oggidì rappresentato da centesimi di lira austriaca 0,958. Dal 1716 in poi, quando il valore dello zecchino montò e si tenne fermo per quasi un secolo al valore di lire 22 o soldi 440, il bagattino rappresentava soltanto 1/5280 di zecchino, pari al presente a centesimi austriaci 0,208. È inutile ricordare come nella prima epoca (1472 a 1512) ragguagliata la lira veneta allora corrente coll'austriaca d'oggidì fosse nello zecchino rappresentata da un pezzo d'oro del valore di austriache lire 2 : 28, e nella seconda epoca (1716 a 1797) di soli centesimi 66,3.

La necessità di abbondare dei minuti spezzati della moneta, specialmente in paese povero, determinò gli abitanti di Sebenico a chiederne una massa vistosa al governo della Repubblica. Questa città, che dal 1327 era passata sotto il dominio de' Veneziani, ma poi ceduta al re d'Ungheria loro era ritornata soltanto nel 1416 (dal qual anno in poi la resse un patrizio col titolo di [I[conte]I] fino al 1526 in cui gli si aggiunse quello ancora di [I[capitano]I]), regolata da proprio statuto, amava che oltre al simbolo della sovranità veneta quello pure vi si mettesse del suo comune, la imagine cioè del protettore san Michele. Riportiamo il decreto del Consiglio de' Dieci che ordina il primo stampo della moneta sebenicese a Venezia, nel 1485, ducante Giovanni Mocenigo:

[I[ M.CCCC.LXXXV. die XXI. Maji, in C.X. cum Add.]I]

[I[ Quod autoritate hujus Consilii captum sit et sic mandetur per Capita officialibus nostris monetae argenti ut cudi pro nunc faciant, ad summam ducatorum XXX, obolos ex ramine ad rationem duodecim ad soldum, cum imaginibus gloriosi protectoris nostri sancti Marci ab uno latere, et sancti Michaelis Archangeli protectoris dictae comuniatis nostrae Sibenici ab altero latere, sicut videbitur et ordinabitur per Capita, sicut scriptum et suplichatum fuit.

In questa parte del C. X. leggiamo, forse per amore di latinità che non è già troppo pura, il nome di [I[oboli]I] dato a' bagattini, quasi fossero sinonime quelle due voci esprimenti il più vile spezzato della moneta. Ma sotto la ducea di Agostino Barbarigo, nel 1491, si decretò nuovamente lo stampo di que' nummi sebenicesi:

[I[ 1491 adi 13 lujo, in Cons. X cum Add.]I]

[I[ Instantissimamente el domanda la comunità nostra de Sibinicho chel sia comandà per questo consejo che per la zecha nostra sia fato denari menudi con la impression de santo Mìchiel da uno ladi et da l'altro santo Marcho per uso dele povere persone, per la suma de ducati sesanta sicome altre uolte a loro e sta conzeso, per che masimamente i ano de bixogno de essa moneda menuda per spender queli a menudo, si come li fo promeso; ma che loro debiano desborsar la moneda nezesaria per i diti bagatini. Ala qual domanda e bon a satisfarli, e per questo: ]I]

[I[ L'anderà parte che per autorità de questo Conseio sia chomandà ali masari nostri de la Zecha che i fazino far quelli denari con la impression mostrada a questo consejo ala solita charata ala suma e valuta de ducati 60; i quali serano dadi per lo suo meso per far i diti denari.]I]

Dal contesto di questo decreto rileviamo che si manteneva anche nel 1491 il nome di [I[denaro]I] a quella moneta che più comunemente dicevasi [I[bagattino]I]; che la comunità, la quale ne supplicava lo stampo per sopperire a' bisogni della classe povera della popolazione, doveva rifondere lo stato del valore corrispondente alle monete per essa battute.

Un'altra terminazione dei Dieci del 27 febbrajo 1498 ([I[more veneto]I], cioè 1499) ordina lo stampo di altri 100 ducati d'oro in bagattini [I[solitae stampae]I] per la comunità di Sebenico.

I bagattini di Sebenico abbondano nelle nostre raccolte; il solo Museo Correr ne ha nientemanco che 33. Il loro conio si mostra fattura d'artisti non volgari. Ma ricordiamoci sempre, quando guardiamo a monete uscite intorno al 1500 dalla veneta zecca, che vi lavoravano in quell'epoca come intagliatori de' conii Alessandro Leopardi, Vittor Camelio, e più tardi Andrea Spinelli.

E qui c'è mestieri soffermarci un istante ad abbattere un vecchio errore che da secoli si va ripetendo dagli eruditi, i quali credono le monete di cui ci occupiamo battute dalle singole città per particolar privilegio. Bernando Nani che nel 1752 pubblicava la sua anonima dissertazione [I[De duobus imperatomm Rassiae nummis]I], scritta con molta dottrina, non già con critica pari, asseriva egli pure a pag. 57-58: [I[Sed hic mos seu privilcgium ]I](s. l. [I[cudendi]I])[I[ solis Catharensibus singulare non fuit. Pleraeque earum regionum civitates cudendi privilegio gaudebant, quod ea sanctorum nomina, quae peculiaribus nationibus propria erant, sicuti S. Doimus Spalatensis, S. Laurentius Tragurinus, S. Michael Sebenici, S. Stephanus Scutarinus, S. Georgius Antivarinus, certissime indicant: quae res insuper illarum gentium studium commendat, quo privilegia sua ostendere conabantur]I]. Fin qui il Nani; noi invece, appoggiandoci al chiaro senso dei non pochi decreti che riporteremo, e non senz'aver riguardo al tipo delle controverse monete, similissimo a quello delle altre battute a Venezia, affermiamo senza tema di errare che tutte le monete delle singole comunità dalmate furono nella zecca veneta e non altrove battute, e lo stesso dicasi di alcune delle albanesi. Ma questa regola non vale, come più sotto si vedrà, per Cattaro, né fors'anche per Scutari. Le forme veramente barbare de' pezzi battuti per quest'ultime due città giustifica abbastanza l'esser uscite da officine monetarie di regioni dove l'arte si conservò sempre bambina; laddove le belle forme degli altri pezzi dalmati ed albanesi accusano il punto più culminante a cui si levasse nel medio evo l'arte difficile dello zecchiere.

Devesi però confessare non aver noi dati certi che tali monete si battessero immediatamente dopo la pubblicazione del decreto che ne ordinava lo stampo. Pare in quella vece che si lasciassero scorrer degli anni talvolta anzi che la zecca veneta vi desse esecuzione. La mancanza di sigle nel pezzo di Sebenico ci vieta conoscere l'anno preciso in cui si diede mano al lavoro dell'uno o dell'altro de' varii suoi tipi; benché dalla terminazione del 1499 appaja che anteriormente se ne fossero di già coniate; ma ben abbiamo l'epoca certa di simili bagattini per altre comunità; epoca dalla quale agevolmente rilevasi che dal giorno del decreto a quello dell'esecuzione d'esso lasciavansi d'ordinario scorrere anni ed anni. Né credo ingannarmi nell'affermare che il decreto primo riportato, quello cioè del 1485, non si sia, per qualsivoglia cagione, eseguito; e forse indi trasse motivo la nuova supplica de' Sebenicesi e il secondo decreto del 1491.

Offre la moneta in discorso dall'un lato la imagine stante dell'arcangelo Michele visto di fronte, tenente nella destra la lancia, nella sinistra un globo sormontato da croce, e calpestante il dragone che sottesso a' suoi piè si contorce. D'intorno è la epigrafe S. MICHAEL SIBENIC (o SIBNIC). L'altro lato presenta il leone di S. Marco in gazzetta, intorno a cui la scritta: +. S. (o SANCTVS) MARCVS. (più raro MARRC.) VENETI. In alcuni esemplari il leone è chiuso da un cerchio di perline. Varia il diametro di queste monete da m. 0,016 a m. 0,018, e il peso da k. 5. 1 a k. 9. 0. Le quali discrepanze di peso, che ne' miei studii ebbi ad avvertire ben maggiori in epoche successive, ci provano che i Veneziani nelle monete di puro rame o di ottone (equiparato al rame) non calcolavano che il valor nominale, comeché in alcuni casi, come si vide parlando delle gazzette, ne precisassero con esattezza soverchia anche il peso.

[T4] ZARA.

Seconde in ordine cronologico, ma ben più rare, vengono dietro alle sebenicesi le monete di Zara. Questa città, delle dalmate la più popolosa e più illustre, retta da un conte che amministrava la giustizia in nome de' Veneziani, al cui governo ben nove volte s'erano ribellati que' cittadini per darsi al re d'Ungheria, rimase dal 1409 in poi costantemente soggetta alla Repubblica di S. Marco. Il bisogno di moneta spiccia per le più umili classi della popolazione determinò la comunità di Zara a seguire l'esempio dato da Sebenico di chiedere alla Signoria lo stampo di un bagattino che offrisse da un lato il simbolo di S. Marco, dall'altro S. Simeone patrono del comune. Alla supplica dei Zaratini accondisceva il Consiglio de' Dieci col seguente decreto:

[I[ 1490 (more v. o 1491) 2 fevrer.]I]

[I[ El domanda la fedellisima comunità nostra de Zara che li conzedamo per comudità di poveri che in la zecha nostra se faza et cunia ducati 200 de bagatini, simeli a quelly che fono dadi ala comunità de Sibinico; exzeto che al'imprexa de Sancto Michiel sia meso la jmagine de San Simon; quali denari siano mandati a Ilustrisimi Retori de Zara; e per che l'e conveniente satisfar ala soa petizion, e però anderà parte:]I]

[I[ Che per autorità de questo Conseio sia chunidi in zecha ducati 200 de bagatini con la impresiom predita. I quali sieno mandadi ali predicti rectori.]I]

Il bagattino di Zara è, come quello di Sebenico, di puro rame o di ottone. Presenta nel suo diritto la mezza figura del santo profeta Simeone ravvolto in ampio manto e che tiene sul destro braccio l'Uomo- Dio bambino. Intorno ha l'epigrafe . S . SIMEON . IVSTVS . PROFETA. Al rovescio è il solito leone di S. Marco in gazzetta chiuso da cerchio di perline e attorniato dalla consueta leggenda . + . S . MARCVS . VENETI. Il peso de' pochi esemplari che ne ho esaminati varia da k. 7. 2 a k. 8. 3; il disegno e il conio ne sono trattati con molta perizia; il diametro è di m. 0,018. Di questa moneta, della quale non conosco che un tipo solo, il Museo Correr ha tre esemplari.

[T4] TRAÙ.

Verso la fine del X secolo, Traù fu delle prime castella della Dalmazia che riconobbero la sovranità della Repubblica, giurando fedeltà a Pietro Orseolo II nella famosa spedizione che questo doge capitanava per sollevare le coste dalmate dal giogo de' Narentani. Mentre le armi della Repubblica erano nel 1123 impegnate nella Siria, Traù fu presa da' Saraceni, ai quali poco dopo la ritolsero i nostri. Passata intorno al 1158 in potere dell'impero greco, la riebbe dopo brevi anni Vitale Michiel II. Nel 1313 Giovanni Soranzo la ripigliava su re Lodovico d'Ungheria fattosene a forza padrone e la ridava a libertà; ma i traguriensi preferivano all'autonomo reggimento il dominio della Repubblica a cui facevano dedizione spontanea nel 1322 per, ricadere nel 1356 nelle mani degli Ungheri, a' quali fu definitivamente ritolta da' nostri nel 1420. La governava un patrizio col titolo di [I[conte]I], che vi si mutava ad ogni 32 mesi.

Ducava Agostino Barbarigo allorché la comunità di Traù supplicò nel 1492 a' Veneziani le concedessero una moneta simile a quella che aveano concessa a Sebenico; sulla quale fosse improntata, oltre il simbolo della Repubblica, la imagine del loro patrono. La Signoria accoglieva con favore la giusta domanda di quella fedele città, e il Consiglio de' Dieci stanziava la legge che segue:

[I[ Adi 19 marzo 1492.]I]

[I[ L'è suplicado per la nostra comunità fidelle de Traù
ch'el sia chunido in la Zecha nostra ducati 50 de
bagatini a simillitudene et quallità de bagatiny i
qualli fono consesy ala comunità de Sibinicho. E
conziosiache in questa onesta domanda ly sia compiaxudo:]I]

[I[ L'anderà parte che per autorità de questo Conceo el sia
coniado ducati 50 de bagattini de la sorte e qualità di
quelli i qually fono dadi ala comunità de Sibinicho
con la impression de san Marcho in soldo da uno lady
e santo Lorenzo da l'altro.]I]

II bagattino di Traù offre nel campo del diritto il santo diacono in piedi e di prospetto, in lunga veste talare, e che nella destra tiene la graticola simbolo del suo martirio, nella sinistra un oggetto che lo stato degli esemplari ch'ebbi sott'occhi non mi permise di ravvisare, ma che sembra sia un edificio a rappresentazione della città o della chiesa che a Traù gli fu eretta. Lo attornia la epigrafe . S . LAVRENTIVS TRAGVR: e a' suoi lati iniziali N. M. ricordano Nicolò Michiel conte a Traù nel 1516, perché solo in quell'anno ebbe esecuzione la parte dei Dieci decretante lo stampo di questa moneta.

Il rovescio è il solito leone di S. Marco in gazzetta intorno a cui un cerchio di perline ed oltr'esso la consueta leggenda + SANCTVS. MARCVS. VENETI. Il peso de' 7 esemplari che ne osservai, 6 nel Museo Correr, 1 alla Marciana, varia da k. 7. 3 a k. 9. 2. Il diametro è l'ordinario di m. 0,018.

[T4] SPALATO.

Assai più comuni di quelli di Traù sono i bagattini della monumentale città di Spalato, o Spalatro, eretta sulle ruine del palazzo di Diocleziano e coi materiali d'esso e della vicina Salona. Ricaduta, dopo le vicende che fecero tante volte mutar governo a Traù, sotto il dominio de' Veneti nel 1420, ebbe anch'essa il suo reggitore in nome della Repubblica col titolo di [I[conte]I].

Il 26 febbrajo 1490, [I[more veneto]I], o 1491 [I[more romano]I], il C. X. accordava agli Spalatini l'implorata moneta recante le imagini di S. Marco protettore della Repubblica e di S. Doimo o Domnio patrono della loro comunità. Ecco il tenore di quel decreto:

[I[ 1490 adi 26 fevrer.]I]

[I[ Perché i ambasatori de la nostra Comunità de Spalato con granda instanzia domandano per comodità de la sua zità e di poueri che li sia conzeso in la Zecha nostra de chuniar ducati zento de bagatini ala similitudene de quelli i quali fono conzessi ala comunità de Zara et de Sibinicho; e questo con la imagine del proctetor nostro missier sam Marcho da uno ladi, et da l'altro sia santo Dompno:]I]

[I[ E però l'anderà parte che per autorità de questo Consejo sia conzeso a quela comunità che in la predita Zecha nostra sia coniado come e dito ducati zento de bagatini, et che de prexente essa Comunità abia d'esborsar la valuta de essi bagatini da esser fati.]I]

Il bagattino di Spalato è pur d'ottone e assai raramente di puro rame; varia nel peso da k. 7. 2 a k. 7. 3, ed ha comune il diametro colle altre monete di questa specie. Porge nel diritto la effigie stante del vescovo Doimo vestito delle sue insegne e tenente colla destra il pastorale, nella manca un libro; a' suoi lati alcune iniziali. Lo circonda la epigrafe . S . DOMINVS . SPALETI. Il rovescio offre al consueto il simbolo della Repubblica attorniato dalla leggenda +. SANCTVS. MARCVS. VENETI.

Di questa moneta tre diversi tipi vennero a mia cognizione; la varietà loro consiste nelle sigle del diritto. Del primo, che offre le iniziali ZF e M, il Museo Correr conserva 6 esemplari, altrettanti del secondo portante le sigle I e P, 4 del terzo che a' lati del santo ha D e G. È veramente singolare che nella serie de' conti di Spalato, conservataci nel [I[Libro Reggimenti]I] alla Marciana, nessun nome fra loro s'accordi colle suddette iniziali ad eccezione di quello di Jacopo Baffo o Paffo conte nel 1500 al quale spettano le sigle I e P.

Non sarà inutile il ricordare che prima della conquista veneziana del 1420, Spalato ebbe zecca propria e vi stampò monete del suo signore, Hervoja. Delle quali l'unica di cui sia accertata la esistenza, comeché molto rara, è il grosso d'argento riportato dal Nani nella più sopra ricordata operetta [I[de duobus Imperatorurn Rassiae nummis]I], tav. II n. XVIII, ed illustrata ivi parimente a pag. 58. Offre questa moneta (che pur si trova nel Museo Correr e nella Marciana) da un lato la imagine stante del patrono di Spalato, attorniata dalla leggenda . S. DOIMVS. SPALETI M. ([I[Martyr]I]), dall'altra lo scudo del duca Hervoja sormontato da un cimiero foggiato a braccio che stringe una spada in atto di percuotere; nel campo ha tre gigli disposti verticalmente, e all'ingiro la scritta: M. ([I[moneta]I]) CHERVOII DVCIS. S. ([I[Spalatensis]I]). Del duca Hervoja che morì nel 1415 può vedersi il Du Cange, [I[Fam. Byz. Dalm.]I], Par. 1680, pag. 339.

[T4] LESINA.

Ultima nell'ordine cronologico e nel geografico delle monete delle singole terre dalmate viene quella di Lesina, che però tutte le supera in rarità. Non ne trovo menzione in alcuna opera numismatica, e lo stesso diligentissimo Zon non la conobbe, benché l'avesse veduta e ne sbagliasse la lettura dell'epigrafe, che gli fece ritenere foss'essa di Alessio d'Albania. Gli abitanti di Lesina, grand'isola che nel 1424 passava per cessione dalle mani del suo signore Aliota Capenna a quelle della Repubblica che vi mandava a reggerla un [I[conte]I], imploravano nel 1493 la grazia conceduta alle altre comuni della Dalmazia, che fosse coniata nella veneta zecca una moneta pe' bisogni del traffico minuto, segnata dell'imagine di santo Stefano loro patrono. Ebbi la ventura di rinvenire il decreto che ordina anche lo stampo di questa moneta, e qui lo riporto:

[I[ 1493. 25 sett. in C. X. cum Add.]I]

[I[ Quod auctoritate hujus Consilii concedatur fideli comunitati nostrae Lesinae sic humiliter supplicanti, quod in Cecha nostra cudantar ducati 70 in 100 bagatinorum de puro ramine ad valorem duodecim pro marcheto, sicuti sunt illi de Jadra et Spaleto; cum signatura ab uno latere santi Marci in soldo et ab alio santi Stephani. Et haec pro comodo pauperum personarum illius terrae et insulae. Et hoc fiet postquam ipsa Comunitas dederit amontare dictorum bagatinorum.]I]

Il bagattino di Lesina è anch'esso d'ottone, del solito diametro, e del peso di k. 7. 2. Dal lato diritto ha l'effigie del santo in abito di vescovo, che nella destra tiene una croce, un libro nella sinistra, ed è attorniato dall'epigrafe . S . STEPHANVS. PONT. LESINENSIS, notandosi per esattezza che le S di questa leggenda sono tutte a rovescio. L'altro lato offre il consueto simbolo dell'Evangelista cinto da un cerchio di perline oltre cui la scritta: +. SANCTVS. MARCVS. VENETI.

I quattro esemplari che ne ho veduti, de' quali 2 nel Museo Correr, 1 alla Marciana, 1 a Padova ora passato a Trieste, mi porsero un solo tipo, avente sempre a' due fianchi del santo vescovo le iniziali V e O. Queste sigle ci provano che solo nel 1549 si diede esecuzione al surriferito decreto 1493, perché in quell'anno sedeva conte e provveditore a Lesina Vincenzo Orio.

[T3] CITTÀ D'ALBANIA.
[T4] CATTARO.

Nella parte più internata del [I[Seno Rizonico]I], le cui sponde aprendosi fra la Punta d'Ostro e la penisola di Lustiza danno angusto passaggio alle acque dell'Adriatico, signoreggia un ridente e popoloso territorio, chiuso d'ogni lato dalle rupi del Montenegro e dal mare, la bella città di Cattaro eretta sulle ruine dell'antica Ascrivio. Passata nello smembramento del greco impero in potere de' re di Servia e di Rascia, ebbe da loro larghissimi privilegii, e fiorì per opulente commercio fino all'anno 1366 quando le armi di Lodovico d'Ungheria la tolsero a re Tuartco. Undici anni erano appena trascorsi quando i Veneziani, combattenti Lodovico alleato de' Genovesi, le misero nuovamente l'assedio e la posero a ferro e a fuoco. Ritornata poi in mano a Tuartco, era più tardi ripresa da Ladislao pretendente al trono ungherese, che la cedeva poscia a re Sigismondo. Emancipatasi da questo monarca, dopo breve governo autonomo, si dedicava Cattaro spontaneamente alla Signoria di Venezia nel 1420.

Suddita ancora a' re di Rascia, ma nullameno reggentesi con proprio
statuto, ebbe nel secolo XIV diritto di zecca che esercitò improntando
monete coll'imagine del suo patrono S. Trifone e con quelle di Stefano
Dusciano re ed imperatore di Rascia e di Bossina e del costui figlio
Urosio; monete il cui tipo fu pubblicato prima dal Nani nell'operetta
[I[de duobua Imperatorum Rassiae nummis]I], e poi da quel Flaminio
Corner senatore, così benemerito della storia ecclesiastica di
Venezia, nel suo bel libro [I[Catharus Dalmatiae civitas]I], 1759.

Gli statuti di Cattaro scritti in quel secolo, e posteriormente mantenuti in vigore da' Veneziani, de' quali non ho potuto vedere la rara edizione del 1616 ma sì un codice antico nella Marciana (Cl. V. n. 32), toccano della zecca di quella città, leggendovisi il seguente capitolo:

[I[ Item elligantur per sex menses duo legales et experti
Cecheri supra monetam civitatis faciendam, et habeat
ipsorum quilibet pro salario yperperos decem, et quicumque
in hoc offitio esse noluerit solvat de poena
yperperos vigintiquinque.]I]

Anche nel breve intervallo che corse fra la emancipazione di Cattaro dal reame ungherese e la sua dedizione alla Repubblica Veneta, esercitò essa questo sovrano diritto battendo monete autonome, portanti dall'un de' lati la imagine e il nome di S. Trifone, dall'altro un castello con all'ingiro la epigrafe CIVITAS CATARI.

Sennonché, a differenza d'altre comunità le quali, incorporate negli stati della Repubblica, aveano perduto questo loro antico diritto, Cattaro volle conservarlo, e veramente per secoli lo conservò. Un privilegio veneziano del 1423 concede espressamente [I[quod in Catharo cudatur moneta juxta suas consuetudines]I]. Né può cader dubbio che que' cittadini non esercitassero questo diritto che i Veneziani mediante un trattato loro aveano accordato. Se anche non avessimo le prove che Cattaro veneta mantenne per oltre dugent'anni la sua zecca, il tipo delle monete che indi uscirono le prova indubbiamente non veneziane. Mentre i nummi veneti de' secoli XV e XVI si mostrano prodotto di un'arte adulta e nelle figure maestrevolmente incise e ne' pezzi regolarmente arrotondati e presentanti le superficie uniformi, quelli cusi a Cattaro annunciano un'arte tuttora bambina nelle rozze figure, ne' caratteri tendenti al gotico anche su' pezzi battuti nel secolo XVI quando la zecca nostra delle lettere gotiche avea sbandito ogni avanzo, nella forma de' pezzi mal rispondente al conio su cui doveano improntarsi e nella varia grossezza delle diverse parti d'uno e medesimo pezzo. Che se tanta sbadataggine si pose ivi ne' tipi, è facile imaginare a quali disordini facessero luogo a loro insaputa que' mal pratici monetarii. E vaglia il vero, l'alterazione del titolo primitivo nei nummi di Cattaro determinò il governo veneto l'anno 1627 a decretare che delle paste da monetarsi in quella città si facesse preventivamente l'assaggio nella zecca veneta. Ma tornò inutile anche questa misura, perché la inesperienza degli zecchieri albanesi continuava a battere leghe diverse dai campioni offerti all'assaggio; talché quella legge, impossibile ad essere eseguita, perdé l'anno seguente ogni vigore, e il danno che da queste continue ed involontarie alterazioni de' nummi sofferiva il commercio, consigliò i negozianti a rivolgersi alla zecca nostra per far monetare le loro verghe. Onde nacque che la officina di Cattaro andò di mano in mano scemando di lavoro e finì verso la metà del secento col chiudersi affatto: non così però che quegli abitanti rinunciassero al loro antico diritto, che gelosamente si riserbarono. Quindi nel 1787 l'autore dell'opera insigne [I[Descrizione dello Stato Veneto]I], Vincenzo Formaleoni, che tanto si giovò degli studii del naturalista Fortis, scriveva: [I[Ne' tempi che i Cattarini vissero sotto la protezione de' re di Rascia ebbero il diritto di battere monete, siccome lo hanno anche presentemente confermato loro dalla Repubblica, e potrebbero farne uso qualora volessero]I] (T. III pag. 5).

Quanto a' nomi ed alla qualità delle monete che correvano a Cattaro dopo la occupazione veneziana e v'ebbero corso fino a che a poco a poco sottentrò a quelle la monetazione della metropoli, tre diverse ne trovo ricordate dagli autori e dai documenti, gl'[I[iperperi]I], i [I[grossi]I], i [I[follari]I].

[T5] Iperpero.

L'iperpero, che vediamo frequenti volte citato negli [I[Statuti]I], e il cui nome ricorre anche in quel breve capitolo che ne abbiamo allegato, era una moneta ideale, il cui valore corrispondeva a 7 grossi veneziani. Non saprei invero decidere se quell'aureo nummo di Urosio Milutino che primo riporta nelle sue tavole il Nani abbia a ritenersi un iperpero o un doppio iperpero, non indicandosi dall'autore quale ne fosse il peso. Se in alcuno de' musei nostri avessi trovato esistere questo rarissimo pezzo, sarebbe stato agevole lo sciogliere l'intricata questione.

[T5] Grossetto.

Esiste bensì a Venezia, nel Museo Correr, un unico esemplare del [I[grosso]I], altramente chiamato nei documenti [I[grossetto]I]. Questo bel pezzo, di rarità esimia, è d'argento fino e del peso di circa k. 5. Tanta n'è la somiglianza colle monete battute da' Cattarini sudditi a' re di Rascia che lo si scambierebbe con esse se non ne fosse diversa la leggenda del rovescio. Al Nani ed al Corner pare sfuggisse questa singolare moneta, se non le diedero luogo nelle loro tavole, né la ricordarono illustrando altri nummi di Cattaro.

Il diritto è il medesimo che appare sui grossi di Stefano Dusciano e d'Urosio suo figlio; offre cioè il santo patrono della comunità, cinto il capo di nimbo, coperto di lunga vesta, veduto di prospetto e tenente nella destra la palma del martirio; lo chiudono due archi di cerchio formati di perline, simili a quell'ellisse che avvolge la figura del Redentore ne' nostri zecchini. All'ingiro è la epigrafe . S. TRIFON. CATARES ([I[Catharensis]I]). Nel rovescio è l'imagine di S. Marco molto somigliante all'ultima rappresentazione che de' re di Rascia ci danno le monete di Cattaro. Siede il santo evangelista di fronte, coperto il capo di corona reale sopra la quale gira però il nimbo di perle; nella destra sembra tenere uno stilo od un calamo, il libro de' Vangeli nella sinistra; in quella vece gl'[I[imperatori]I] Stefano ed Urosio tenevano una croce nella destra, e nella manca un globo pur sormontato da croce. D'intorno al S. Marco gira la consueta leggenda S. MARCVS. VENETVS. Messe a calcolo le circostanze di peso, di titolo, di tipo, riterrei questa moneta la prima battuta da' Cattarini dopo la loro sommessione a Venezia, né crederei prender abbaglio nell'attribuire a quest'epoca stessa, nel 1423 o poco dopo, il men raro grossetto di Scutari, del quale ci occuperemo in appresso.

Parlando tuttavolta de' grossetti di Cattaro, e toccando necessariamente di quelli battuti col nome e colla imagine dei re di Rascia, troppo credo interessare la veneta numismatica il far un cenno, sia pur di volo, de' più antichi grossi coniati da que' re a somiglianza de' veneziani.

È noto come il primo [I[grosso veneziano]I], a cui dassi comunemente il nome di [I[matapane]I] (nome ch'io vorrei escluso da ogni libro di numismatica perché adottato soltanto in epoca tardissima dai numografi ma non ricorrente mai né in documenti sincroni né in memorie di zecca) fosse coniato sotto la ducea di Enrico Dandolo nel 1202, e si chiamasse allora [I[ducato]I], nome che poi passò alla prima moneta d'oro battuta nel 1283 sotto Giovanni Dandolo, e si ragguagliasse a denari piccoli 26, o secondo il Carli a soli 24, o a 2 soldi. Maestro Martino da Canale, storico veneziano del secolo XII, la cui [I[Chronique des Veniciens]I] redatta in antico francese si pubblicò nel vol. VIII dell'Archivio Storico Italiano, è il primo autore che ricordi la origine di questa bella moneta. [I[Messire Henric Dandle, li noble Dus de Venise, mande venir li charpentiers, et fist erraument (1202) apariller et faire chalandres et nes et galies a plante; et fist erraument faire mehailles d'argent por donner as maistres la sodee]I] (soldo, salario) [I[et ce que il deservoient, que les petites que il avoient]I] (intendi i denari o piccoli) [I[ne lor venoient enci à eise. Et dou tens de monseignor Henric Dandle en sa fu comencie en Venise a faire les nobles mehailles d'argent que l'en apelle ducat, qui cort parmi le monde por sa bonte]I] (p. 320).

L'immenso spaccio ch'ebbe nel volger di pochi anni questa nuova moneta mosse i re di Rascia ad imitarne il tipo; ond'ebbero origine i grossi, simili a' nostri, di Stefano e del primo Urosio. Di quest'ultimo i primi serbavano il peso e il titolo de' veneziani, quelli coniati più tardi ne serbavano il peso ma n'era molto scemato il titolo. Questa adulterazione, fatta con tanta malafede da quel re di cui disse Dante

[I[Che male aggiustò il conio di Vinegia]I] (Par. XIX, 441)

determinò la Repubblica a riguardare come falsi i grossi rasciani, ed a decretarne formalmente il bando colla seguente terminazione del 1282:

[I[ MCCLXXXII. III Martii in Majori Consilio.]I]

[I[ Capta fuit pars quod addatur in Capitulari Camerariorum Communis et aliorum offitialium qui recipiunt pecuniam pro Communi, quod teneantur diligenter inquirere denarios Regis Raxiae contrafactos nostris venetis Grossis, si ad eorum manus pervenerint, et si pervenerint teneantur eos incidere et ponantur omnes campsores et omnes illi qui tenent stationem in Rivoalto et eorum pueri a XII annis supra ad Sacramentum, quod inquirant diligenter bona fide praedictos denarios, et si pervenerint ad eorum manus teneantur eos incidere. Et si alicui personae inventi fuerint de praedictis denariis a XII supra, quod illa persona cui inventi fuerint perdat decem pro centenario de omnibus, quod eis inventi fuerint illi denarii, et debeant incidi. Et hoc stridetur publice illa die, vel altera, qua captum fuerit in M. C. quod a XV diebus in antea quilibet cui inventi fuerint, incurrat poenam praedictam, et medietas poenae sit invenientis et medietas Communis, et deveniat in Cameram Communis. Et mittantur litterae de praecepto per Sacramentum omnibus Rectoribus praeter Comitem Ragugii, et addatur in commissionibus illorum Rectorum, qui de caetero ibunt propter Dominium, praeter dictum Comitem Ragugii, quod omnes denarios praedictos qui ad eorum manus pervenerint vel eorum offitialium teneantur incidere vel incidi facere, et quod ipsi constringant gentem suam per illos modos quibus eis melius videbitur quod praedicti denarii non currant per suos districtus, et incidantur si invenientur.]I]

Fallita a re Urosio la turpe impresa e scoperta da' Veneziani la frode, i re di Rascia mutarono il tipo de' grossi loro, staccandolo da quello de' veneziani.

Fatta questa breve digressione che si lega intimamente colla numismatica albanese, e che illustra un passo di Dante con una terminazione del Maggior Consiglio di Venezia, riconduciamoci a parlare de' grossetti di Cattaro. Dopo il pezzo che ho più sopra descritto e che dal tipo e dalla forma de' caratteri, non men che dalla bontà dell'argento, tenni battuto ne' primi anni della veneta dominazione in quella città, volsero due secoli prima che un nuovo grossetto ivi s'improntasse; o almeno non so che alcuno ve n'abbia anteriore a quello che riportò il Nani alla tav. I n. XVII, e sul disegno del Nani diede ricopiato il Corner. Questo pezzo, comeché moderno, coniato cioè fra il 1624 e il 1627 dev'esser di gran rarità se manca a tutte le ricche collezioni ch'ebbi agio di esaminare, talché mi fu tolto l'averlo sott'occhi e formarne oggetto d'indagini più minuziose. L'esemplare che vediamo inciso nell'operetta del Nani era conservato nel museo dello stesso autore.

Offre da un lato questa moneta argentea, avente un diametro di m. 0,017, la imagine stante di S. Trifone coronato di nimbo il capo e tenente nella dritta la palma del martirio, nella sinistra un castello turrito e merlato; sporge questa figura nella sua parte inferiore e nella superiore fuori d'un cerchio di perline oltre cui la leggenda . COMTAS = CATARI. Il rovescio presenta S. Marco seduto, rivolto alcun poco alla destra del riguardante ed in atto di scrivere il suo Vangelo. Oltre il cerchio di perline che attornia la figura gira la epigrafe . S . MARCVS . VENETUS. Nell'esergo ha uno scudo gentilizio fra due iniziali . P e M . che indicano il nome di Pietro Morosini rettore e provveditore di Cattaro dal 1624 al 1627. Le armi sono quelle della famiglia Morosini. Se il disegno di questa moneta che ci dà il Nani è fedele, come dobbiamo ritenere dal confronto di altri tipi offertici nelle sue tavole colle monete effettivamente esistenti ne' nostri musei, dobbiamo confessare che fra tutt'i nummi di Cattaro questo è senza dubbio singolarmente bello. La figura dell'evangelista è segnata con pochi tocchi maestri; dignitosa l'aria del volto in dimensioni sì tenui, corrette le pieghe dell'ampio manto che lo avvolge; è in una parola tal disegno che lo si potrebbe tenere inciso a Venezia, se troppo forti ragioni non mi consigliassero a restituirlo alla zecca di Cattaro.

Sappiamo infatti da scrittori e da documenti contemporanei che nel 1627, sotto la reggenza del medesimo Pietro Morosini, furono de' grossetti ivi allora battuti recati alla zecca nostra. Chi venne incaricato dell'assaggio di queste monete le riscontrò a peggio 238 per marca, ad un titolo cioè di molto inferiore al legale. Quale però si fosse questo titolo legale a cui doveano attenersi gli zecchieri albanesi, non si può agevolmente conoscere. La rarità singolare del più antico grossetto toglie che s'istituiscano sovr'esso esami d'assaggio, né d'una moneta di cui si reputa esistere un solo esemplare dee il numografo valersi, quand'anche fosse sua, per distruggerla o spezzarla. Tutti sanno quanto dubbioso sia l'assaggio per semplice tocco, quantunque non alteri sensibilmente la moneta esaminata; dal tocco la mi parrebbe questa in discorso, d'argento peggio k. 50 all'incirca, di un titolo cioè che s'accosterebbe a quello de' grossi veneziani, valutato dal co. Mulazzani a Milano a 0,952. Né mi fu pure possibile procurarmi alcuno de' mezzi grossetti, che però occorrono più frequenti ne' pubblici e privati medaglieri, comeché il semplice tocco accusi la bontà di questo spezzato, simile a quella del suo intero. Vedemmo più sopra come la Signoria di Venezia, verificata nel 1627 l'alterazione del titolo de' grossetti di Cattaro, li richiamasse inutilmente all'assaggio alla zecca nostra, e come poi andassero del tutto in disuso.

In che rapporto stava però il grossetto all'iperpero? Nel 1420, quando i Veneziani occuparono il territorio di Cattaro, ducando Tommaso Mocenigo, il grosso veneto era disceso dal peso originario di k. 11 a quello di k. 7. 3 71/295; e il suo valore era montato da piccoli 24 ovvero 26 a soldi 4, facendosi all'epoca stessa il soldo di k. 1. 3 239/295. Il grosso di Cattaro invece, che dal minor suo peso in confronto del veneziano si disse [I[grossetto]I], corrispondeva a due terzi di quello, valeva cioè ridotto in moneta veneziana denari o piccoli 32. Ragguagliato invece all'iperpero che vedemmo valutato grossi veneziani 7, un iperpero valeva grossetti di Cattaro 10 1/2.

[T5] Mezzi Grossetti.

I ragguagli stessi che demmo del grossetto raffrontato al grosso veneziano e all'iperpero valgono per la sua metà. La moneta dunque, della quale andremo ora ad occuparci, corrispondeva a 2/6 del grosso veneziano, cioè ridotta in moneta nostra valeva piccoli 16; e quando l'iperpero si valutava 7 grossi veneziani ci volevano necessariamente 21 mezzi grossetti a formare un iperpero. Troviamo talvolta indicato nelle memorie di zecca questo spezzato del grossetto col nome di [I[gazzetta]I], nome che suonò costantemente pezzo [I[da soldi due]I]. Bisogna quindi ammettere che anche i Cattarini spartissero il loro grossetto in quattro soldi minori, equivalenti ciascuno a 2/3 del soldo veneziano; o che l'abitudine de' nostri di chiamar gazzetta la metà del loro grosso, facesse applicare quel nome alla metà del grossetto albanese. Io terrei per la prima supposizione.

Tre varietà di tipi, molto fra loro distinti, si conoscono di questa piccola moneta d'argento, i cui esemplari mi offersero quasi costantemente un peso di k. 2. 2, benché il loro grado di conservazione lasci supporre che quella cifra in origine dovess'essere alcun poco più alta.

[I[Primo tipo = Mezzo grossetto col S. Marco]I]. Il diritto presenta l'imagine di questo Evangelista, seduto di fronte, cinto il capo di corona reale e attorniato di nimbo, tenente nella d. lo stile, nella s. il Vangelo; dinanzi alle sue ginocchia sorge uno scudo portante le armi gentilizie del rettore di Cattaro; all'ingiro è la epigrafe . S . MARCVS VENETVS. (o VENETI.). Il rovescio offre il patrono di Cattaro in piedi, veduto di prospetto e recante nella destra la palma del martirio, nella manca una croce; lo circonda la consueta leggenda . S . TRIFON. = .CATARI. A' suoi fianchi si scorgono tre varietà di sigle ne' diversi esemplari: hanno alcuni F e P, altri ZF e C, altri finalmente P e D. Spettano le prime a Francesco Pisani rettore e provveditore di Cattaro nel 1548, le seconde a Zuan Francesco Canal che vi sedette nel 1551, le terze a Paolo Donà che vi coprì quella carica nel 1552; gli stemmi sono su ciascun pezzo corrispondenti a quelli delle famiglie dei diversi rappresentanti.

[I[Secondo tipo = Mezzo grossetto col leone]I]. Offre nel suo diritto il leone di S. Marco in soldo chiuso da cerchio di perline, e sott'esso nell'esergo uno scudo gentilizio; gli corre intorno, fuori del cerchio, la scritta +. S. MARCVS. VENETVS. Il rovescio è simile a quello del tipo precedente, ma è variato nelle sigle che fiancheggiano il santo martire, recando altri esemplari A e M, altri Z e L. Le iniziali e lo stemma de' primi appartengono ad Alvise Minotto che sedette rettore e provveditore di Cattaro nel 1567; non così sono agevoli a determinarsi quelle dei secondi, perché non potei vederne che il disegno esibitoci dal Nani (tav. I n. XV) tratto da un esemplare la cui mediocre conservazione non lasciava discernere bene lo scudo; spettano però fuor di dubbio o a Zuanne Loredan che vi sedette nel 1590, o al suo successore nel 1592 Zuanne Lippomano. Questo tipo ricorre nelle raccolte più raro del precedente, e manca anzi affatto al Museo Correr.

[I[Terzo tipo = Mezzo grossetto collo stemma]I]. Registro questa moneta, ch'io mai non vidi, sull'autorità del diligentissimo Nani il quale la diede nella sua tavola I al numero XVI, traendola dall'esemplare posseduto a' suoi giorni (1752) nel museo del patrizio Marcantonio Savorgnan. Il diritto presenta uno scudo bipartito da una banda trasversale nel cui mezzo è il leone di S. Marco in gazzetta; all'ingiro dello scudo corre la leggenda +. S. MARCVS. VENETVS. Il rovescio è simile a quello de' due tipi precedenti, sennonché il santo patrono di Cattaro è fiancheggiato dalle iniziali Z e M. Le armi figurate nel diritto spettano alla famiglia Magno, un individuo della quale, Zuanne, era rettore e provveditore a Cattaro nel 1597.

Dalle memorie di zecca sembra che nel 1627 siansi battute gazzette (che vedemmo equivalere a' mezzi grossetti) in quella città, le quali si trovarono da' monetarii della metropoli a peggio 443 per marca. Ma di questi pezzi non n'esiste alcuno nelle nostre raccolte, che avrebbe dovuto recare, come il già riportato grossetto, le iniziali di Pietro Morosini e gli stemmi della costui famiglia.

[T5] Quattrini?

La singolare scarsezza in cui ci troviamo di memorie della officina nummaria di Cattaro non mi permette chiamare col vero suo nome la moneta erosa alla quale, per analogia colle contemporanee della metropoli e dell'Italia Veneta, dò il nome di [I[quattrino]I], rispondente alla terza parte del soldo, o a quattro piccoli; non però del soldo veneziano, ma di un minor soldo che avrebbe dovuto ragguagliarsi alla quarta parte del grossetto albanese. La bassissima lega che si riscontra ne' pochi esemplari che potei esaminarne, de' quali uno solo monta al peso di k. 6. 3, laddove gli altri variano da k. 5 a 6, il sapersi che solamente di rame fu battuto il minimo spezzato della moneta di Cattaro, il [I[follare]I], l'uso de' quattrini reso generale a Venezia e ne' suoi possedimenti nel secolo XV, sono tutte ragioni per cui ho creduto di applicarvi, non senza titubanza, quel nome. Della quale moneta di lega assai vile, due tipi diversi, ciascuno con molte varietà m'offerì la doviziosa raccolta Correr.

[I[Primo tipo = Senza lo stemma]I]. Al diritto l'imagine stante di S. Trifone che stringe nella destra la palma, e a' cui lati s'osservano tre varietà d'iniziali, ad eccezione di un esemplare che non ha sigle di sorta; gira all'intorno la epigrafe SANTVS. TRIFON. Al rovescio il consueto simbolo di S. Marco, il leone in gazzetta, cinto da un cerchio di perline oltre cui la leggenda +. S. MARCVS. VENETVS. Questi pezzi sono di una rozzezza singolare ragguardati dal lato dell'arte, e importanti dal lato storico siccome gli unici coniati sotto il governo de' [I[conti]I] di Cattaro, che durò dal 1420 al 1480, in cui il rappresentante della Repubblica assunse la dignità di [I[rettore e proveditore]I]. Le sigle che vi si riscontrano sono le seguenti:

A. B. Antonio Boccole, primo conte, dal 1420 al 1422; o piuttosto Alvise Bon, dal 1464 al 1466.

L. B. Lodovico Baffo, 1451 a 1453.

F. L. Francesco Lippomano, 1477. Di costui dice il Corner nel più sopra citato libretto [I[Catharus]I] etc. p. 91: [I[Hic omnium postremus civitatem Catharensem comitis titulo administravit, publico enim decreto statutum fuit, anno 1480, ut Praesides Cathari deinceps Rectoris et Provisoris titulo insignirentur]I].

[I[Secondo tipo = Collo stemma]I]. Il tipo presente è quasi simile al primo, ma il santo martire, oltre la palma che stringe colla destra, tiene nella sinistra un castello, simbolo della città; qui pure v'hanno, come di consueto, sigle a' suoi fianchi. Nel rovescio ha uno stemma sotto il leone. Questo pezzo è fra quelli di Cattaro il più facile a trovarsi; barbaramente inciso e peggio stampato. Il peso ne varia straordinariamente, senz'ordine alcuno, talché due esemplari battuti a tre anni d'intervallo offrono la singolare differenza da k. 3 a k. 7. 2; differenza che non si saprebbe altramente spiegare se non facendo riflesso alla imperizia de' monetarii della zecca che mise fuori questi nummi bruttissimi. Ecco pertanto nel loro ordine di cronologia i rettori e proveditori di Cattaro, sotto i quali si coniarono queste monete. Le iniziali rispondono esattamente a' loro nomi, come del pari rispondono esattamente gli stemmi che vi scorgiamo delineati, con quelli della famiglia di ciascuno di loro.

P. T. Priamo Tron, 1488 a 1489.

IE. O. Girolamo Orio, 1492 a 1494.

S. C. Sebastiano Contarini, 1501 a 1503.

P. V. Paolo Vallaresso, 1508 a 1510.

P. Z. Pietro Zen, 1514 a 1516.

D. G. Domenico Gritti, 1526 a 1527.

M. B. Marco Barbo, 1527 a 1528.

B. V. Benedetto Valier, 1530 a 1532.

F. S. Francesco Sanudo, 1533 a 1534.

M. B. Matteo Bembo, 1538 a 1540.

B. B. Battista Barbaro, 1546 a 1548.

F. P. Francesco Priuli, 1562 a 1563.

Un'altra moneta della zecca di Cattaro, anzi la più bella o, per meglio dire, la meno brutta che vi si battesse, fra quelle da me effettivamente vedute, credo opportuno collocarla, in via d'appendice, nella categoria de' quattrini, non potendo essa entrare per lo scarso suo intrinseco in quella de' mezzi grossetti, né per il peso eccedente e per esser di lega in quella de' follari di rame. Presenta dall'uno de' lati il martire S. Trifone, di prospetto, in lunga vesta di diacono, recante nella destra la palma, un castello od una chiesa nella sinistra; a' suoi lati le iniziali S e T, ed oltre il cerchio di perline ond' è avvolta questa figura la leggenda . COMTAS. = .CATARI. L'altro lato offre, pur di prospetto ed in piedi, S. Marco che nella manca tiene il Vangelo, e colla dritta benedice; il consueto cerchio gira intorno alla imagine ed oltr'esso è la epigrafe . S. MARCVS. = . VENETVS. Le S tanto dell'una quanto dell'altra faccia della moneta sono tutte a rovescio; nell'esergo a' piedi del S. Marco è uno scudo bipartito da una fascia orizzontale e fiancheggiato dalle sigle Z e M. Il diametro del pezzo è m. 0,0205, il peso varia ne' diversi esemplari da k. 8 a k. 8. 3. È non difficile a rinvenirsi nelle pubbliche e private raccolte; le sigle del diritto sono agevoli ad interpretare [I[Sanctus Tryphon]I], quelle del rovescio sono le iniziali del nome di Zorzi Morosini rettore e provveditore di Cattaro nel 1638, come pure a questo magistrato spetta lo scudo gentilizio a' cui lati si mostrano quelle sigle. È dunque la moneta presente l'ultima coniata in quella zecca.

[T5] Obolo o Follare.

Gli abitanti di Cattaro che serbarono nella loro monetazione il nome dell'iperpero bisantino, serbarono altresì quello di [I[follare]I], corruzione del [Gr[fóllera]Gr], [I[follis aereus]I], detto altramente dagli scrittori greci de' bassi tempi [Gr[fóla]Gr], [Gr[fólla]Gr], [Gr[fóles]Gr], e da ultimo [Gr[fóllis]Gr] onde il [I[follis]I] latino, e più tardi il [I[follaz]I] degli Spagnuoli. Queste monete che rispondevano al quarto dell'[I[asse]I] romano, vuolsi traessero il nome [Gr[apò tou fólleos]Gr], dal sacchetto di cuojo in cui le si riponeva, in quella guisa che gli orientali trafficanti cogl'italiani computavano a [I[borse]I]. Il più vecchio autore latino in cui occorra questo vocabolo è Lampridio nella vita di Elagabalo, che al cap. 22 ricorda gli [I[aurei]I], gli [I[argentei]I] ed i [I[folles aeris]I], del vario valore de' quali ultimi può consultarsi il Gronovio, [I[de pecunia veterum]I] l. 4. cap. 13 e 16.

Nel privilegio che accorda a' Cattarini di continuare a valersi della loro antica officina nummaria, datato 1423, si stabilisce che i due zecchieri, a' quali lo statuto patrio dava in mano l'amministrazione di quello stabilimento, v'invigilassero la fabbrica de' [I[follari]I] di rame. Parlando superiormente di quelle monete a cui diedi, non senza grave titubanza, il nome di [I[quattrini]I], ammisi la esistenza di un soldo albanese inferiore al veneziano del quale avrebbe costituito due terzi. Starebbe nelle medesime proporzioni il [I[follare]I] in rispondenza al bagattino veneto come 2 a 3. Quanto al peso, sappiamo che la zecca di Cattaro non si tenne soverchiamente esatta nel taglio de' pezzi da monetare; così può spiegarsi la varietà d'esso ne' diversi pezzi di rame che andrò enumerando, a' quali soli può spettare quel nome o l'altro d'[I[oboli]I], pur impiegato da' Greci ad indicare il minimo spezzato della moneta, quantunque nel medio evo la voce [I[obolo]I] fosse usata in Francia a rappresentare anche una moneta d'oro, onde venne il nome [I[obolus aureus]I].

Ma che avrò io a dire di quella piccola ma grossissima moneta di rame uscita nel declinare del secolo XV dalla zecca cattarina, di cui un solo esemplare è a mia notizia, conservato nel Museo Correr? Questa moneta, avente il tenue diametro di m. 0,018 e l'ingente peso di k. 20. 3, avrassi a riguardare un semplice follare, o un follare doppio, o fors'anche un mezzo grossetto in rame? Fino a che non si metta in miglior luce la storia di quella zecca, i cui documenti mancano quasi affatto agli archivii veneti, siami lecito avvisare in questo curioso pezzo un capriccio di zecca, uno di que' capricci de' quali ci porge tanti esempii la zecca nostra; voglio dire un semplice follare battuto s'un pezzo di rame di peso eccedente. Eccone pertanto la descrizione.

Nel diritto è la consueta rappresentazione del santo patrono di Cattaro, intorno a cui gira la leggenda SANTVS TRIFON, e a' cui lati le sigle F e L. Nel rovescio intorno al leone di S. Marco in gazzetta è la epigrafe S. MARCVS VENETI. I caratteri sono gotici. Le sigle F e L, non accompagnate da scudo gentilizio rendono incerto se questo pezzo spetti a quel Francesco Lippomano che fu l'ultimo governatore di Cattaro insignito del titolo di [I[conte]I] e che vi sedette dal 1477 al 1480, del quale ho più sopra riportato il quattrino, o meglio a Francesco Lion che vi fu rettore e provveditore dal 1485 al 1486.

Appartengono peraltro fuor d'ogni dubbio alla classe dei follari di rame quelle piccole monete aventi un diametro medio di m. 0,015 che recano dall'un de' lati il solito tipo di S. Trifone colla leggenda all'ingiro S. TRIFO (o TRIFON) CATARI e a' fianchi del Santo varie iniziali de' rettori; dall'altro il S. Marco in soldo rinserrato da un contorno quadrangolare con quattro stelline agli angoli, e negl'interstizii fra il quadrato stesso e il contorno della moneta le sigle S, M, V ([I[Sanctus Marcus Venetiarum]I]) e in quello inferiore uno scudo gentilizio. Vario è il peso degli esemplari, cioè da k. 2. 3 a k. 6. Riporto in ordine cronologico i rappresentanti della Repubblica a Cattaro sotto il cui reggimento si coniarono successivamente i [I[follari]I], esistenti quasi tutti nel Museo Correr, avvertendo che gli stemmi corrispondono appieno con quelli dei loro casati.

* sopra Z (ovvero Z), e S = Zaccaria Salamon, 1569 a 1570. Costui sostenne eroicamente la piazza contro il corsaro Barbarossa che ne avea intimata la resa, e la conservò incolume a Venezia.

* sopra V, e C = Vincenzo Canal, 1581 a 1583.

* sopra A, e G = Andrea (secondo il Corner, Antonio secondo il [I[Libro Reggimenti]I]) Gabriel, 1586 a 1588.

Z sopra F, e B = Zuan Francesco Bragadin, 1604 a 1606.

T e C = Tommaso Contarini, 1606 a 1608.

. . . . . . = Girolamo Molin, 1634 a 1636 secondo il Corner, ovvero Antonio Molin, 1637, secondo il [I[Libro Reggimenti]I]. Ne' quattro esemplari che di quest'ultimo tipo possede il Museo Correr è impossibile riconoscere le sigle del diritto, laddove è evidentissimo lo stemma dei Molin. Anzi qui giova aggiungere che tutti e quattro gli esemplari sono recusi su que' piccoli pezzi di rame che si battevano a Venezia ne' primi anni del secolo XVII e che portavano dall'un de' lati il busto della Vergine attorniato dalle iniziali * R * C * L * A * ([I[Regina Coeli Laetare Alleluja]I]), e che furono fabbricati in gran quantità dalla zecca nostra specialmente negli anni 1626 e 1632.

Riassumendo pertanto, prima di dipartirci delle monete di Cattaro, la enumerazione de' singoli conti e rettori che vi improntarono il loro nome o i loro stemmi, li registriamo nell'ordine cronologico, apponendo a ciascuno il numero che occupa nella serie, quale ce la lasciò Flaminio Corner, l'anno della elezione, e la qualità della moneta.

1. Antonio Boccole, 1420. [I[Grossetto senza sigle]I]. (?)

16. Lodovico Baffo, 1454. [I[Quattrino, 1.° tipo]I].

21. Alvise Bon, 1464. [I[Quattrino, 1.° tipo]I].

26. Francesco Lippomano, 1477. [I[Quattrino, 1.° tipo]I].

29. Francesco Lion, 1485. [I[Follare di peso eccedente]I]. (?)

31. Priamo Tron, 1488. [I[Quattrino, 2.° tipo]I].

34. Girolamo Orio, 1492. [I[Quattrino, 2.° tipo]I].

44. Sebastiano Contarini, 1501. [I[Quattrino, 2°. tipo]I].

58. Domenico Gritti, 1526. [I[Quattrino, 2.° tipo]I].

89. Marco Barbo, 1527. [I[Quattrino, 2.° tipo]I].

64. Benedetto Valier, 1530. [I[Quattrino, 2.° tipo]I].

63. Francesco Sanudo, 1533. [I[Quattrino, 2.° tipo]I].

67. Matteo Bembo, 1538. [I[Quattrino, 2.° tipo]I].

72. Battista Barbaro, 1546. [I[Quattrino, 2°. tipo]I].

73. Francesco Pisani, 1548. [I[Mezzo grossetto, 1.° tipo]I].

75. Zuan Francesco Canal, 1551. [I[Mezzo grossetto, 1.° tipo]I].

76. Paolo Donà, 1552. [I[Mezzo grossetto, 1.° tipo]I].

82. Francesco Priuli, 1562. [I[Quattrino, 2.° tipo]I].

85. Alvise Minotto, 1567. [I[Mezzo grossetto, 2.° tipo]I].

86. Zaccaria Salamon, 1569. [I[Follare]I].

93. Vincenzo Canai, 1584. [I[Follare]I].

95. Andrea Gabriel, 1586. [I[Follare]I].

97. Zuanne Loredan, 1590, ovvero

98. Zuanne Lippomano, 1592. [I[Messo grossetto, 2.° tipo]I].

101. Zuanne Magno, 1598. [I[Mezzo grossetto, 3.° tipo]I].

104. Zuan Francesco Bragadin, 1604. [I[Follare]I].

105. Tommaso Contarini, 1606. [I[Follare]I].

114. Pietro Morosini, 1624. [I[Grossetto citato dal Nani]I].

119. Girolamo Molin, 1634. [I[Follare]I].

124. Zorzi Morosini, 1638. [I[Quattrino colla imagine di S. Marco]I].

[T4] SCUTARI.

Ceduta nel 1404 dal suo signore Giorgio Balischio alla Repubblica Veneta, questa vi tenne un [I[conte e capitano]I], a cui più tardi si aggiunse il titolo di [I[provveditore in Albania]I]. Stretta da formidabile assedio dagli Ottomani nel 1474, mentre Antonio Loredan in nome di Venezia la reggeva, Scutari fu difesa con eroico coraggio da' nostri; sappiamo infatti del Loredan che alla popolazione, per manca vettovaglia affamata, offeriva a cibo le proprie carni purché all'impeto degli infedeli non si cedesse. E infatti brevi dì erano da quest'atto generoso trascorsi, quando Pietro Mocenigo sbloccava la minacciata città. Non è di questi cenni il parlare di quella memoranda difesa, né come il Governo Veneziano rimeritasse il capitano che l'avea sostenuta. In que' preziosi [I[Annali Veneti]I] dal 1457 al 1500, scritti da Domenico Malipiero e compendiati da Francesco Longo, che il conte Agostino Sagredo donava all'Italia nel 1843 inserendoli nell'[I[Archivio Storico Italiano]I] che il Vieusseux dirige e pubblica a Firenze, sono a vedersi le lettere colle quali la Repubblica ringraziava il Loredan del suo generoso operare, lettere che non saprei se più onorano quell'eroe o la Repubblica che sì degnamente ricompensava le magnanime azioni de' suoi prodi figliuoli. Ma pur troppo! il sangue versato a Scutari nella sua difesa poco le valse, perché nel 1477 i nostri furono da invincibili circostanze costretti a cedere ai Turchi quella piazza, molti de' cui abitanti cercarono asilo nella dominante.

Che Scutari nel sec. XIV, anziché passasse dal governo de' re di Rascia a quello del Balischio, avesse propria zecca, non oserei asserire. È bensì vero che abbiamo grossi del re Costantino recanti da un lato la imagine di questo monarca, dall'altro quella di S. Stefano patrono di essa città; de' quali grossi uno fu pubblicato dal Nani nella più volta citata operetta, alla tav. I n. II. Che più tardi vi si battesse moneta, quando cioè cadde in potere de' Veneziani, si hanno fondamenti abbastanza validi per negarlo. Nessun cronista ricorda che zecca vi esistesse nel secolo XV, non ne parlano documenti di sorte; e le monete stesse improntate col nome di quel comune si mostrano ne' loro tipi barbarici fattura della officina monetaria di Cattaro. Basta confrontare un grossetto di Cattaro, come sarebbe quello rarissimo del Museo Correr che ho descritto, con altro grossetto di Scutari per convincersi dell'identità della fabbrica di quelle due monete che pajono uscite dalla stessa mano. Quanto poi al loro peso ed al titolo, sono perfettamente uniformi. Talché io credo poter francamente asserire che Scutari per la propria monetazione si valesse sempre della zecca di Cattaro; e che in ambedue queste piazze corresse l'uguale moneta, o il grossetto ragguagliato a 2/3 del grosso veneziano.

È quel grossetto l'unica moneta scutarina ch'io sappia battuta sotto il dominio de' nostri. Il diametro n'è di m. 0,020. Offre da un lato il patrono della città, in piedi e veduto di prospetto, nimbato e coperto di lunga vesta da diacono, recante nella destra l'incensiere, un libro nella sinistra; lo attornia la epigrafe S. STEFANVS : SCVTARENSI (ovvero SCVTARENSIS). La iscrizione esce da un cerchio di perline che gira intorno alla figura del santo, la quale in qualche più raro esemplare è pur serrata da due archetti di cerchio, come il Redentore ne' nostri zecchini. A' lati del Santo v'hanno alcune iniziali che spiegheremo frappoco. Questa rappresentazione del protettore di Scutari è quella medesima che ci offrono le monete di questa città coniate sotto il governo de' re di Rascia, e la somiglianza de' due tipi ci muove a ritenere che anche i più antichi nummi scutarini siansi battuti nella zecca di Cattaro. Il rovescio reca il leone in gazzetta rinserrato da un cerchio di perline, oltre il quale è la leggenda . S . MARCVS : VENETIARUM : [Gr[G]Gr] C : (ovvero 7 C :). Le sigle del diritto, delle quali conosco tre varietà, che incontrai ne' quattro esemplari che di questo raro grossetto serba il Museo Correr, ci danno il nome de' conti e capitani durante il cui reggimento furono improntati i varii pezzi. Eccone la spiegazione:

B e C = Bertucci Civran, 1436.

P e M = Paolo Morosini, 1438.

F e Q = Francesco Querini, 1442.

[T4] ANTIVARI.

Ma fuor di dubbio fu battuto a Venezia il bagattino di puro rame o d'ottone di Antivari. Questa bella città d'Albania tennero i Veneziani, che vi mandarono a reggerla un podestà a biennio, dal 1405 sino al 1571, nel qual anno Alessandro Donà la cedeva mediante capitolazione a' Turchi, e reduce in patria veniva, come perpetratore d'atto codardo, punito. Ma la pace conchiusa fra la Repubblica e la Porta nel 1573, fissò per sempre le sorti di Antivari, incorporata d'allora ne' possedimenti dell'impero ottomano.

Non mi venne fatto, per diligente pazienza che usassi, di rinvenire la terminazione colla quale fu decretato lo stampo dell'unica moneta che abbiamo d'Antivari suddita a' Veneziani. Ma non è a dubitare, dalla semplice ispezione del suo tipo, che siasi essa pure battuta nell'epoca medesima in cui lo furono la maggior parte de' bagattini delle singole città dalmate, cioè gli ultimi anni del secolo XV o i primi del successivo.

Questa moneta, non facile a trovarsi benché il Museo Correr ne posseda tre esemplari, mi si offrì di due soli tipi, fra loro distinti da lievi differenze. Il peso ne varia da k. 8 a k. 6. 3, e il diametro n'è costante di m. 0,017. Presenta da un lato S. Giorgio armato a cavallo incedente verso la sinistra del riguardante, e sotto a' suoi piedi atterrato il dragone; all'ingiro la epigrafe . S . GEORG . ANTIVARI. Il rovescio ha, come i bagattini dalmati, il S. Marco in soldo stretto da un cerchio di perline, oltre il quale è la leggenda + . S. MARCVS . VENETI. La varietà che si rimarca in alcuni esemplari è la mancanza di questo cerchio che avvolge il leone.

Le osservazioni fatte sui bagattini, allorché dissi di quelli coniati per le città della Dalmazia, possono riferirsi anche a questo che ha comune con essi l'epoca, il peso, la fabbrica; sicché ritengo inutile il soffermarmi davvantaggio a parlarne.

[T4] DULCIGNO.

Occupata da' Veneti nel 1405 che la tennero fino al 1412, e più tardi dal 1425 fino al 1471 in cui cadde in poter de' Turchi per subire due anni dopo le sorti di Antivari, Dulcigno non avrebbe trovato posto in quest'operetta se non mi obbligasse a toccarne un cenno che lo Zon fece di monete battute per questa città da' nostri. Ed infatti nella sua dissertazione sulla Zecca Veneta nell'opera [I[Venezia e le sue lagune]I] (T. I. p. II. pag. 69), ricordando le monete coniate per le singole comunità dalmate ed albanesi, cita fra le altre quelle di [I[Dulcigno]I] offerenti la imagine della [I[Vergine]I]. Devo però confessare ch'io non conosco punto la esistenza di questa moneta, che non vidi in alcuna raccolta, né trovai in alcun libro citata. Fino a tanto quindi che s'abbiano dati più certi per ritenere la esistenza di questo pezzo, siami lecito il dubitarne.

[T4] ALESSIO.

Venuta per dedizione spontanea in potere de' nostri nel 1403, fu retta da un [I[provveditore]I] che la governava in nome della Repubblica fino al 1477 in cui per cessione la occuparono i Turchi. Ripresa nel 1503, ricadde in loro mano nel 1506. Lo Zon citò parimente, in un colle monete di Dulcigno, quelle di Alessio. L'esemplare sulla cui autorità credette appoggiarsi per far luogo alla menzione di questo pezzo fra gli altri dalmati ed albanesi, è quel bagattino di Lesina che si custodisce nella Marciana; il cui non felice stato di conservazione gli fece scambiare la giusta lezione LESINENSIS col nome della città d'Alessio. Se, rettificando l'abbaglio ov'incorse il mio illustre amico, devo togliere alla serie de' nummi albanesi questa imaginaria moneta, ho peraltro il contento di averne aggiunto una di sconosciuta finora alla serie de' nummi dalmati.

E qui si chiude la prima delle classi in cui ho spartito la numismatica de' possedimenti de' Veneziani, rivolgendo ora le mie indagini alle monete da loro battute per le province che costituivano il Levante Veneto.

[T1] II. LEVANTE VENETO.

Il nome generico di [I[Levante]I] abbracciava nel medio evo tutti que' territorii che, situati all'oriente dell'Adriatico, formarono parte dell'impero greco dopo il trattato conchiuso fra Niceforo e Carlomagno. Ma i Veneziani, fattisi per armi, per comprite o per dedizioni spontanee, padroni della maggiore e più bella parie delle coste marittime di quelle terre nel continente europeo, e di molte isole dell'Arcipelago, e dilatate le loro conquiste nel secolo XII fino nella Siria, restrinsero il significato di quel nome, coll'eccepirne le spiagge dalmate ed albanesi. Per poco che si conosca la storia nostra, si comprenderà di leggeri come il nome di [I[Levante Veneto]I] avesse nelle varie età più o men ampio senso. Allorché Enrico Dandolo, successore a dogi insigniti delle dignità d'[I[ipati]I], di [I[protosebasti]I] e di [I[protospatarii]I], emancipava la patria da ogni vincolo di sommessione all'impero d'oriente, e s'intitolava signore di un quarto e mezzo dell'impero di Romania ([I[dominus quartae partis et dimidii Imperii Romaniae]I]), la Repubblica non possedeva ancora le sette isole del mar Jonio che aggiungeva in sul cadere del XIV secolo (1386) a' proprii stati. Alla metà di quel secolo vi aggiungeva l'Acaja, e più tardi varii porti della Morea, che toltile poscia da' Turchi le riconquistava sul declinare del secento il Morosini, che dalle vittorie riportate nella penisola di Pelope ebbe il soprannome gloriosissimo di Peloponnesiaco. Ma dopo la pace funesta di Passarovitz, perdute le belle conquiste del Morosini e rimasta Venezia senz'altri possedimenti nell'Arcipelago, il nome di Levante Veneto comprendeva le otto province o [I[reggimenti]I] di Corfù, Zante, Cefalonia, Asso, S. Maura, Cerigo, Prevesa e Vonizza, subordinati ad un patrizio eletto dal Senato fra gl'individui del suo corpo, e portante il titolo di [I[Provveditor General da Mar]I]. Questi presiedeva al governo supremo di tutto il Levante, e da lui dipendevano gli altri patrizii che sosteneano le cariche militari marittime della flotta sottile e grossa, ed era giudice in appellazione dalle sentenze de' rappresentanti degli otto reggimenti, il numero de' cui abitanti, quasi tutti greci di rito e di favella, sommava a 150,000.

Venendo ora a dire delle monete che i Veneziani coniarono nelle varie epoche perché avessero corso nel loro Levante, questa seconda categoria avrebbe ad abbracciare quelle che si destinarono ad aver corso in tutt'i possedimenti, ad esclusione della Dalmazia e della Terraferma d'Italia. Ma ho creduto separarne le battute per Candia e per Cipro, per la ragione espressa nel principio di quest'operetta che, limitandosi queste due serie quasi puramente a monete ossidionali, mi parvero meritare due classi a sé. I nummi de' quali ci occuperemo in questa seconda parte furono invece cusi, niuno eccettuato, nella metropoli.

[T5] Tornese.

Un fortuito ritrovamento di monete veneziane fatto nel 1849 in Morea, le quali tutte passarono in proprietà del dott. Costantino Cumano di Trieste, porse occasione a questo valente archeologo di spargere molta luce su quella moneta che sì frequenti volte s'incontra ne' documenti nostri e nelle memorie della zecca veneta; ma la cui rarità, anteriormente a quello scavo, lasciava troppo libero campo a mille supposizioni che oggi spero cedano il seggio usurpato alla verità. Nello stendere questo brano del mio lavoro, io non potrei non attenermi alle savie opinioni espresse dal Cumano in una sua lettera inserita nel giornale [I[L'Istria]I], Anno V, n. 11, scritta d'Atene nel marzo 1850. Anzi ad avvalorare le opinioni del Cumano aggiungerò copia di notizie estratte da documenti autentici sulla fabbrica de' tornesi e sull'epoca della loro durata.

Io so bensì che il chiaro senso della terminazione del Maggior Consiglio 31 marzo 1394, ricordando le varie specie di monete argentee che si battevano allora nella zecca nostra, [I[grossi]I], [I[soldini]I], [I[parvuli]I] e [I[tornesi]I], avrebbe facilmente condotto a riconoscere, nei pezzi che frappoco esamineremo, il tornese, stante la necessaria esclusione da quella nomenclatura degli altri nummi che appartengono alle tre prime classi e che troppo son conosciuti. Ma nullameno è officio di coscienzioso scrittore l'attribuire la priorità d'una scoperta in qualsivoglia ramo del sapere a cui veramente essa spetta, ed io devo riconoscere ne' dotti studii del Cumano la prima determinazione della per lo avanti incerta moneta.

Il ritrovamento, di cui toccai più sopra, fu di una massa considerevole di que' piccoli nummi recanti intorno al simbolo di S. Marco la leggenda [I[Vexillifer Venetiarum]I], frammisti a tornesi di Francia e ad altri de' principi d'Acaja e dei duchi di Atene, somigliantissimi nel tipo ai nostri e alla loro volta imitati da' francesi, de' quali ultimi tutt'i rinvenuti nello scavo spettano, a quanto pare, a Lodovico IX il santo, che regnò dal 1226 fino al 1270. Alla qual'epoca appartengono i tornesi, che vi si trovarono frammisti, di Guglielmo II de Villehardouin duca d'Acaja e di Guido de la Roche duca d'Atene, che co' nomi de' loro successori si continuarono a stampare in Atene fino a verso il 1310, ed in Acaja (Chiarenza) fino a verso il 1346 in cui il principe Roberto fu assunto alla dignità d'Imperatore.

"Ed appunto verso quest'epoca, dice il Cumano, i commercii di Chiarenza, città capitale del principato d'Acaja, fiorivano per modo che le monete che vi si battevano non soltanto godevano universale favore, ma erano adottate e riconosciute pei traffici col Levante da tutte le città mercantili e dalla Repubblica di Venezia. Cessato avendo verso il 1350 la zecca di Chiarenza, è verosimile che i Veneziani, visto il favore che vi godevano i tornesi, abbiano dato fuori pel Levante e principalmente per la Morea monetine di disegno analogo e di valore eguale all'antico, conservando loro lo stesso nome di [I[tornesi]I] o [I[torneselli]I]."

A determinare pertanto il valore di questa moneta ne' secoli di cui ci occupiamo, molto opportunamente soccorre un passo di Francesco Balducci Pegolotti, scrittore toscano che fiorì intorno al 1335, la cui [I[Pratica della mercatura]I], opera stupenda per la storia dell'economia nel medio evo, forma il terzo volume della raccolta di Gianfrancesco Pagnini [I[Della Decima e delle altre gravezze del comune di Firenze]I], Lisbona (Firenze) e Lucca, 1776. Ecco il passo del Pegolotti:

[I[ In Chiarenza (]I]Acaja[I[) e per tutta la Morea vanno a perpero (]I]iperpero[I[) sterlini 20. E gli sterlini non vi si vendono né vi si veggiono (]I]cioè sono moneta meramente ideale[I[), ma spendonvisi torneselli piccioli che sono di liga d'once 2 e 1/2 di argento fino per libbra ed entrano per libbra soldi 33, denari 4 a conto. E ogni denari 4 de' detti tornesi piccioli si contano per uno sterlino; e gli tre sterlini un grosso veneziano di zecca di Vinegia, e gli 7 grossi un pipero (]I]iperpero[I[). La moneta di Chiarenza chiamasi tornisella picciola.]I]

Da questo importantissimo passo del Pegolotti rileviamo agevolmente il titolo e il valore de' tornesi. Quanto al primo, avendovi in una libbra d'argento once 2 e 1/2 di fino cioè k. 360, avremo in una marca di fino k. 240 e di peggio k. 912. Quanto al valore, è non meno agevole determinarlo. Se l'iperpero equivale a 20 sterlini, e lo sterlino a 4 tornesi, 80 tornesi formeranno l'iperpero. Lo sterlino corrisponde altresì ad un terzo del grosso veneziano, dunque il tornese si raggualierà ad 1/12 del detto grosso. Sappiamo che dalla metà del secolo XIV in poi il grosso si valutò 4 soldi di nostra moneta, cioè 48 bagattini; perciò lo sterlino uguagliava 16 bagattini, e 4 bagattini il tornese. A questo titolo ed a questo valore corrispondono infatti i nummi di cui ci occupiamo.

Quando ne impresero i Veneziani lo stampo? Vedemmo come il Cumano saviamente opini che incominciassero al cessare la zecca di Chiarenza. Gli è vero però che in più antiche memorie ne troviamo menzione. Si cita infatti la terminazione del 1287 contenente provvedimenti qui fatti e discipline pe' cambiatori di tornesi; si cita il viaggio di Marco Polo, scritto da Rusticiano da Pisa nel 1298, al capitolo XV della Parte II (p. 90-91 della mia edizione), dove parlandosi della banca fondata da Cubilai Caan a Cambaluc (Pechino) vi si nominano gli assegnati del valore di [I[mezzo tornesello]I], di un [I[tornesello]I] ecc. Io però credo non per altro citarvisi questa moneta se non per la voga grandissima ch'ebbe in Oriente nel secolo XIII messavi in corso da' Francesi per le loro colonie. Ma il primo tornese veneziano effettivamente esistente è quello di Andrea Dandolo. Passiamo senz'altro alla descrizione di queste monete.

Sono piccoli nummi di lega al titolo suindicato, varianti nel peso da k. 2. 3 a k. 3. 2, del diametro di circa m. 0,015. Nel campo del diritto offrono una piccola croce chiusa da un cerchietto oltre cui sta il nome del doge. Nel rovescio il leone alato accosciato sulle zampe posteriori, e più tardi il S. Marco in soldo parimente chiuso da un cerchietto, ed oltr'esso la leggenda + VEXILIFER VENETIAR. Vedremo tuttavolta questo tipo variare nel secolo XV dopo la ducea di Tommaso Mocenigo. Seguiamo ora la serie cronologica de' dogi de' quali si conoscono i tornesi, o de' quali si hanno fondamenti per sospettarne la esistenza.

[I[Andrea Dandolo]I]. Un solo esemplare del tornesello di questo doge rinvenne il Culmino fra' trovati in Morea. Non posso peraltro accordami con quest'erudito nell'assegnare ch'ei fa ad epoca più antica il tornese che ha dalle due parti ripetuto il rovescio, nella qual moneta non saprei ravvisare che un inconcludente capriccio dello zecchiere.

[I[Marino Falier]I]. Del Falier non si conosce il tornese, né abbiamo alcuna memoria di zecca per crederlo veramente coniato.

[I[Giovanni Gradenigo]I]. Due tornesi ne trovò il Cumano; come di

[I[Giovanni Dolfin]I], uno solo.

[I[Lorenzo Celsi]I], gliene offrì 6 esemplari.

[I[Marco Corner]I]. Prima dello scavo 1849, che diede 10 tornesi di questo doge, si credeva egli il primo che avesse battuto questa moneta, e ciò sulla fede del Carli (vol. I p. 414) che la descrisse com'esistente a' suoi giorni presso Gaspare Negri vescovo di Parenzo. Lo Zon riportandola, sull'autorità stessa (p. 34), osserva a tutta ragione questo fatto, che il tipo de' tornesi anticipò la riforma della rappresentazione del S. Marco eseguita poi nel soldo o marchetto di Andrea Contarini, quando si tralasciò il disegno, introdotto trentasei anni innanzi, del leone in piedi, senz'ali, col nimbo intorno al capo e collo stendardo, per sostituirvi quello che portò il nome di [I[S. Marco in soldo]I], dalla prima moneta [I[della metropoli]I] su cui fu improntato.

[I[Andrea Contarini]I]. Sotto il costui ducato trovo nel Capitolare delle [I[Broche]I] le più antiche prove che i tornesi si battevano nella zecca veneta. Una terminazione del M. C. concede il 24 agosto 1376 il permesso di recarsi ad Alessandria ad un Filippo Bon [I[scriba ad tornesellos]I]. Il 23 maggio 1377 si accresce il salario agli [I[ourerij dei torneselli]I]; il 27 agosto successivo si permette d'assentarsi ad un Dionisio Maser [I[scriuan ai torneselli]I], e il 16 settembre 1381 si diminuisce lo stipendio del pesatore [I[ad tornesellos]I]. Men rara delle precedenti è questa moneta del Contarini, ch'esisteva già nelle collezioni Gradenigo, Correr ed alla Marciana, e di cui il Cumano rinvenne circa 100 esemplari con qualche varietà.

[I[Michele Morosini]I]. Se ne trovarono nello scavo 1849 due esemplari.

[I[Antonio Venier]I]. Il tornesello di questo doge era anche per lo passato non difficile a rinvenirsi. Due esemplari n'erano nella raccolta Gradenigo, altro ne citava il Carli (vol. I p. 415) dandone il disegno nella Tav. IX n. 8, due ne ha la Marciana, 4 il Museo Correr. Il Cumano ne trovò intorno a quattro centinaja. Il Capitolare delle [I[Broche]I] riporta una terminazione presa il 13 gennajo 1384 ([I[more veneto]I], cioè 1385) in Pregadi che decreta [I[emi argentum et rame et alia necessaria, et fieri torneselos. Factis quoque et habitis per provisores dictis torneselis, debeant subito, sicut habebunt ipsos, ordinate dare et consignare dictos torneselos camerariis nostri comunis, qui camerarii teneantur et debeant recipere et conservare dictos torneselos ac scribere per ordinem et distincte receptionem ipsorum sicut faciunt alios introitus nostri comunis, de quibus quidem tornesellis dominium nostrum disponere debeat prout pro nostro comuni melius et utilius apparebit]I].

Un'altra terminazione, pure del Senato, sancita il 25 del mese stesso così stabilisce: [I[Quod in Cecha nostra cuduntur Marchae XII. milia tornesellorum annuatim pro quibus comune nostrum recipit de utililate ad summam IIII.m. Vadit pars pro comodo et bono agendorum nostrorum quod istae marchae XII.m., sicut cudentur de tempore, ponantur apud provisores nostri Comunis. Quae marchae XII.m. ascendunt ad summam ducatorurn XIIII.m]I]. Dalle quali parole rileviamo qual ingente massa di torneselli si monetasse sotto il doge Venier. E finalmente nel 1394 leggiamo in una parte del M. C. il nome de' coniatori di queste e delle altre monete d'argento della Repubblica… [I[Laurentio et Marcho fratribus Bernardi Sexto intajatoribus feramentorum monetae qui operantur pro faciendis grossis, soldinis, parvulis et tornesis]I].

[I[Michele Steno]I]. L'unico esemplare da me veduto di questo tornesello è quello conservato nella Raccolta Correr. Altro ne troviamo citato com'esistente nella collezione Gradenigo (Zanetti II, 176 n. 76). Il Cumano ne trovò 8 altri. Non mancano sotto questo doge memorie della loro fabbrica nella zecca nostra. Infatti occorre in una terminazione del Senato 25 settembre 1404 il [I[massarius tornesiorum]I], e in altra del M. C. 18 marzo 1410 si ricorda [I[Jacobellus Nigro scriba ad officium monetae tornesellorum]I].

[I[Tommaso Mocenigo]I]. La massa di queste monete che venne in proprietà del Cumano non aveva che due esemplari col nome di lui. Certo è tuttavia che sotto la sua ducea non fu la nostra zecca nel loro stampo meno operosa di quello che lo sia stata sotto il Venier, perché dal Capitolare delle [I[Broche]I] sappiamo che, già soppresso nel 1404 il massaro ai torneselli, fu nuovamente restituita quella carica il 30 aprile 1416, non però coll'antico nome, ma aggiungendo un terzo massaro ai due dell'argento. Forse il tesoretto scoperto nel 1849 in Morea fu occultato sotterra negli anni in cui visse questo doge, perché non vi si rinvennero monete d'epoca a lui posteriore.

[I[Francesco Foscari]I]. La esistenza del tornese di questo doge, quantunque finora sconosciuta a' numismatici come pure di quello di alcuni de' suoi successori, è provata da documenti e perfino da' pezzi stessi che si trovano, comeché assai rari, nelle nostre raccolte. Nel più volte citato Capitolare delle [I[Broche]I] si ordina il 20 decembre 1424 la provvista di [I[rame per far tornesi e pizoli da Venesia]I]. E che siansi effettivamente eseguiti lo prova quel nummolo di biglione mal conservato che dalla collezione Pasqualigo passò alla Marciana, del peso di k. 2 poco meno, atteso il suo cattivo stato, che reca il tipo de' precedenti, mutato però nella leggenda che in luogo d'essere la ordinaria VEXILIFER VENETIAR. è questa + S . MARCVS . VENETI. Lo Zon l'aveva erroneamente preso per un [I[mezzo soldo]I].

[I[Pasquale Malipiero, Cristoforo Moro, Nicolò Tron, Nicolò Marcello, Pietro Mocenigo, Andrea Vendramin]I]. Sotto questi dogi non trovo menzione alcuna de' tornesi, né conosco alcuna loro moneta alla quale si possa applicare quel nome. Forse ai bisogni de' sudditi veneti nel Levante era sufficiente la enorme massa coniatane dai loro predecessori. Certo è che nel 1476 abbondavano ancora in quelle colonie, se alcuni speculatori genovesi aveano formato il progetto di ritirarne una somma di diecimila da Candia per indi estrarne l'argento; il che venuto a cognizione della Signoria di Venezia, fu spedito ordine dal Consiglio de' Dieci al residente di Candia, il 29 maggio dell'anno stesso, che impedisse si esportassero da quell'isola [I[turnesios Levantis]I].

[I[Giovanni Mocenigo, Marco Barbarigo]I]. Nemmeno sotto il governo di questi due dogi hassi memoria che si coniassero tornesi.

[I[Agostino Barbarigo]I]. Il 28 agosto 1487 il C. X. stanziava la legge seguente: [I[Che j ourieri de qua in auanti abino marchetti quatro per marcha de tornexi si come j aueano da prima]I]. Ecco dunque ripreso in quell'anno lo stampo dell'abbandonata moneta. E quattr'anni dopo andava a parte la terminazione seguente:

[I[ 1491, 13 lujo, in C. X. cum Add.]I]

[I[ . . . E simelmente sia fato di tornexi ala suma e valor de ducati zentozinquanta per la cità de Modon, de quali el populo e i zitadiny patiscono massima nesessita, e le monede nesessarie per i aiti tornexi da esser fati siano tegnude per la zita de Modon.]I]

Il nome di tornesi deve spettare a quelle monetine d'Agostino Barbarigo, del peso di k. 2. 2 o poco meno, del diametro di m. 0,011, battute in biglione, che recano dall'un de' lati il nome del doge che gira intorno ad una croce, qualche volta chiusa da cerchietto, e al rovescio offrono il consueto S. Marco in gazzetta pur chiuso da cerchio oltre cui la leggenda + S . MARCVS . VENETI. Degli esemplari che ne ho veduti, quasi tutti della più bella conservazione, uno esiste nella Marciane, 3 nella Raccolta Correr, 1 nell'I. R. Gabinetto Numismatico di Milano, ed un altro finalmente nel medagliere dell'Ambrosiana colla epigrafe del rovescio variata così + SANCTVS. MARCVS. V.

[I[Leonardo Loredan]I]. L'ultima notizia che ho trovato di questa piccola moneta nelle memorie di zecca è la terminazione che segue:

[I[ 1505. 31 Mai, in C. X. cum Add.]I]

[I[ Quod auctoritate hujus Consilii captum et deliberatimi sit quod cudi debeant in Cecha nostra ad praesentem usque ad summam ducatorum mille tornesiorum, necessariorum pro fabricis locorum nostrorum partium Orientis, et quod dentur extra, sicut deliberabitur per Dominium nostrum cum Collegio, juxta opportunitatem locorum praedictorum.]I]

Se il tornese del Loredan è veramente la moneta di questo doge alla quale ho applicalo quel nome, siccome l'unica che mi parve corrispondervi pel suo titolo e pel suo peso, è notabile come se ne scostasse il tipo dai precedenti. Il peso degli esemplari che ne esaminai varia da k. 2 a k. 2. 2, il diametro è di m. 0,015. Offre nel campo del diritto la figura stante del doge che tiene il vessillo, e intorno a cui è la scritta . LEONAR . LAVREDAN .; il titolo DVX è in caratteri verticalmente disposti lungo l'asta; dietro al doge le sigle BM in alcuni esemplari, ed in altri AB. Nel rovescio il San Marco in soldo attorniato dalla consueta leggenda + . S . MARCVS . VENETI . è chiuso in un ornamento di perline quadrilobato. Due esemplari di questo nummo erano presso il Gradenigo (Zanetti vol. II, p. 184, n. 134 e 135), altro è nella Marciana proveniente dal Pasqualigo, due altri n'esistono nella Raccolta Correr.

[T5] Grossetto per navigare.

Governante ancora la Repubblica Agostino Barbarigo, un'altra moneta divideva co' tornesi il molto favore che da due secoli e mezzo aveano questi ultimi acquistato ne' Veneti possedimenti; vo' dire il [I[grossetto per navegar]I]. Il decreto che ne ordina lo stampo, essendo esso pure inedito, e fissando l'epoca di questo pezzo, che lo Zon attribuiva erroneamente al 1489 circa (p. 40), tengo non inutile il riportarlo;

[I[ 1498, die XVI, martii C. X. cum Add.]I]

[I[ Quod auctoritate hujus Consilii captum sit et ita concedatur licentia, civibus et mercatoribus nostris tantum, possendi ponere in Cecha nostra argenta ad summam in totum marcharum sex mille cuneandarum in grossetis ad rationem librarum XXXIII pro qualibet marcha, quae capiat numerum centum sexaginta quinque grossetorum, quae omnis pecunia sit pro navigando tantum. Stampa vero ipsorum grossetorum ex omnibus illis, quae per Capita ordinabuntur magistris stamparum habeant elligi et fieri sicut videbitur et ordinabitur per Serenissimum Principem Dominum nostrum et Capita hujus Consilij.]I]

Da questa terminazione del C. X. raccogliamo il valore ed il peso della moneta in discorso. Se infatti si voleva che ogni marca desse 33 lire, cioè 165 grossetti, ne segue che il valore d'ogni grossetto doveva esattamente rispondere a soldi quattro. E quanto al peso d'ogni pezzo, aveva ad equivalere necessariamente a k. 6. 3. 51/55. Ma la eccedente sproporzione del grossetto in confronto alla lira [I[moceniga]I], il cui peso si era stabilito nel 1484 di k. 32, lo fece ben presto salire al prezzo di soldi 5, o [I[mezzo marcello]I].

Il grassetto per navigare ha un diametro di m. 0,020 ed è affatto simile nel tipo del diritto alla lira moceniga, ma in proporzioni minori; offre cioè alla sinistra del riguardante la figura di S. Marco in piedi che porge al doge che gli sta dinanzi genuflesso il vessillo, lungo la cui asta è in lettere verticali scritto DVX; gira intorno alle due figure la leggenda S. M. VENETI = AVG. BARBADICO. Il rovescio invece è il medesimo del [I[marcello]I] di Pietro Mocenigo, in proporzioni parimente minori; reca cioè la imagine del Redentore con aureola alla greca e seduto in ricco trono, di prospetto, tenendo nella manca il Vangelo e benedicendo colla diritta. A' suoi lati le sigle IC e XC, e all'intorno la epigrafe GLORIA . TIBI . SOLI; nell'esergo le iniziali . I . P . di sconosciuto massaro.

Mal s'appose il Gradenigo nell'attribuire a questa non ovvia moneta il nome di mezzo matapane (Zanetti, vol. II, p. 181, n. 120). Ciò non dee farci meraviglia, perché il Gradenigo battezzò [I[matapani]I] tutt'i [I[marcelli]I]. Lo Zon lo chiamò del suo vero nome (p. 40), ma s'ingannò nel credere che andassero i grossetti a 34 lire per marca, invece di 33, e nel fissarne il peso in grani 27. 9/85.

Non però i soli tornesi ed i grossetti avevano buono spaccio in Levante, ma ed i soldini o marchetti, comunissima moneta battuta per aver corso nella dominante, moneta così generalmente nota che tengo ozioso il descriverla. E solo a provarne il corso, resosi in sul cadere del secolo XV universale in que' possedimenti oltremarini, riporterò la seguente terminazione:

[I[1493. 30 Aprilis, in C. X. cum Add.]I]

[I[ Quod satisfiat petitioni illustrissimi Domini Ducis Saxoniae ut in Cecha nostra ad nomen suum cudi possint marchæ C. argenti in marchetis nostris consuetae stampae pro expendendum ad minutum pro ista profectione sua et suorum ad Sanctum Sepulcrum, qui dentur Excellentiæ suæ.]I]

Tanta dunque era la voga delle monete veneziane in Oriente, che il duca di Sassonia le preferiva a tutte le altre nel muovere al viaggio di Terrasanta!

[T5] Ducato delle Galee.

Trovo nelle vecchie memorie di zecca menzione di un [I[ducato delle galee]I] da venete lire 6. 4, stampato in argento nel 1570. A quest'epoca non s'incontra veramente moneta alcuna di quel valore, ad eccezione del conosciutissimo [I[ducato d'argento]I] il cui stampo si decretò il 7 gennajo 1561 dal doge Girolamo Priuli. Ma in questo caso, perché dargli il titolo di [I[ducato delle galee]I], se lo sappiamo, dal tenore di quel decreto, espressamente battuto per i bisogni del commercio della metropoli?

Nemmeno può applicarsi quel nome alle [I[Giustine]I] che soglionsi chiamare [I[maggiori]I]. Il loro valore è chiaramente espresso nell'esergo del rovescio di tali pezzi in soldi 160, o lire 8, e non si concilia quindi col valore del [I[ducato delle galee]I].

In mezzo a tanta incertezza, sarei inclinato a ritenere in quelle memorie di zecca un abbaglio non difficile a ravvisare. Credo che non d'altra moneta vi si parli se non della [I[Giustina minore]I], propriamente detta [I[ducatone]I], recante nell'esergo del rovescio la cifra 124, che appunto corrisponde alle lire 6. 4. Quanto all'anno nel quale s'imprese a batterla, poté un malaccorto annotatore de' libri di zecca confonderne la origine con quella de' pezzi di lire 2, o soldi 40, improntati la prima volta nel 1571 dopo la battaglia delle Curzolari e recanti similmente la imagine di S. Giustina. Perché poi lo si chiamasse [I[delle galee]I], anche ciò è agevole a spiegarsi; non perché destinato a correre ne' possedimenti d'oltremare, o a stipendiare gli equipaggi della flotta, ma perché nel campo su cui spicca la figura di quella martire si volle effigiare il mare agitato e due [I[galee]I] che lo navigano, a ricordanza della grande vittoria navale a cui deve l'origine quel tipo nummario.

Dalle quali osservazioni mi giova conchiudere, non aversi da me trattato de' [I[ducati delle galee]I] fra le monete del Levante, sennonché per escluderli da questa serie a cui non devono appartenere.

[T5] Da 30 tornesi.

Dopo il tornesello di Leonardo Loredan, decretato colla terminazione del 1505 che ho riportala, troviamo bensì nelle memorie di zecca menzione di tornesi qui coniati per il Levante, per la flotta, per Candia, negli anni 1545 e 1548, nonché di bagattini per Corfù nel 1549; ma non saprei veramente a quali monete del doge Francesco Donà, che governò in quell'epoca, attribuire i nomi di [I[tornese]I] e di [I[bagattino per Corfù]I]. Forse quest'ultimo altro non era che il consueto bagattino per Venezia recante da un lato la croce, dall'altro il busto di S. Marco di prospetto; ma non oserei con pari asseveranza chiamar tornese il [I[sesino]I] che non equivaleva se non a mezzo dell'antico tornese, o a due bagattini, cioè [I[un sesto]I] di soldo onde trasse il nome.

Qui sorge però una domanda alla quale si potrebbe rispondere senza gittarsi nel vasto campo delle conghietture: - I tornesi conservarono sempre il primitivo valore di 4 bagattini? - I pezzi del secolo XVII che portano improntato quel nome mi obbligano a rispondere negativamente a questa domanda.

La mistura metallica che servì allo stampo di tali monete, coniate sotto il doge Antonio Priuli, che regnò dal 1618 al 1623, è di poco superiore nel fino a quella che il doge medesimo impiegò nella fabbrica de' soldoni, valutata a k. 54 fino per marca, o a peggio 1098. Avuto riguardo alla lieve eccedenza del titolo di pochi carati per marca, al peso de' nummi che verrò descrivendo, raffrontandolo con quello del soldone ch'era di k. 9. 4/5, e massime alle sigle I e IIII ricorrenti ne' pezzi da 15 e 60 tornesi, si riconosce facilmente che quelle sigle indicano i soldi veneziani a cui si ragguagliavano i pezzi stessi, di modo che un soldo equivalesse a 15 tornesi, essendo quindi il tornese dal primitivo valore di 4 bagattini calato a quello di 4/5 di un bagattino.

Nell'esporre pertanto a' lettori la serie de' pezzi multipli di questo minor tornese coniati dal Priuli, darò primamente luogo a quello da tornesi 30, perché ne esiste qualche raro esemplare colla iscrizione latina (che poi da lui e da uno de' suoi successori fu mutata in greca, forse per compiacere a' popoli fra cui si destinavano ad aver corso queste monete), eccedente il peso ordinario del pezzo.

[I[Primo tipo = Epigrafe latina]I]. I due esemplari che ne osservai nel Museo Correr, ottimamente conservati, hanno un diametro di m. 0,024 ed un peso di k. 18. 3. Il diritto porta all'ingiro la epigrafe * ANTONIVS. PRIOLVS. DVX. VENE. e nel mezzo fra un cerchio è l'altra TORNESI = TRENTA in due linee, sovra e sotto la quale campeggia una rosa fra due stelline. Il rovescio offre il leone di S. Marco, gradiente verso la sinistra dell'osservatore e ad esso di fronte un castello; nell'esergo ha parimente una rosa fra due stelline. La leggenda che gli gira all'intorno è SANCTVS. MARCVS.

[I[Secondo tipo = Epigrafe greca]I]. Ha comune col precedente il diametro, ma il peso n'è di un carato minore ne' migliori esemplari. Nel diritto la epigrafe del contorno è * [Gr[ANTONIOS O PRIOLOS DOUX]Gr] e quella del centro [Gr[TORNESIA TRIANTA]Gr], sopra cui tre stelline, e sotto una rosa fra due stelline. L'altro offre la rappresentazione del tipo precedente, e la epigrafe * [Gr[O AGIOS MARKOS]Gr], e nell'esergo due [Gr[L]Gr] intrecciate, l'una capovolta all'altra, fra due stelline. Anche sotto il doge Giovanni Corner I°. (1625 a 1629) si replicò lo stampo di questo pezzo che non è diverso da quello del Priuli se non per la epigrafe del diritto così necessariamente mutata [Gr[IOAN: KORNELIOS O DOUX]Gr], e per altre inconcludenti varietà nell'esergo del rovescio. Ma in peso questi nummi del Corner sono inferiori a quelli del Priuli, non avendoli io trovati, ne' meglio conservati esemplari, eccedere i k. 16. Questo secondo tipo occorre nelle raccolte assai più frequente del primo.

Ragguagliato il tornese a 4/5 del bagattino, il pezzo da 30 tornesi equivale ad una gazzetta.

[T5] Da 32 tornesi.

Non so che altri dogi, fuorché Antonio Priuli, abbiano coniata questa moneta, non ovvia a trovarsi. Il suo peso, in due begli esemplari che n'esaminai, uno alla Marciana e l'altro al Museo Correr, mi risultò di k. 18. 3. cioè pari al pezzo da 30 tornesi del primo tipo. Ma donde sorse mai così strano caso, che due monete di peso e titolo identici e d'epoca uguale, variino nel valore? Potrebb'egli ritenersi forse che la eccedenza nel pondo della moneta da 30 tornesi coll'iscrizione latina, avesse consigliato a sminuirla e a stampare i pezzi già preparati col valore di 32? Non oso decidere la intricata questione.

Il pezzo in discorso è simile a quello da 30 tornesi, secondo tipo, di Antonio Priuli, mutata semplicemente la iscrizione nel centro del diritto in *** = [Gr[TORNESIA]Gr] = [Gr[TRIANTA]Gr] = [Gr[DUO]Gr] = *.

[T5] Da 60 tornesi.

La somiglianza di tipo fra i nummi di cui ci occupiamo ed uno, stupendamente raro e, per quanto io mi sappia, sconosciuto a' numografi, ch'esiste nel Museo Correr, mi consiglia a dargli luogo nella serie presente. La lega è pari a quella de' precedenti pezzi, il diametro di m. 0,028, e il peso di k. 23. 3 che nel nummo appena coniato doveva essere ben maggiore. Il diritto offre verso il contorno la epigrafe * ANTONIVS . PRIOL . DEI . GRA . D, e nel mezzo fra un ornamento leggiadremente arabescato e diviso dalla leggenda del contorno mediante un cerchio di perline * = * VE * = NET . = sotto cui una linea formante l'esergo, nel campo del quale è la cifra . 4 . che indica i soldi corrispondenti a 60 tornesi. Similmente chiuso da cerchio di perline e da pari arabesco è il S. Marco in gazzetta del rovescio, verso il cui contorno gira la epigrafe * SANCTVS. MARCVS. VENET.

Molto è diverso il pezzo di pari valore del doge Giovanni Corner I.° Simile al suddescritto nel diametro, ha ne' suoi migliori esemplari il giusto peso di k. 32. Il diritto offre nei centro, sotto una rosa fra due stelline, la epigrafe [Gr[TORNES]Gr] . (ovvero [Gr[TORNESIA]Gr]) = [Gr[EXENTA]Gr], e sott'essa altra rosa; e all'ingiro oltre un cerchio di perline * [Gr[IOAN]Gr] (o IOAN) [Gr[KORNELIOS O DOUX]Gr]. Il rovescio è in proporzioni maggiori simile al pezzo da 30 tornesi, ma nell'esergo porta la cifra * IIII * esprimente la somma de' soldi veneziani che formano 60 tornesi. È pezzo di nessuna rarità.

[T5] Da 15 tornesi.

Né raro è il pezzo da tornesi 15 che s'incontra soltanto col nome del primo Giovanni Corner. Il peso di un esemplare a fior di conio e coperto di bella tinta argentina che n'esiste alla Marciana è esattamente di k. 8. Il tipo n'è simile al pezzo da tornesi 30 di questo doge, ad eccezione della leggenda nel centro del diritto così immutata = * (ovvero ***) = [Gr[TORNES]Gr] = [Gr[DEKAP]Gr] (o [Gr[DEKAPE]Gr]). L'esergo del rovescio di alcuni esemplari è * I *, reca cioè la cifra indicante un soldo di lira veneta a cui corrispondono 15 tornesi.

[T5] Piastra.

Di esimia rarità e di molta bellezza è la moneta di cui imprendo a trattare, la [I[piastra]I]. Essa manca a tutte le nostre raccolte, fuorché a quella della Marciana a cui provenne dal medagliere del Pasqualigo. Reca il nome di Francesco Contarini, che tenne la dignità ducale dal settembre 1623 al dicembre 1624; è di argento a peggio k. 60 per marca, corrispondente al titolo 0,947917, del peso di k. 130 e del diametro di m. 0,040. Ecco pertanto la descrizione che ne stesi su quell'esemplare, del quale diede un disegno esattissimo col metodo Collas lo Zon alla tav. IV. n. 5.

Il diritto offre uno scudo ornato di cartocci nel suo contorno, sormontato dal corno ducale e recante in quattro linee la iscrizione PIAS = TRA = VENE = TA; un cerchio di perline gira intorno allo scudo, ed oltr'esso la leggenda FRANCISCVS . CONTAR : DVX. Nel rovescio è il San Marco in soldo, di leggiadro disegno, fra un ricco ornamento circolare di gigli doppii e di rosoni.

Quanto al valore della piastra, risulterà facilmente dal confronto d'essa con altra moneta che la uguagliava nel titolo, eccedendola nel peso di k. 4. 1/2, il [I[ducatone]I]. Quest'ultimo correva a' giorni del Contarini a lire 7 e soldi 5, quindi la piastra dovea correre a lire 7. Computandosi allora lo zecchino lire 14, la piastra equivaleva a mezzo zecchino.

La rarità singolare di questo pezzo, il vederne l'unico esemplare che se ne conosca a fior di conio, il non incontrare in tariffe né in memorie di zecca alcuna moneta con questo nome, né in quell'epoca né dappoi, fanno ritenere essersi bensì progettata la piastra ed eseguitone il conio, ma non aver mai essa avuto corso, qualunque sia il motivo che determinasse a sospenderla.

[T5] Reali.

Raro, quanto la piastra, è il [I[reale]I] del medesimo doge, e con essa ha comuni il titolo, il peso, il tipo ed il valore; comuni altresì le circostanze che inducono fondata opinione esser rimasto esso pure un progetto ineseguito per cause che ci sono del tutto ignote. L'unica diversità che si riscontra fra questi due pezzi sta nella leggenda del diritto, portando in mezzo allo scudo la epigrafe in tre linee REAL = VENE = TO; e all'ingiro * FRANCIS . CONTARENO . DVX . * L'unico esemplare ch'io ne sappia è quello che colla collezione Pasqualigo passò alla Marciana.

Altro reale esisteva nella raccolta di Maffeo Pinelli, la cui libreria fu sì dottamente descritta dal Morelli (Venezia, 1787) che ci conservò memoria di questo pezzo, che non si sa ove più esista dopo la deplorata dispersione di quel medagliere.

Accontentiamoci dunque del poco che il Morelli ne disse, e ch'io fedelmente trascrivo: [I[Altra moneta rarissima, detta reale, v'ha di Francesco Erizzo, della grandezza di un ducato d'argento, in cui da una parte v'è un lione colle ale stese e con un libro nelle zampe, ed all'intorno SANCTVS . MARCVS . VENET . e sotto REALE. Dall'altra si vede il doge in piedi, e dietro il mare con la prora di una galea ed una fortezza, ed all'intorno si legge FRANC . ERIZZO . DVX . VEN .]I] (Morelli, [I[Libreria di Maffeo Pinelli]I], vol. V. p. 346, [I[App]I].), La rappresentazione di questo secondo lato è invero assai singolare, e meglio ricorda le [I[oselle]I] che non le comuni monete. Lo Zon, riportando questo pezzo sulla fede del Morelli, soggiunge: [I[È noto come l'Erizzo mori nel 1646, quando era in procinto di partire in qualità di generalissimo sulla flotta spedita contro i Turchi che aveano invaso il regno di Candia, a cui pare che abbia relazione quest'ultima moneta]I] (p. 60). Non potrei non soscrivere a questa savia opinione; infatti sappiamo urgente il bisogno di monete per la spedizione contro i Turchi, che nel 1645 avevano presa la Canea; ed io credo probabilissimo siasi coniato il presente reale per gli stipendii dell'armata in que' pochi mesi che volsero dalla perdita di quella piazza alla morte dell'Erizzo avvenuta il 3 gennajo 1646. E forse quest'ultima circostanza originò la sospensione dello stampo, che poi non venne ripreso dal suo successore.

Anche il favore che trovarono ne' commercii d'Oriente nel secolo XVII le piastre e i reali importativi dai trafficanti spagnuoli, mi fa ritenere essersi dalla Repubblica progettato pe' suoi possedimenti di Levante lo stampo di questi tre curiosissimi pezzi.

[T5] Leoni Morosini.

Gl'immensi dispendii che la Repubblica dovette sostenere per la guerra co' Turchi, gli ultimi anni del secolo di cui ci occupiamo, resero straordinariamente operosa in quell'epoca la zecca nostra. Ad agevolare pertanto le transazioni commerciali co' popoli del Levante, si determinò lo stampo di nuove monete che fossero in un medesimo facili a conteggiarsi ne' territorii ove durava la ideale lira di computo dalmata, e dove non si conosceano altre monete all'infuori da quelle della dominante. Nel 1688, ducante Francesco Morosini, uscirono dalla veneta zecca tali monete, che 2 e mezza d'esse uguagliavano uno zecchino, e delle quali ciascuna equivaleva a lire 10 di Dalmazia o lire 6. 16 di Venezia, perché allora nella capitale lo zecchino andava a lire 17, nelle province a lire 25.

Questa moneta, che dal leone rampante nel suo rovescio e dal casato del doge del cui nome primamente s'improntò fu appellata [I[leone Morosini]I], è conosciuta d'ordinario col nome di [I[lion per Levante]I] dalle memorie di zecca, le quali ne determinano il peso in k. 131, ed il titolo a peggio 300 la marca, o al titolo 0,739583, avente cioè d'argento fino per ogni pezzo k. 96. 85/96. Le stesse memorie ci conservarono la cifra del valore monetato in [I[leoni]I] e ne' loro spezzati, che monta alla somma di leoni 1,126,744. 1/2. Ed è invero singolare come oggi nelle raccolte si veggano così raramente i pezzi che appartengono a questa serie; né la si saprebbe spiegare tal rarità che pensando come la maggior parte d'essi fosse o recata in terre pochi anni dopo occupate da' Turchi, o messa fuori di commercio dal sopravvenire di nuove monete che trovarono più favore, come avvenne per esempio de' talleri battuti pel Levante, la cui comparsa nel 1756 dové far isparire i leoni che ancora rimanevano colà in corso.

[I[Leoni]I]. Il diritto di questa moneta, avente un diametro di m. 0,042, offre in proporzioni maggiori la rappresentazione dello zecchino, e reca dietro la figura stante di S. Marco la epigrafe in lettere verticali . S . M . VENET, e dietro al genuflesso doge il suo nome FRAN . MAVROC. Sotto la linea dell'esergo su cui posano le figure, alcuni esemplari hanno le sigle . A . G ., iniziali di Alvise Gritti massaro all'argento nel 1688. II rovescio offre il leone alato e nimbato, ritto sulle zampe posteriori, verso la dritta, e piegante a sinistra il capo, mentre tiene nella zampa anteriore destra la croce, nella manca una palma. Oltre il cerchio di perline che lo racchiude è la epigrafe FIDES ET VICTORIA.

Simile al leone del Morosini è quello di Silvestro Valier che gli succedette nel ducato, e che reca quindi mutata la epigrafe del diritto S * M * VENETV (verticale) = SILV * VALERIO, e nell'esergo le iniziali * A * G * e in altri esemplari * F . T * ed anche * G. A . B *. Il rovescio ne differisce alcun poco per la varia disposizione delle zampe anteriori del sacro leone e per non esser questo chiuso da cerchio di perline. È pezzo men raro di quello del Morosini.

Non si conoscono leoni di Alvise Mocenigo II.° che succedette nel 1700 al Valier, bensì di Giovanni Corner II.° che dopo lui ebbe il ducato nel 1709. I costui leoni, rari come quelli del Morosini, non hanno altre varietà da questi nel diritto che il nome necessariamente sostituitovi da IOAN . CORN . e le sigle dell'esergo * A . M *. Il rovescio è simile al leone del Valier.

[I[Mezzi leoni]I]. Il loro peso, in rapporto all'intero, è di k. 65 e 1/2 e tiene di fino k. 48. 85/192. Simili agl'interi nel tipo e proporzionalmente minori, li superano in rarità. Quello di Francesco Morosini, che pur dovett'esistere, manca a tutte le collezioni da me esaminate; quello di Silvestro Valier si trova alla Marciana ed al Museo Correr, ma di due tipi diversi, recando l'uno nell'esergo le iniziali * P. M *, l'altro * F. T *. Il loro diametro è m. 0,035. Del Corner non vidi mai questa moneta benché sia da ritenere ch'effettivamente si coniasse. Valeva lire venete 3. 8, o lire di Dalmazia 5.

[I[Quarti di leone]I]. Del peso di k. 32. 3, aventi cioè di fino k. 24. 85/384, e parimente rarissimi. Il quarto di leone del Morosini non l'ho mai veduto, ma ne ritengo la esistenza dalle memorie di zecca, e credo sia quella moneta della raccolta Gradenigo (Zanetti, vol. II, p. 203 n. 253) che il suo possessore descrisse per mezzo leone di questo doge, benché le desse il peso di k. 34. 2; peso, se vuolsi, eccedente il legale, ma che induce forte sospetto non abbiasi potuto deteriorar cotanto un pezzo da ridurlo quasi alla sua metà; porta le sigle . A . C ., ch'io credo s'abbiano a leggere . A . G ., attribuendone la fabbrica al 1688 quand'era massaro all'argento il già ricordato Alvise Gritti.

La Marciana e la Raccolta Correr possedono bensì il quarto di leone di Silvestro Valier, simile in proporzioni minori all'intero di questo doge, con un diametro di m. 0,030 e colle iniziali * F. T * nell'esergo dell'averso. Il Gradenigo pur ci descrive (ibid. n. 258) simile moneta da lui conservata di Giovanni Corner II.° che portava nell'esergo le sigle … M. che si possono facilmente supplire A. M.

Il quarto equivaleva a lire 1. 14 di nostra moneta, o a lire 2. 1/2 di computo nel Levante.

[I[Ottavi di leone]I]. Di molta rarità è parimente quest'ultimo spezzato del leone, mancante alla Marciana, non però al Museo Correr, né alla serie del Gradenigo (ibid. n. 254). Pesa k. 16. 3/8, e tiene di fino k. 12. 85/768, ed ha un diametro di m. 0,026. Non n'è accertata la esistenza che di quello battuto dal Morosini, simile al suo intero, ma avente nell'esergo le iniziali . Z . R . che ricordano Zuanne Riva massaro all'argento nel 1693, e recante il leone non chiuso da cerchio di perline. Il valore di questa piccola moneta era di soldi veneti 17.

[T5] Gazzette e Soldi per le Isole e per l'Armata.

Parlando delle gazzette e de' soldi di rame battuti per la Dalmazia e per l'Albania, ho enunciato un canone che qui siamo al caso di poter applicare, [I[riscontrarsi cioè alcune volte nelle monete venete di puro rame l'età del loro stampo calcolandone il peso]I]. Vedemmo infatti alle pag. 17 e 18 che verso l'anno 1700, quando lo zecchino si ragguagliava a lire dalmate di computo 25, si cavavano da una marca di puro rame gazzette 30. 1/3, ciascuna del peso di k. 38, ovvero soldi 60. 2/3, ognuno del peso di k. 19. Gli è effettivamente questo medesimo peso che riscontriamo quasi costante nelle due monete di cui tocchiamo, le quali ritengo perciò aversi ad ascrivere alla ducea del Peloponnesiaco.

La loro leggenda le annuncia coniate per aver spaccio nelle isole Jonie ed in quelle dell'Arcipelago, nonché pegli stipendii de' soldati e de' marinaj ch'erano sulla flotta.

L'unico tipo della gazzetta presente ch'è a mia cognizione ha un diametro di m. 0,027 e reca nel diritto la epigrafe chiusa fra due rosoni ISOLE = E. T = ARMATA in tre linee. Il rovescio è il solito S. Marco in mollecca cinto dall'iscrizione * S. MARC. VEN *, e nell'esergo * II *.

Non ne differisce il soldo che nelle proporzioni e nell'esergo del rovescio ch'è necessariamente * I *.

[T5] Gazzette e Soldi per l'Armata e per la Morea.

Quello che ho detto poc'anzi delle gazzette e de' soldi per le Isole e per l'Armata, può riportarsi anche alle monete presenti, colle quali hanno comune l'epoca siccome il peso, e che si coniarono perché avessero spaccio nella Morea contesa a' Turchi dal valore del Morosini.

Il diritto della gazzetta offre la iscrizione ARMATA = E. T = MOREA chiusa da due rosoni; nel rovescio è simile alla gazzetta per le Isole. Il diametro n'è parimente uguale.

Il soldo non varia qui pure che nelle sminuite proporzioni, e nella cifra indicante il valore.

[T5] Gazzette e Soldi per Corfù, Cefalonia e Zante.

Minori di peso, e quindi di più moderno conio, sono le monete che recano i nomi delle isole di Corfù, Cefalonia e Zante per le quali vennero battute nella veneta zecca. Ricordai più addietro come intorno al 1730, allorché lo zecchino si valutava in Levante a lire 33 di conto, le gazzette dalmato-albanesi andassero a 39 per marca di rame, ed avessero in conseguenza un peso di soli k. 29. 7/13 come i soldi pesavano k. 15. 1/26. Ed invero tal peso ricorre nelle monete ch'esaminiamo, la cui fabbrica è perciò a riportarsi agli ultimi anni di Alvise Mocenigo III.° o al breve ducato di Carlo Ruzzini. Questa posteriorità d'epoca mi determinò a collocarle ultime nella serie de' sei pezzi di rame della quale ci occupiamo, serie non affatto comune, ma che non manca alle nostre raccolte, le quali abbondano d'ordinario, più che de' semplici soldi, de' loro dupli.

La gazzetta battuta a Venezia per le isole di Corfù, Cefalonia e Zante ne porta nel diritto i nomi fra due rosoni e disposti in tre linee, con ortografia variata ne' quattro tipi che ne ho veduti:

1. CORFV = CEFALONIA = ZANTE
2. CORFV = CEFAL = ZANTE
3. CORF. = CEFAL. = ZAN.
4. CORF. = CEFAL = ZANT.

Il rovescio presenta il consueto S. Marco in soldo attorniato dall'epigrafe * S. MARCVS. VEN * (ovvero VE *) e nell'esergo * II *. Ha un diametro di m. 0,026.

Simile, ma in proporzioni minori, è il soldo, recante due varietà d'iscrizioni nel diritto:

1. CORF. = CEFA. = ZAN
2. CORF. = ZANT. = CEF.

Nel rovescio gira intorno al leone la epigrafe * S. MARC. V * e nell'esergo la cifra * I *. Il diametro è m. 0,020.

Le sei monete di questa serie, come pure quelle di puro rame per la Dalmazia e per l'Albania, continuarono ad aver corso nelle isole Jonie, dove si battevano nel 1801 autonomi pezzi da 5 e 10 gazzette venete, fino al 1819 in cui il governo protettore di quelle isole decretava la loro distruzione, e se ne giovava a battere gli oboli ed i dittoboli colla figura sedente della Britannia.

[T5] Talleri a torchio col leone rampante.

Il favore che avea trovato ne' commercii del Levante il tallero imperiale di Germania invogliò, alla metà del secolo scorso, la Signoria di Venezia a tentarne la fabbrica per inviarlo a' suoi possedimenti oltremarini. Ad ottenerlo pertanto di quella leggiadra e regolar forma che formava la bellezza estrinseca de' talleri alemanni, e che da un secolo e più non era per la zecca veneta che un incompiuto desiderio, statuiva il Senato il 15 marzo 1755, ducante Francesco Loredan, la introduzione in quell'officina del torchio in luogo dell'incommodo martello fino allora impiegato nella monetazione.

Abbiamo però una terminazione del C. X, 27 marzo 1500, che suona così: [I[El singular modo et inzegno trovado cum molta sua industria et acuità per el fedel nostro Zuane da i relogii in far et stampar soldi cum tanta equalità, justeza et rotondità quanta alcuno ha veduto et come ha testificado el gastaldo de la Cecha nostra, et similiter li maistri de le stampe et altri hano visto el suo lavor et modo de lavorar, cossa a tutj admiranda; die indur la Signoria nostra a voler dar modo ch'el possi perseverar el bon principio dato non solum in li soldi et mezi soldi predicti, ma ogni altra sorte monede ac etiam li ducati (]I]zecchini[I[) como el se ha offerto de trovar modo cum ogni pianeza rotondità perfecta et pexo; adeo che le monede nostre, quale excelleno tutte altre monede de bontà, excellerano similiter de beleza; cossa che certamente se die dexiderar per honor de la Signoria nostra et per tuor ogni modo al stronzar de dicte monede le qual non potrano per alcun modo esser toche che imediate non siano cognossiute]I], ecc.

Da questa terminazione, che ho fedelmente trascritta dal Capitolar delle [I[Broche]I], rilevasi, parmi, che un congegno esclusivamente adatto allo stampo delle monete, onde risultassero belle e rotonde, una specie quindi del torchio odierno, fosse nella zecca nostra introdotto da questo Giovanni, che dalla prima sua professione ebbe il nome di Orologiajo. Quale si fosse questo congegno non s'hanno memorie. A chi tuttavia considera la rara perfezione de' nummi usciti dalla veneta zecca gli ultimi anni del secolo XV e fino al principio del XVII, si renderà facile a comprendere che, senza un meccanismo che ne agevolasse il lavoro, non era possibile coll'ordinario martello ottenere sì bei risultati. Ma nel secolo XVII, e più ancora nel successivo, i conii veneziani andarono imbarbarendo, talché quando il Loredan introduceva il torchio nel 1755 Venezia dava forse le monete più informi di quelle d'ogni altro stato d'Italia.

Che la introduzione del torchio abbia a riportarsi a quest'anno, ce lo fa sapere, oltre la terminazione de' Pregadi del 15 marzo 1755, la iscrizione che ancora si legge in zecca:

AURO
ET ARGENTO
MELIORI FORMA FERIVNDO
EX SENATVS CONSVLTO
ANNO DOMINI
MDCCLV.

Reca però maraviglia che il torchio si destinasse esclusivamente a' talleri fino alla caduta della Repubblica. Non abbiamo in fatti, oltr'essi, veruna moneta altramente improntata che a martello, ad eccezione della [I[osella]I] dell'anno IX del medesimo doge Loredan (1760), la quale sappiamo da memorie di zecca che [I[a pochi è piaciuta]I]. Tanta era la forza dell'abitudine che si preferivano i vecchi pezzi bruttissimi ai nuovi leggiadri; abitudine che ci richiama le arti tarde a sprigionarsi nel medio evo dalle tradizioni jeratiche.

[I[Francesco Loredan]I]. È indubitato che nel 1755 si diede mano, in via soltanto d'esperimento, allo stampo dei talleri; ma nessuno ne abbiamo che porti quell'anno, perché la fabbrica ne incominciò veramente nel successivo 1756. Era in quell'epoca lo zecchino montato al valore di lire di Dalmazia 48, e si manteneva dal settembre 1716 a venete lire 22. Pensarono quindi i Veneziani util cosa sarebbe lo stampo di uno spezzato dello zecchino che fosse in un medesimo esattamente multiplo della lira dalmata di conto e della veneta; quindi si volle il tallero del valore di mezzo zecchino, equivalente cioè a venete lire 11 o dalmate 24.

Il tallero pesa k. 138 d'argento a peggio 190 per marca, o in altri termini è al titolo 0,835. La metà d'esso, a titolo uguale, pesa proporzionalmente k. 69.

Questa moneta ha nell'intero un diametro di m. 0,040, e reca nel suo diritto un busto di donna coperta d'ermellino le spalle, del berretto de' dogi il capo, e rivolta di profilo alla destra del riguardante; all'intorno le gira la epigrafe RESPUBLICA VENETA. Nel rovescio, entro uno scudo, ricco di cartocci nel suo ornamento esteriore, sorge il leone alato e nimbato, rampante verso la sinistra e che tiene nelle zampe anteriori aperto il libro de' Vangeli; gli gira intorno la leggenda FRANC : LAUREDANO DUCE 1756 (in altri esemplari 1761). Il contorno del pezzo è formato di linee parallele inclinate. Due tipi diversi conosco del diritto di questa moneta, oltre la varietà più facile a rimarcare degli anni: l'uno ha il profilo della imagine della Repubblica molto vezzoso, l'altro non è sì vago perché la disposizione delle labbra ad un manierato sorriso le dà un'aria alcun po' satirina. Questo secondo è il tipo che più ordinariamente si vede nelle raccolte.

Ma di bellezza singolare è il busto della Repubblica improntato sul mezzo tallero, il cui diametro è m. 0,033, e il cui tipo è uguale a quello dell'intero, sminuito necessariamente nelle proporzioni. Non conosco di questo spezzato del Loredan altr'epoca che quella 1756.

Le memorie di zecca ci conservarono la cifra de' talleri battuti sotto il Loredan, cioè

dall'anno 1756 all'11 aprile 1750 talleri n. 137,973. 1/2.

dal 9 novembre 1761 in appresso, talleri n. 24,255. 1/2.

[I[Marco Foscarini]I]. Il 14 luglio 1762 imprese il Foscarini per la terza volta lo stampo de' talleri improntandoli del proprio nome. Introdottasi col torchio l'arte de' punzoni, non hanno queste monete altra varietà da quelle del Loredan che nel nome del principe. Sì il tallero che la sua metà recano quindi al rovescio la leggenda MARCO FOSCARENO DUCE, 1762. Sappiamo dalle memorie di zecca essersene da questo doge stampati per la somma di talleri 11,682. 1/2.

[I[Alvise Mocenigo IV.°]I] Le stesse osservazioni cadono sul tallero da questo doge improntato dietro il tipo de' precedenti, e della sua metà. La iscrizione che portano al loro rovescio questi due pezzi è la seguente ALOYSII ([I[sic]I]) MOCENICO DUCE 1766, e nel mezzo tallero 1764.

Ad eccezione del tallero del Loredan, che però non è comune, gli altri 5 pezzi di questa serie sono difficili a trovarsi, né so che alcun medagliere tutti li posseda, ad eccezione della Raccolta Correr.

Qui mi giova soffermarmi ad un settimo pezzo che nell'agosto 1850 vidi nelle mani del dottor Koch di Trieste, distinto naturalista e fervoroso raccoglitore di monete veneziane. È un [I[quarto di tallero]I], del tipo comune a' descritti col leone rampante, improntato in argento del titolo medesimo, e di peso relativamente minore, di leggiadro conio e di perfetta conservazione. Reca verso il contorno del rovescio la iscrizione ALOYSII MOCENICO DUCE 1765. Al primo vedere questo curioso cimelio della zecca nostra, mi sorse qualche dubbio sulla genuinità d'esso; ma le assicurazioni del dotto Koch sulla provenienza del pezzo, e maggiormente il più accurato esame, mi fecero inclinare a ritenerlo effettivamente genuino. Quanto alla sua rarità singolare, mancando esso a tutte le nostre collezioni, non saprei come meglio spiegarla che ritenendolo un semplice progetto, poi abortito. Gli è però indubitato che non ne troviamo menzione nelle memorie di zecca; ma il loro silenzio non dee esserci sufficiente a farne sospetta la originalità. Nelle memorie di zecca non troviamo nemmeno ricordato l'[I[ottavo del leone Morosini]I]; ma chi mai potrebbe sospettare, vedendola, che questa moneta, conservata al Museo Correr, sia falsa?

[T5] Talleri a torchio col leone seduto.

Che il favore sperato da' Veneziani per la nuova moneta ne' possedimenti del Levante venisse successivamente meno, lo prova la cifra sempre diminuita de' pezzi che si batteano per ogni [I[posta]I]. Si volle quindi tentare un nuovo stampo, e che ancor più del primo s'accostasse a' talleri germanici. Il Senato col decreto 6 febbrajo 1768 adottava il nuovo conio, e destinava poi a presiederne la fabbrica l'ingegnere Ferracina di Bassano.

Quanto però non riuscì inferiore di bellezza al primo tallero! Di questo non sappiamo l'egregio artefice, mentre ci è conservato il nome dell'incisore del nuovo, che fu certo Antonio Schabel, mediocrissimo coniatore tedesco, che aveva la smania di segnare le proprie iniziali sulle monete.

[I[Alvise Mocenigo IV.°]I] Approvatosi il nuovo conio colla succitata terminazione, si conservò il titolo e il peso di prima, ma se ne variò il valore, conguagliandolo cioè ad un ducato e un quarto d'argento, o a lire venete 10, pari a lire 21 e soldi 10 di Dalmazia, e si permise che a quest'ultimo prezzo lo ricevessero le casse de' possedimenti oltremarini. Il nuovo tallero del Mocenigo serba il diametro e necessariamente la grossezza del vecchio, ma nel diritto reca un busto di donna rivolta a destra del riguardante, con piccolo diadema sul capo, e coperta d'ermellino le spalle, di ricco manto il petto; brutto e sdolcinato il disegno, povera l'esecuzione. Gira all'intorno del busto la leggenda RESPUBLICA VENETA, preceduta da un rosone e continuata per abbracciar più campo da un ornatino pur chiuso fra due rosoni. Il rovescio offre il leone di S. Marco colle ali spiegate seduto verso la dritta, e volgente alla sinistra il capo, tenendo la zampa manca anteriore sul libro aperto, e posato sopra una mensola nel cui orlo le iniziali . A . S . (A. Schabel); all'intorno la leggenda ALOYSIO MOCENICO DUCE prolungata dagli ornamenti stessi che rimarcammo in quella del diritto, e nell'esergo l'anno * 1768 * oppure * 1769 *. Il contorno è a fogliame.

Il nuovo tallero di questo doge, del quale non abbiamo spezzati, è rarissimo se improntato nel 1768, quasi comune se nel 1769.

[I[Paolo Renier]I]. La diminuzione decretata nel prezzo de' nuovi talleri non portò vantaggio di sorta, ma fu accagionata di disordini, per cui un nuovo Senatoconsulto del 29 settembre 1779 ne ritornava il valore al primitivo di mezzo zecchino; e vi si aggiunsero, ducante il Renier, gli spezzati, [I[mezzi]I], [I[quarti]I], [I[ottavi]I], tutti all'ordinario titolo dell'intero, cioè a peggio 190, del peso relativo di k. 69, 34. 1/2, 17. 1/4, e del valore di lire 5. 10, 2. 15, 1. 7. 6.

Non variano questi ovvii nummi dal secondo tallero del Mocenigo, quanto al tipo, se non nella iscrizione del rovescio e nella data, recando tutti intorno al leone la leggenda PAULO RAINERIO DUCE. Talleri del Renier n'esistono cogli anni 1781, 1784, 1785, 1787, 1788; mezzi cogli anni 1780, 1784, 1786; quarti ed ottavi cogli anni 1780, 1781, 1786; avvertendosi in questi due pezzi minori dentellato il contorno, anziché a fogliame.

[I[Lodovico Manin]I], mutata l'epigrafe del rovescio (LUDOVICO MANIN DUCE), continuò a stampare quelle monete; e di lui si trovano facilmente talleri degli anni 1789, 1790, 1792, 1794, 1795, 1797; mezzi talleri degli anni 1789, 1790, 1792, 1797; quarti del 1790; ottavi degli anni 1790, 1791, 1794 e 1796. I conii e i punzoni di questi pezzi dell'ultimo doge, lavorati dallo Schabel, esistono ancora nella veneta zecca.

[T3] ZECCHE DI CORON E DI MODON.

Quasi in appendice alla parte del mio lavoro che tratta delle monete del Levante Veneto ho creduto collocare le scarse notizie che ci rimasero di officine nummarie progettate da' Veneziani a Coron ed a Modon, castella che proteggono la punta della Morea che guarda a libeccio. Quanto è a mia cognizione su questo argomento è solo una legge del Maggior Consiglio, sancita il 7 marzo 1305, legge di cui qui trascrivo il tenore:

[I[ Millesimo trecentesimo quinto, die VII Marcii. Cum per principem Achaiae et alios de Romania fiat talis moneta propter quam redditus nostri Comunis Coroni et Modoni sunt valde deteriorati, et etiam mercatores inde recipiunt magnum praeiuditium et sinistrum; capta fuit pars quod per nostrum Comune debeant cudi in Corono et Modano illae monetae quae videbuntur Domino Duci, Consiliariis, Capitibus de XL et Provisoribus esse meliores pro nostris negociis de inde.]I]

(Dal [I[Registro MAGNUS]I] appartenente al M. C., pag. 10, conservato nell'I. R. Archivio Generale di Venezia).

Parlando più sopra del [I[tornese]I], ho fatto vedere come il favore ch'ebbe in Levante ne' secoli XIII e XIV questa moneta introdottavi da' Francesi signori d'Acaja, movesse i Veneziani intorno alla metà del trecento a coniarla essi pure allorché stesero nel suolo di Grecia i loro possedimenti. Ma se anche il primo tornese battuto da' nostri fu improntato del nome di Andrea Dandolo, vedemmo come fino dal 1287 una legge speciale regolasse le pratiche de' cambiatori di tornesi, e come nel 1298 Marco Polo ne parlasse come di nummo avente singolar favore ne' commercii orientali. Qual maraviglia perciò se i Veneti, gelosi della voga di questa moneta francese, che ridondava in danno delle proprie, pensavano nel 1305 d'imprendere lo stampo di conio che le si avvicinasse, e d'imprenderlo in due castella del Peloponneso acciò ne fosse più pronto lo spaccio?

Sennonché, qualora la terminazione surriferita avesse effettivamente avuto esecuzione, sarebbe molto difficile che non si fosse conservata fino a noi alcuna moneta di Modon o di Coron, battuta sotto Pietro Gradenigo e sotto i costui successori fino ad Andrea Dandolo. Eppure a nessun pezzo di Pietro Gradenigo, di Marin Zorzi, di Giovanni Soranzo, di Francesco Dandolo e di Bartolomeo Gradenigo non puossi applicare il nome di tornese; né dal disegno prender argomento a tenerli altrove battuti che nella zecca di Venezia. Escludendo il ducato d'oro che si possede di que' dogi, le monete conosciute di Pietro Gradenigo sono le seguenti: il [I[piccolo]I] coniato la prima volta da Sebastiano Ziani sul modello de' denari imperiali, il [I[grosso]I] cuso primamente da Enrico Dandolo, il [I[marcuccio]I] di bassissima lega che pure avea dato fuori il doge vincitore di Costantinopoli, il doppio[I[ quartarolo]I] e la sua unità di cui alcuni vorrebbero attribuire l'origine alla ducea del Dandolo stesso, ma che genuino non si trova che da Pietro Ziani in poi. Lo Zorzi e il Soranzo non hanno altra moneta argentea che il grosso. Francesco Dandolo ha il piccolo e il grosso, a cui aggiunse il [I[mezzanino]I] o mezzo grosso e il [I[marchetto]I] d'argento, continuato quest'ultimo dal suo successore Bartolomeo Gradenigo, del quale pur hassi il grosso. Queste, e non altre, sono le monete che si conoscono nell'epoca di cui ci occupiamo, ma nessuna di queste poteva sicuramente essersi battuta per sostenere la concorrenza con quelle de' duchi d'Atene e di Chiarenza, come vorrebbe la terminazione 1305.

Che cosa dunque è a conchiudere, s'esiste la legge e non esistono le prove che siasi effettivamente eseguita? La risposta è facile a indovinare; tanto più che di officine monetarie de' possedimenti veneti non abbiamo veruna memoria, all'infuori da quella di Cattaro.

[T1] III. CANDIA.

Imprendendo a parlare delle monete che i Veneziani coniarono per l'isola di Candia, la mente corre a que' torbidi giorni in cui una serie di maravigliosi avvenimenti guerreschi rese immortali gli sforzi de' nostri per conservare quel baluardo d'Europa che la prepotente forza de' Turchi fe' suo, dopo venticinque anni di guerra accanita.

Andrea Valier senatore che visse in quell'epoca memoranda, e che in que' fatti ebbe parte, se ne fece lo storico. La costui opera, pubblicata nel 1679, è libro sommamente importante; è uno de' più bei monumenti con che si onorasse la memoria di tanti generosi cittadini che prodigarono alla patria gli averi ed il sangue. Io, ristretto dalla cerchia limitata del mio soggetto, non posso occuparmene in quest'opera se non in quanto alcuni di que' fatti abbiano immediato rapporto colla materia che ho a svolgere.

La grande isola di Candia, [I[Creta]I] degli antichi, la quale, forse perché la maggiore delle isole greche, si favoleggiò culla e reggia di Giove, venne in mano a' Veneziani l'anno stesso della conquista di Costantinopoli, avendola essi per oro da Bonifacio marchese del Monferrato. Mandatevi colonie per abitarla e dissodarne gli abbandonati terreni, si mostrò in sulle prime intollerante di giogo, e costrinse con ribellioni frequenti la dominante a reprimervi gli spiriti, di soverchio esaltati, colla forza dell'armi. Più che un secolo e mezzo durò questa lotta incessante fra la Repubblica e que' sudditi turbolenti, finché assicurata la tranquillità e agevolate le comunicazioni colla capitale mercé le conquiste fatte da' Veneziani sui lidi della Dalmazia, ebbe Candia giorni di pace e di prosperità. Ma l'impeto degli Ottomani, minaccianti Europa ed invasori d'Europa, strinse quella colonia alla lontana metropoli, questa temendo di perdere il più agguerrito antemurale de' suoi possedimenti, quella paventando di subire il giogo esecrato, ambedue prevedendo che le forze turche, assicurate le loro conquiste nel continente, si sarebbero arrovesciate, quando che fosse, su quel punto importantissimo.

E così veramente addivenne. Quantunque fino dal 1539 temessero i Veneziani per Candia e ne guardassero i porti e le castella, pure gli sforzi de' Turchi si diressero durante l'intero secolo XVI contro le isole dell'Arcipelago e contro Cipro, e la prima minaccia a Candia, che apre questa guerra, continuata venticinque anni, si avverò solo nel 1644.

Quali monete prima di quell'epoca correvano in Candia? quelle stesse che pur avevano corso in tutt'i possedimenti del Levante Veneto, i [I[tornesi]I], come abbiamo veduto parlando di questi ultimi all'anno 1476. Non si ha memoria però di nummi particolari di quell'isola prima del 1632, in cui troviamo i

[T5] Soldini.

Allorché, occupandomi nel capitolo precedente delle monete del Levante Veneziano, parlai de' tornesi, dissi come ciascuno d'essi corrispondesse in origine alla dodicesima parte del grosso nostro, vale a dire a quattro bagattini, valore che in seguito andò scemando fino a che ne' primi anni del secolo XVII tanto era deteriorato che il tornese si ragguagliava a que' giorni alla quindicesima parte del soldo, era cioè calato ad un 1/5 del primitivo valore. Le sigle che incontriamo ne' [I[soldini]I] di Candia, così appellati per la loro piccolezza in confronto de' nostri che si chiamarono allora [I[soldoni]I], ci provano che il soldino equivaleva a 4 tornesi, cioè a 4/15 del soldo veneziano.

L'anno 1632 decretava la Repubblica si battesse per Candia, e tosto s'inviasse a quell'isola, una somma di tredicimila ducati in soldini di rame. Ad agevolare pertanto il computo nei soldini dell'isola e nei tornesi comuni a' possedimenti di Levante, si fecero due monete di differente valore, l'una cioè di un soldino o 4 tornesi, l'altra di 10 tornesi o due soldi e mezzo. Sono queste le prime monete [I[certe]I] che i nostri abbiano coniato per la sola Candia, e di queste passo senz'altro alla descrizione.

[I[Pezzo da soldini 2 e 1/2]I]. = Varia nel peso da k. 22 a k. 27, quantunque lo Zon lo fissi (p. 74) a k. 25, per modo che gr. 10 di peso rispondano ad un tornese di valore. Il suo diametro è m. 0,025, e la materia n'è puro rame. Il diritto offre in mezzo ad un leggiadro contorno, che non molto si discosta da quello descritto nella [I[piastra]I] e nel [I[reale]I] di Francesco Contarini, la epigrafe in tre linee = SOL = DINI = * 2 * 1/2 * (in alcuni esemplari mancano le stelline). Il rovescio ha il S. Marco in gazzetta a' cui fianchi due piccole rose e nell'esergo . T. 10 . ovvero T . 10. ed anche T . 10, [I[tornesi dieci]I]. Il Museo Correr ne ha pure esemplari con due incusioni, delle quali non sono in grado di spiegare il significato, SP sopra B negli uni, GM negli altri.

[I[Soldino]I]. = Parimente di rame, ma del diametro 0,019, e del peso variante da k. 9 a k. 10. 3. Simili discrepanze nel peso da me avvertite in esemplari della più bella conservazione, m'indurrebbero a credere che anche per queste piccole frazioni della moneta non si avesse riguardo che al valor nominale, benché sia probabile che ne fosse stabilito l'intrinseco nella misura più sopra notata di k. 2. 2 per tornese. Il diritto offre in due linee la parola SOL = DINO. Sovra la prima è una stellina; altra stellina maggiore, talvolta una rosa fra due minori, sotto la seconda. Il rovescio è simile al pezzo da 10 tornesi, ma nell'esergo ha variamente espresso il valore T . 4, . T . 4 ., * T 4 *, . T 4 . [I[tornesi quattro]I].

Equivalendo pertanto il soldino di Candia a 4/15 del veneziano, il pezzo da soldini 2 e 1/2 va ragguagliato a 2/3 del marchetto. E siccome il soldo è costantemente la 20.ª parte della lira, così è a ritenere che a quell'epoca v'era in Candia una lira del valore di 80 tornesi cioè rispondente a soldi veneti 5. p. 4. Ma non conosco di questo pezzo la effettiva esistenza, e fors'era, come la lira di Dalmazia, una semplice moneta ideale di computo.

Il soldino e il suo multiplo non portano, è vero, il nome della colonia per cui furon battuti; ma il loro valore doppiamente espresso in soldini e tornesi, la rispondenza esatta di una moneta peculiare di Candia a quel nome ed a quel valore, il sapersi per quell'isola ordinato nel 1632 lo stampo di monete analoghe, il disegno delle figure e i caratteri de' pezzi in questione proprii di quell'età, sono tutte ragioni colle quali io credo di giustificare pienamente l'averli, collo Zon, attribuiti a quella colonia e a quell'epoca.

[T5] Gazzetta doppia di F. Erizzo.

Gli ultimi anni del governo di Francesco Erizzo, che sedette sul trono ducale dal 1631 al 1646, furono funestati dall'incominciamento della guerra di Candia, e dalla perdita di una delle piazze più importanti dell'isola, la Canea, presa nel 1645 da' Turchi dopo un'eroica resistenza. Il pericolo nel quale si trovava l'intera colonia, di cui era minacciata la medesima capitale, determinò il Senato ad imprendere con enorme dispendio una nuova spedizione per assicurare il restante dell'isola e ripigliare agli Ottomani la piazza dalle loro armi occupata. Il doge Erizzo, comeché ottuagenario, fu proclamato generalissimo, ma anziché salpasse mori. Gli è appunto in quel breve tempo che scorse dalla presa della Canea alla morte dell'Erizzo che ho collocato lo stampo del [I[reale]I] per il Levante, come qui vi colloco quello della [I[doppia gazzetta]I] per Candia. La somiglianza di questo rarissimo pezzo con quelli battuti per l'isola stessa dal suo successore Francesco Molin, e la necessità in cui si trovava l'esercito veneziano a Candia di monete piccole, necessità che indusse a coniare le doppie gazzette, le gazzette semplici e i soldi per quell'isola un anno dopo, mi determinano ad assegnare a Candia questo cimelio della numismatica veneziana, anziché al Levante, dove facilmente avrebbe potuto trovar posto presso il non men raro [I[reale]I].

Della doppia gazzetta di Francesco Erizzo non conosco che un solo esemplare, conservato nella Marciana. Quanto al metallo, è biglione bassissimo, a peggio k. 1098 per marca, del peso di k. 20 all'incirca e di diametro indeterminabile per la irregolarità del contorno. Questo pezzo subì due volte il martello monetario, ed il secondo colpo fu aggiustato al nummo dapprima impresso, per modo che il diritto s'improntasse dello stampo del rovescio e viceversa. Ebbi così ad impiegare la maggior pazienza per dicifrarne sotto la doppia impressione le rappresentazioni e le leggende; giunsi nullameno a discernere faticosamente le une e le altre. Il diritto porge la figura del doge genuflesso e rivolto di profilo alla sinistra del riguardante, chiuso in un cerchio di perline oltre cui è l'iscrizione FRANC . ERIZZO . D . Nell'esergo hannovi iniziali di monetario delle quali non è riconoscibile che una A in mezzo a due altre sigle, di cui quella a destra pare una B. È quindi agevole il riscontrare nelle sigle medesime le iniziali di Zuan Alvise Battagia che fu massaro all'argento nella zecca nostra gli anni 1646 e 1647, sigle che rafforzano la opinione che più sopra esposi sull'epoca e quindi sulla destinazione di questa moneta. Il suo rovescio presenta il leone alato e nimbato, rampante verso sinistra, pur avvolto in cerchio di perline oltre cui gira la epigrafe SANCT . MARC . VENET . Nell'esergo la cifra * IIII * indica il valore di [I[quattro soldi]I], o due gazzette.

Per quanto io mi sappia, questo pezzo è totalmente sconosciuto agli amatori della nostra numografia. Tale circostanza è appieno giustificata dalla qualità dell'unico esemplare che forse n'esiste nelle raccolte. Non puossi nemmeno asserire che abbia avuto mai corso; né d'esso, né del reale dell'Erizzo, non abbiamo fondamento alcuno per ritenerli più che semplici prove di zecca.

[T5] Gazzette doppie e semplici, e Soldi di Francesco Molin.

Per fatti gloriosamente immortali, quali prosperi, quali sventurati, va segnalata la ducea di Francesco Molin, successore all'Erizzo nel 1646, e che resse la Repubblica fino al 1655. Gli sforzi per avanzare l'armamento di Candia, la nobiltà patrizia venduta a prezzo d'oro per sopperire a' favolosi dispendii, le imprese arditissime sulle coste dalmate ed albanesi, la chiusa fatta a più riprese da' nostri colle bocche de' lor cannoni dello stretto de' Dardanelli, le cittadelle perdute e ripigliate, le fazioni sul mare di Tommaso Morosini, del Cappello, del Grimani, del Mocenigo e del Riva sono a leggersi nella storia del Valier. Io non credo che alcun popolo possa vantare una serie di avvenimenti sì gloriosi, anche se il loro esito fu infelice, come il popolo veneziano combattente a Candia le forze smisurate de' Turchi.

Difettava nel 1647 quell'isola di danaro pel traffico minuto, necessario a tanti soldati che vi spediva la Repubblica, traendoli dalle proprie terre od ingaggiandoli all'estero. Si decretò quindi quell'anno stesso che fossero coniate monete da 2 e da 1 gazzetta e da 1 soldo per Candia, ed ivi prontamente inviate. Sembra peraltro che il loro stampo non fosse così copioso da saziare i bisogni dell'isola combattuta, se nel volgere di pochi anni fu necessario ricorrere a monete ossidionali.

Volgendoci ora a descrivere le monete battute nel 1647 per Candia, ricorderò conservarsene ne' nostri musei tre diverse.

I.° [I[Gazzetta doppia]I]. = È delle tre la più rara, mancando essa alla raccolta Correr, né avendone io mai veduto altro esemplare da quello in fuori della Marciana, quantunque esistesse anche nella collezione Gradenigo descritta dal suo possessore nel secondo volume dello Zanetti, dove però il Gradenigo ci assicura non averne lui vedute di simili nei lunghi anni che fu sulla flotta (p. 197-198, n. 218). Il diametro n'è m. 0,028, il peso del pezzo da me esaminato è di soli k. 28. 3, mentre dovrebb'essere di k. 39. 51/235, incolpandosi di tal divario il cattivo stato di conservazione dell'esemplare. Il biglione che ne costituisce la materia ha di fino k. 54 per marca, è cioè a peggio 1098, equivalente al titolo 0,046875. Perciò il metallo è il medesimo che quello allora impiegato a battere i [I[soldoni]I] da 12 bagattini, il cui peso dovrebbe stare esattamente alla nostra moneta come 1 a 4. Il diritto offre una donna coronata, seduta di prospetto, avente nella destra il corno ducale, lo scettro nella manca; il leone di S. Marco le giace accosciato presso il piede sinistro, e un cerchio di perline le gira intorno, lasciando spazio alla iscrizione . FRANC . MOLINO . D . V . ([I[Dux Venetiarum]I]); e nell'esergo le sigle . Z . A . S . indicano il nome di Zuanne Alvise Salamon che fu massaro all'argento negli anni 1650 e 1651, sigle che ricorrono altresì nella [I[osella]I] dell'anno settimo del Molin, e provano come siasi seguitato più anni a battere quelle monete, la cui rarità può facilmente spiegarsi colla occupazione turca dell'isola per cui furono coniate. Il rovescio ha il S. Marco in soldo colla singolare aggiunta di una spada alzata ch'ei stringe colla destra, mentre nella manca tiene il Vangelo. Lo accerchia il solito contorno di perline, oltre cui la leggenda SANCT. MARC. VEN fra due rosoni, e fra due rosoni parimente nell'esergo la cifra IIII indicante il valore del pezzo, 4 soldi.

II°. [I[Gazzetta]I] = Simile al suo duplo è pur la gazzetta semplice, del diametro di m. 0,023, del peso di k. 19. 143/255, e di biglione al titolo antecedentemente notato. Uguale n'è pure il tipo, proporzionalmente minore, in cui altra differenza non si rimarca dal doppio pezzo che la leggenda del rovescio che offre VE. invece di VEN, e l'esergo del lato medesimo che porta di necessità la cifra . II .

III.° [I[Soldo]I] = I due esemplari da me veduti di questa moneta, l'uno nella Raccolta Correr, l'altro alla Marciana m'inducono forte sospetto non sia essa che una moneta di capriccio, seppure non vogliasi credere che la fretta in cui si trovò la zecca veneta di coniare e spedire a Candia quantità di monete piccole non avesse impedito di preparare lo stampo del soldo particolare per quell'isola, e obbligato a valersi per l'uno de' lati del conio comune de' soldoni veneziani, per l'altro del conio della gazzetta di Candia. Ambedue infatti quegli esemplari presentano dall'una parte il leone di S. Marco dinanzi a cui genuflesso è il doge; gira intorno alle due figure oltre il cerchio di perline la scritta . S. M. V. ([I[Sanctus Marcus Venetiarum]I]) FRANC. MOL ([I[Franciscus Molino]I]) e sotto la linea dell'esergo è fra due rosoni il numero 12 de' bagattini componenti il soldo. Il rovescio invece è improntato col conio del diritto della suddescritta gazzetta, ma essendo il diametro dell'ultima non poco eccedente quello del soldone comune, non poté stamparvisi che la base delle lettere che ne formano la leggenda. Il peso è l'ordinario de' soldi, k. 9. 189/235, co' quali ha comune il titolo dell'argento.

Siccome queste monete doveano principalmente servire ai pagamenti delle truppe che riceveano i loro stipendii in moneta veneziana, credo per tal ragione essersi preferito allo stampo degli altri pezzi di Candia da 4 e da 10 tornesi quello di monete perfettamente analoghe a quelle della metropoli, se non nel tipo, bensì nel peso, nel titolo e nel valore. Era poi facilissimo in quell'isola ragguagliare questo valore alla moneta ivi corrente; il soldone era pari a 15 tornesi; la gazzetta a 30 tornesi, la gazzetta doppia a tornesi 60.

[T5] Moneta Grimani.

Dalle monete battute per l'isola di Candia nella veneta zecca, passiamo ora a quelle che per dolorosa necessità dovettero coniarsi nell'isola stessa. Prima di tutte ci si presenta fra queste una moneta ch'ebbe il nome dal capitano generale Giambattista Grimani, sottentrato al destituito Cappello nel 1646. Gli è appunto questo anno che leggiamo inciso sulla moneta, ma non credo che allora siasi cusa, bensì in uno dei successivi, improntandola colla data 1646 solo perché la nomina del Grimani era caduta in quell'anno.

La [I[moneta Grimani]I] è un pezzo da 2. 1/2 soldini recuso; la recusione ha le forme più barbare sì ne' caratteri che nelle figure, e fu stampata da gente inesperta nel maneggio del martello monetario, talché sotto il secondo tipo restò non solo visibile e dicifrabile il primo, ma il secondo è molto leggero e lascia a mala pena discernere alcune parole. Non ci voleva quindi che il confronto simultaneo de' sette esemplari custoditine nella Raccolta Correr per rilevare le intere leggende di questa non comune moneta. L'uno de' lati offre lo stemma della famiglia Grimani tutt'ornato di cartocci inelegantissimi e sormontato dal berretto di capitano generale. Una linea circolare gli gira intorno e lo divide dal campo della iscrizione ch'è indubbiamente questa: IO. BAP. GRIM. GEN. IMP. VENET. Una linea serve d'appoggio allo scudo, e nel breve esergo che s'apre fra essa e la circolare stanno le sigle G * 10. L'altro lato ha un orrido S. Marco in soldo che tiene lo scudo Molin, insegna del doge allora regnante. Nello spazio fra la linea su cui posa il leone ed il cerchio che lo attornia sono ripetute le sigle G * 10, e fuori di questo cerchio gira l'epigrafe SANCTVS MARCVS VENETVS 1646, notandosi per esattezza che le N da questo lato sono rovescie. Quanto al diametro e al peso di questa moneta è inutile il dirne, perché non è, lo ripeto, che un pezzo da 2. 1/2 soldini di rame recuso.

Se veramente quell'anno 1646 si riferisse all'epoca dello stampo della moneta, fatto riflesso alla moneta stessa che dagl'informi caratteri si annuncia coniata in momenti d'estrema necessità potrebbe a taluno venir in mente la si percuotesse in Rettimo assediata e presa quell'anno da' Turchi. Ma non porterebbe allora il nome del Grimani, sì però del Cappello sotto il cui generalato ebbe sì infelice esito la resistenza di Rettimo. Chiamato il Grimani a quella suprema dignità gli ultimi mesi di quell'anno, e incominciando la serie gloriosa delle sue geste solo nel successivo, hassi tutto il fondamento di ritenere che la data impressa sulla moneta non ad altro si riferisca che all'assunzione dell'intrepido duce al generalato. Siccome poi nel 1648 perì, vittima del suo dovere, nelle acque de' Dardanelli, e i nummi ch'esaminiamo furono senza fallo improntati anzi che gli si sostituisse il Mocenigo, del quale in caso diverso avrebbero portati gli stemmi e il nome; così è probabilissimo che la loro fabbrica abbia a collocarsi nel 1648 quando i Turchi misero il primo assedio a Candia. Quale ne fosse il valore, ce lo dice la moneta medesima, G. 10; e siccome non abbiamo pezzo cui si possa applicare quella iniziale fuorché la [I[gazzetta]I] così opino doversi interpretare quella sigla G. per gazzetta, e corrispondere il pezzo ad una lira veneta o a dieci gazzette. Nel 1652 correvano ancora in Candia siffatti pezzi, e sotto quell'anno ci racconta il Valier come i disordini moltiplicatisi obbligassero la Signoria a totalmente bandirli. Riporto il passo del Valier ([I[Storia della guerra di Candia]I], p. 289) dal quale si rileva eziandio che appunto in quell'isola s'imprimevano questi nummi, se vollersi inviati tutt'i lor conii a Venezia: [I[Non ommetteva il Senato applicatione alcuna per sostenere quella città. E perché in essa s'erano formate certe monete di rame dette ]I][SC[GRIMANI[I[]SC], le quali ogni giorno mancauano di stima in riguardo dell'accrescimento che faceuano di numero, si uedeva chiaramente che la continuatione delle medesime hauerebbe affatto diuertito il commercio alla piazza, la quale una uolta finalmente sarebbe perita per necessità; fu ordinato al generale Riua che totalmente le prohibisse e che inuiasse a Venetia tutte le stampe, per troncare una cosa tanto perniciosa; la quale, conforme l'ordinario, fu incominciata con un ottimo fine in un caso di estrema urgenza, ma fu poi continuata con fini d'ingordissima auaritia, oltre l'inganno e la fraude d'infiniti monetarii che riceueuano incitamento dalla facilità della fabbrica]I]. E conchiude: [I[Per questo meritò in tutti i tempi il più attento riguardo la costruttione di nuove monete di solo nome, perché essendo tanto soggette ad esser adulterate, la medicina per ordinario diuenta ueleno, et il rimedio bisogna che nasca con precipitio anche di molti innocenti]I]. Sante e generose parole son pure queste ultime, che si vorrebbero scolpite sulle officine monetarie dell'Europa moderna!

Prima di chiudere il mio breve discorso su questa moneta, di cui spero aver determinato chiaramente l'epoca, il valore e la circostanza che le diede origine, osserverò essere questo di tutt'i nummi veneziani il solo che porti altro nome nelle sue leggende da quello del doge; il solo altresì ove ad un generale veneziano sia dato il titolo d'[I[imperatore]I].

[T5] Ossidionali del 1650.

Se spetta con ogni probabilità al primo assedio che Candia sostenne nel 1648 la [I[moneta Grimani]I], appartengono al secondo due pezzi assai più rari, improntati dell'anno 1650, in cui i Turchi, raccolte novelle forze, la strinsero formidabilmente. Questi conii a cui noi Italiani diamo il nome di [I[ossidionali]I], e pe' quali la lingua alemanna ha l'espressivo vocabolo [I[Nothmünze]I], mostrano nella grettezza del disegno e nel pessimo stampo una mano avvezza a trattare le armi del soldato più che il martello dello zecchiere.

Esposi superiormente per qual ragione s'abbia a riconoscere nella [I[moneta Grimani]I] un segno rappresentativo della lira veneta. Alcune sigle ricorrenti ne' due tipi che qui verrò illustrando li manifestano multipli di quel nummo. Infatti quello maggiore in diametro e in peso porta nel rovescio le iniziali L. X, mentre il minore ha invece L. V, ch'io vorrei interpretare [I[lire dieci]I] e [I[lire cinque]I]. Il Valier, nel passo più addietro riportato, parlando delle monete ossidionali di Candia sotto l'anno 1652 non ricorda se non le monete Grimani e ne tace il valore. Che quel nome abbia a dinotare il pezzo da 10 gazzette che porta l'anno 1646 è fuor d'ogni dubbio, perché vi leggiamo impresso il nome del capitano generale Grimani. Non credo peraltro avanzare un'ipotesi malferma nel conghietturare che ad altre monete successivamente battute fra i rigori dell'assedio si desse il medesimo nome che s'era dato alla prima. Certo è che i due nummi di puro rame che in breve descriverò dovettero subire il ritiro dalla circolazione, se sono oggi ridotti di gran rarità.

[I[Pezzo da lire dieci]I]. = I due soli esemplari ch'io vidi di questa moneta sono conservati nel Museo Correr, ed uno d'essi scarseggia straordinariamente nel peso per aver tagliato il contorno, che nell'esemplare perfetto è sì largo da corrispondere ad un sesto del diametro della moneta, il quale tocca perciò m. 0,030 nell'uno, e 0,025 nell'altro pezzo. Quanto al peso è nel primo di k. 59, nel secondo di k. 29. Il diritto offre in tre linee orizzontali, la iscrizione allusiva ad una moneta nominale che non traeva d'altronde valore che dalla fiducia del popolo per cui s'era battuta, FIDES PVBLICA 1650. Sopra l'epigrafe è un piccolo leone, e a' suoi lati due punti intorno a ciascuno de' quali girano altri 5 punti disposti quasi ad indicare gli angoli di un pentagono, e sott'essa una stellina. Una linea circolare avvolge l'epigrafe ed i suoi ornamenti, ed è alla sua volta chiusa da giro maggiore ove alternano segmenti di circolo, punti e stelline, così disposti *).(*). Il rovescio offre una ben disegnata imagine di S. Marco in piedi, veduto di prospetto, che nella sinistra tiene il Vangelo e colla destra benedice. Gli stanno a' fianchi le sigle L e X le quali superiormente esposi che ritengo esprimere [I[lire dieci]I].

[I[Pezzo da lire cinque]I]. = Dello stesso nummo che servì nel 1648 a battere la moneta Grimani, cioè del pezzo da soldini 2. 1/2, si giovarono gli assediati abitatori di Candia per improntarvi un segno rappresentatore del quintuplo di quella più antica ossidionale. Almeno tali si mostrano i due soli esemplari che ne ho veduti, l'uno al Museo Correr, l'altro alla Marciana. Il diritto e il rovescio di questo pezzo portano i tipi medesimi del precedente, sminuiti nelle loro proporzioni, e col necessario mutamento a' lati del santo, ove scorgonsi le sigle L e V indicanti, secondo me, il valore di [I[lire cinque]I]. Il lavoro del conio n'è però assai scadente, il diametro di m. 0,020 senza il contorno.

Raffrontato questo pezzo col suo duplo, troviamo nell'ultimo, considerandone il miglior esemplare, una eccedenza del peso. Nessuna maraviglia però mi farebbe se questa eccedenza, che non supera i 5 k., fosse maggiore d'assai. Prescindendo anche dall'angustiosa fretta in cui tali nummi furono cusi sotto una pioggia di palle di cannone e di bombe, osserverò che non occorreva certa scrupolosità nel pesare i pezzi che monetandosi andavano ad assumere un valore affatto nominale.

[T5] Zecchino di cuojo.

Scrisse lo Zon nel suo più volte citato trattato della Zecca Veneta (p. 72): [I[Nel numero di queste monete temporanee, o piuttosto segni, o tessere per l'armata, potrebbe per avventura notarsi uno ]I]zecchino di cuojo[I[ col nome di Francesco Cornaro doge di soli 20 (]I]leggi 24[I[) giorni, nel 1656, simile affatto a quello d'oro di lui, ma di forma distinta e minore, con caratteri che, nella forma dell'E così segnato H, vi grecizzano, ed il quale fino all'anno presente (]I]1847[I[) si possedette dai conti Pompei di Verona colla tradizione che sia moneta battuta pei bisogni della guerra di Candia. Il suo tempo vorrebbe assegnarsi in vicinanza alla vittoria dei Dardanelli del 26 giugno di detto anno, e darebbe maggior probabilità il sapersi che in quegli anni stessi fu a quella guerra e vi sostenne cariche distinte il generale d'artiglieria conte Tommaso Pompei]I].

Ho riportate le stessissime parole dello Zon, che primo disse di questa strana moneta, della quale io spero sarò l'ultimo a dire. Conciossiaché sia ormai tempo di sbandire dalla numismatica veneta tante goffaggini alle quali non so come dessero luogo ne' lor lavori scrittori riputatissimi. Quanto ai rapporti storici del pezzo in questione, non sono d'accordo col mio illustre amico, perché la battaglia dei Dardanelli ch'egli, colla consueta sua esattezza, nota combattuta il 26 giugno 1656, avvenne dopo che al defunto doge Corner era già succeduto Bertucci Valier. Aggiungerò che in niuno scrittore, in nessun documento non ricorre il minimo cenno di monete di cuojo battute per le strettezze di Candia. E il silenzio de' documenti e degli storici è per me autorevolissimo, trattandosi d'epoca a noi vicina e delle cui memorie abbondano le fonti nostre.

Il pezzo che vide e descrisse lo Zon ebbi anch'io tra mani più volte, mentr'era in proprietà del sig. Giuseppe Dina intelligente ed onesto negoziante d'oggetti numismatici in Venezia; e in quella occasione potei a tutt'agio esaminarlo e paragonarlo ad altri zecchini di Francesco Corner che si vedono, quantunque rari, nelle raccolte, ma sempre in oro. Mi fu quindi agevole il convincermi che lo zecchino di cuojo fu veramente battuto col conio dello zecchino del Corner, e la differenza nella forma delle E che allo Zon apparvero foggiate come H non dipendeva che dall'essersi raggrinzato il cuojo, senza che s'avesse a supporre l'impiego di un conio particolare. Anzi a questo medesimo ristringimento della materia improntata ascrivo, senza tema d'errore, il diminuito diametro che rimarcava il mio amico. Il conio dunque su cui fu cuso il controverso pezzo si trovava nella zecca nostra ed era quello medesimo che servì allo stampo dell'oro, come lo provano luminosamente i confronti da me istituiti. E nel 1656 niuno lasciò memorie che la zecca di Venezia coniasse, invece d'oro, il cuojo; ma sappiamo anzi che in quegli anni si stampò quantità straordinaria di quel prezioso metallo appunto per sostenere l'isola travagliata e avanzare le imprese guerresche. Solo negli assedii della capitale di Candia s'ebbe due volte ricorso, come più sopra vedemmo, a nummi ossidionali; ma nel 1656 Candia era sbloccata e liberamente comunicava colla metropoli, onde traeva monete di valore intrinseco, non avendo necessità di pezzi di valor nominale.

Alla gran serie de' capricci di zecca ascrivo lo zecchino di cuojo del doge Francesco Corner. Durante lo stampo delle auree monete, sappiamo che la bizzaria di taluno che si trovava nella officina nummaria della Repubblica improntava di que' conii pezzi di rame o d'argento, non difficili a rinvenirsi nelle pubbliche e private raccolte. Così eseguendosi lo stampo degli zecchini del Corner, sarà saltata a taluno in cervello la stramba idea d'improntarne un pezzo di cuojo. Ecco ond'io credo traesse origine questo nummo singolarissimo, che non merita che d'ora in poi uomo se n'occupi.

[T5] Gazzette e Soldi.

Ultimi nell'ordine cronologico si presentano alle nostre considerazioni sulle monete di Candia le gazzette ed i soldi. L'epoca del loro stampo sappiamo con precisione dalle memorie di zecca fra le quali si legge: [I[Le gazzette e i soldi di rame per Candia furono fabbricati l'anno 1658]I]. Non ricordandosi qui tuttavolta in qual mese si desse mano a quel lavoro, sarei incerto se attribuirli al ducato di Bertucci Valier o a quello di Giovanni Pesaro, il primo morto in quell'anno, il secondo in quell'anno stesso innalzato alla ducal dignità.

Le istorie nostre ci ricordano in quest'anno portato il flagello della guerra sulle acque de' Dardanelli. Ecco perché vediamo cessare a Candia le monete ossidionali e farsi luogo a quelle di giusto peso e cuse nella veneta zecca. È fuor di dubbio che i Veneziani rifuggirono mai sempre dai pezzi a' quali l'impronto dava un valore puramente nominale, e quindi se talvolta ne emisero dovettero essere indotti a farlo dalla più dura necessità, come accadde ne' due assedii del 1648 e del 1650.

Allorché ho parlato delle gazzette e de' soldi coniati per la Dalmazia e per l'Albania, ho fatto vedere come si prescrivesse intorno al 1700 che il loro peso fosse rispettivamente di k. 38 e k. 19. Ciò non ostante dalle succitate memorie di zecca rileviamo che si volle fossero le gazzette per Candia di k. 34, i soldi di k. 17. La materia n'è puro rame; il diametro delle prime di m. 0,027, de' secondi di m. 0,022. Veniamo alla lor descrizione.

Offre la gazzetta nell'averso il nome CANDIA in una linea orizzontale, e sopra e sott'esso un rosone fra due stelline. Nell'esergo di questo lato ha, ne' quattro diversi tipi che ne ho veduti, le sigle . N. C., F. R., M. A. S. e P. M., le quali, con esempio molto raro nel rame, sono le iniziali del massaro sotto cui furono stampati i varii pezzi. Due sole varietà sono però in grado d'interpretare; vale a dire le sigle N. C. che ricordano Nicolò Contarini massaro all'argento nel 1658 l'anno medesimo in cui si decretò la moneta, e quelle M. A. S. che ricordano Marco Aurelio Soranzo il quale coprì quella carica nel 1659. Il rovescio del pezzo in discorso porge il S. Marco in gazzetta ma alcun poco variato dalla ordinaria rappresentazione, recand'esso nella sinistra il libro de' Vangeli, nella dritta la spada alzata; rappresentazione che rimarcammo ricorrere in altre monete cuse per Candia sotto il doge Molin; e veramente miglior attributo non gli si poteva applicare in que' tempi bellicosi. Gira intorno al simbolo del patrono della Repubblica la epigrafe consueta . SANCT . MARC . VEN . (o VENE .), e nell'esergo di questa faccia il numero II fra due rosoni.

Simile alla gazzetta ma in proporzioni relativamente minori di peso e di diametro è il soldo, del quale varia di necessità l'esergo del rovescio che offre il numero * I *, e del quale non mi venne fatto vedere che un tipo portante nell'altro lato le sigle P e M.

Le ultime monete son queste che i Veneziani improntarono per quella diletta colonia. Undici anni dopo, nel 1669, esauriti da' nostri tutt'i mezzi ch'erano in loro potere per impedire i progressi delle vittorie de' Turchi, e prolungare una resistenza ormai divenuta inutile ed impossibile, abbandonati dall'Europa incivilita, ammirati da' contemporanei e più da' posteri, segnarono quella capitolazione per cui Francesco Morosini poté insuperbire quasi d'una segnalata vittoria. Da quel giorno Candia decadde, Candia, memore dell'affetto di Venezia, Candia mal tollerante il giogo de' barbari. E da quel giorno sottentravano gli aspri e i parà alle gazzette e ai tornesi, il governo dei padiscià a quello dei dogi, la luna falcata al leone di S. Marco.

Non è però che dopo la caduta di Candia queste ultime monete che ho descritte cessassero dall'aver corso. Anche vent'anni dopo la perdita di quell'isola ne girava gran numero ne' possedimenti di Levante che restarono alla Repubblica. Di ciò abbiamo prove indubitatissime in una serie di sigle che sulle gazzette, e più raramente sui soldi, si andavano contromarcando, delle quali offro un prospetto ove ho raccolte le da me conosciute, quasi tutte esistenti nel Museo Correr. Le loro varietà si riducono alle seguenti: 1.° VICE.° VEND.N, 2.° POLO NANI ovvero PN, 3.° S, 4.° GB, 5.° M, 6.° ZD ed anche ZD4, 7.° CCO, 8.° RB, 9.° TINO. Le agevolmente interpretabili sono, a vero dire, soltanto le prime due; l'una ricorda Vincenzo Vendramin che nel 1688 scortò la cassa militare in Morea dove i Veneziani stringevano Negroponte d'inutile assedio, l'altra Paolo o Polo Nani che nell'anno stesso era colà tesoriere delle truppe della Repubblica. L'ultima, ch'io mai non vidi, vorrebbe il Gradenigo, nel cui museo si conservava, fosse contrassegnata per aver corso nell'isola di Tino (Zanetti, II, p. 207, n. 280). Quanto alle altre, le lascio alla interpretazione di numismatici di me più pazienti o più fortunati.

Prospetto delle varietà d'incusione nelle Gazzette di Candia. [SC[SIGLE DEL MASSARO.]SC] [SC[INCUSIONE NEL DIRITTO.]SC] [SC[INCUSIONE NEL ROVESCIO.]SC] 1. . N . C . S in cerchio di perline G B in cerchio di perline 2. . N . C . VICE.° = VEND..N = * e ZD CCO 3. . M . A . S . nulla RB 4. . M . A . S . VICE.° = VEND..N = * e PN POLO = NANI sotto 2 perline 5. . M . A . S . P N POLO = NANI fra 6 perline 6. . M . A . S . Z D CCO 7. . M . A . S . S fra perline GB fra perline 8. . M . A . S . nulla POLO = NANI fra 7 perline 9. . P . M . S fra perline GB fra perline 10. . P . M . POLO = NANI fra 6 perline nulla 11. . F . R . G B in cerchio di perline S fra perline 12. . F . R . VICE.° = VEND.N POLO = NANI fra 7 perline 13. . F . R . S dentro una corona (?) B dentro una corona (?) 14. . F . R . M in cerchio di perline nulla 15. . F . R . P N POLO = NANI 16. . F . R . VI = VE e Z D 4 CCO 17. . . . . . . VICE.° = VEND..N POLO = NANI e PN 18. . . . . . . VICE.° = VEND..N e TINO nulla

Del soldo due sole varietà incuse sono a mia notizia, l'una nel Museo Correr coll'esergo P. M. avente contromarcata nel diritto una S fra perline, nel rovescio G B; l'altra descritta dal Gradenigo (Zanetti, II, p. 207 n. 281) recante nel diritto incuse le iniziali DM entro una corona.

[T1] IV. CIPRO.

Quando nel 1473 morì Jacopo Lusignano re di Cipro, Catterina Corner veneziana a lui disposata nel 1468 assunse le redini del governo dell'isola in nome del figlio che, postumo al marito, le nacque. Pochi mesi visse il fanciullo e, lui morto, la Corner rimase sola a signoreggiare il reame. Vorrebbe il Pasqualigo che di questa donna si avessero monete, battute vivente il figliuolo; ma la sola ch'ei ne ricordi nelle sue schede non è che un mal conservato pezzo di rame dell'imperatore Michele Duca. Escludiamo perciò dalla nostra serie quel pezzo, che veramente non le apparterebbe s'anche fosse genuino, perché battuto anzi la cessione fatta dalla Corner dell'isola di Cipro a' Veneziani, avvenuta nel 1489.

Rileviamo da memorie di zecca che negli anni 1553 e 1559 si coniarono per Cipro monete appellate

[T5] Carzie.

Questo nome, che manca ora al greco volgare, suona moneta di rame, sia poi di semplice rame o di basso biglione, e deriva da [Gr[chalkòs]Gr], [I[aes]I], o da [Gr[chálkeios]Gr], [I[ex aere ductus]I], o meglio ancora da [Gr[chalkíon]Gr] preso in senso di moneta vile, come lo usò Aristofane ([Gr[Batrachoì]Gr], Act. II. [I[Antepirrh]I]. v. 8 e 9):

… [Gr[allà toútois tois ponerois chalkíois]Gr]

[Gr[Chthès te kaì próen kopeisi to kakísto kómmati]Gr].

È facile a spiegare colle corruzioni della greca favella ne' bassi tempi il non insolito mutamento della pronuncia della [Gr[l]Gr] in [Gr[r]Gr]. Infatti anche oggidì il coniatore è detto dal popolo greco indifferentemente [Gr[chalkias]Gr] e [Gr[charkias]Gr]. Né crederei diversa la origine della medicea [I[crazia]I] toscana, che però altri vorrebbero derivare dal [I[kreuzer]I] tedesco.

Ma i nostri numografi, ricordando le [I[carzie]I] di Cipro, e l'epoche del loro stampo surriferite, e il loro peso di k. 2. 2, e il titolo ragguagliato a 92 di fino, o a 1060 di peggio per marca, non si volsero ad applicare quel nome ad alcuna moneta delle cuse in quegli anni. Eppure, se non di Marcantonio Trevisan che regnò un solo anno, vi sono monete di Francesco Venier che ducò dal 1554 al 1556, e di Girolamo Priuli che montò nel 1559 il trono ducale, alle quali si può applicare senz'esitanza il nome di [I[carzie]I], corrispondendovi, oltre l'epoca, il titolo e il peso.

Sono queste due nummoli molto rari, i quali recano dall'un de' lati una croce con quattro fiamme o con quattro bisanti agli angoli che forman le braccia, e chiusa da un cerchietto, oltre cui gira l'epigrafe + FRANC . VENERIO . DVX negli esemplari del primo, e in quelli del secondo + HIERON . PRIOLI . DVX . Offre il rovescio il leone di S. Marco in gazzetta e intorno ad esso la leggenda + S . MARCVS . VENET . Degli unici esemplari che ne ho veduti, conservasi il primo al Museo Correr, l'altro alla Marciana. Il loro diametro è m. 0,013, il peso è il più sopra riferito di k. 2. 2, meno le piccole differenze portate dal non perfetto grado di conservazione. Il titolo del biglione corrisponde appunto a peggio 1060.

Non sappiamo il valore della carzia a quell'epoca, ma questo valore ci apparirà dal confronto con altra moneta notissima, cioè col ducato d'argento di Girolamo Priuli. Questo pezzo, il maggiore che fino allora avessero monetato i Veneziani in quel metallo, si fece a peggio 60 e del peso di gr. 651, cioè di k. 162. 3, ed aveva quindi di fino gr. 617. 3/32. Siccome il ducato stesso si valutava allora, per decreto 7 gennajo 1561, lire 6 e soldi 4, cosi ogni soldo vi era rappresentato da una particella di argento fino del peso di k. 1. 3875/3968. Ora, essendo nel ducato il bagattino rappresentato da circa quattro decimi di grano, e nella carzia avendosi parimente di fino grani 0,799, valutato alcun poco in quest'ultima il molto rame, credo poter affermare che la carzia equivaleva intorno alla metà del secolo XVI a 2 bagattini.

[T5] Soldo col doge armato.

Si custodisce nella Marciana un soldo, del peso di k. 2 d'argento, a peggio 550 per marca o poco meno, recante da un lato la imagine in piedi di Pietro Loredan, doge dal 1567 al 1570, volto a sinistra, coperto d'armatura, cinto il capo del corno ducale, e stringente colla destra il vessillo. Intorno a lui la epigrafe PETRVS . LAVRETA . DVX .; al rovescio il S. Marco in soldo chiuso da cerchietto, oltre il quale la consueta leggenda + S . MARCVS . VENETVS . Di questo pezzo, d'esimia rarità e di molta bellezza, il Museo Correr possede un esemplare, ignorato allo Zon e agli altri numismatici, simile al suddescritto nel peso, nel titolo, nel tipo del diritto, e totalmente svariato nel rovescio, perché reca la figura del Cristo in piedi, veduta di prospetto, che tiene il mondo nella sinistra, e colla dritta sta in alto di benedire, ed è attorniato dal motto TV SOLVS SANCTVS; tipo ricorrente in altre monete di quest'età, senza nome di doge, e che probabilmente spettano al Loredan. Vorrebbe lo Zon che questa monetina, da lui veduta soltanto nella Marciana, fosse allusiva alla guerra coi Turchi principiata nel 1569, e battuta per uso della veneta armata (ib. p. 35); e più sotto (p. 68) la novera fra le monete di Cipro. Io non nego che il doge possa aversi effigiato nella singolare rappresentazione di catafratto per aver egli incoata la guerra co' Turchi a proteggere il minacciato reame; ma non posso convenire collo Zon nell'ascrivere ch'ei fa alla serie delle monete di Cipro il soldo presente. I due esemplari, che forse unici se ne conservano, recano ambedue, come indicai testé, simile il diritto, diverso il rovescio; e questo rovescio medesimo vediamo in monete affatto comuni di quella età. Non potrebb'egli meglio spiegarsi il tipo e la rarità del controverso pezzo, ritenendo che i due esemplari del Correr e della Marciana, fossero semplici prove di una moneta a cui si volle poi sostituire un diverso rovescio?

[T5] Bisante.

L'unica moneta che i Veneziani stampassero nell'isola di Cipro è il [I[bisante]I], nummo ossidionale lavorato da' difensori di Famagosta stretta da terribile assedio. Nella sua operetta [I[Historia de Salamina capta]I], edita la prima volta a Venezia nel 1843, Antonio Riccoboni, storico contemporaneo a quel fatto, tocca dell'origine di questa moneta: [I[Cum autem IV. Non. Majas ]I](a. 1570)[I[ per totam insulam Cyprum bellum inter Venetos et Turcas promulgatum esset, ipse]I] (intendi Marcantonio Bragadin difensore della piazza, che dopo la resa fu scorticato vivo da' fedifragi nemici) [I[pecuniis indigens… quod totum aurum et argentum quod haberet in equestres et pedestres copias consumpsisset, nec facile propter locorum distantiam opportunum nummorum subsidium sperare posset… aerarium confici quamprimum voluit nummosque diu noctuque signari aereos mandavit; alteros duodecim assium, alteros quattuor quadrantium, atque hujusmodi moneta peditibus italis et graecis, equitibusque et omnibus qui in praesidio erant satisfaciebat, edicto facto ut suspendii poena illis esset proposita quicumque talem pecuniam recusarent]I].

Il pezzo ossidionale di Famagosta, ovvio a trovarsi, è di puro rame ed ha un diametro di m. 0,028; il peso ne' varii esemplari è tanto incerto che sembra affatto arbitrario; il minimo da me riscontrato fu di k. 17, il massimo di k. 46. Nel mezzo del campo del diritto è il leone seduto e rivolto alla sinistra del riguardante, e sott'esso l'anno 1570, e all'ingiro PRO. REGNI. CYPRI. PRESSIDIO. Nel rovescio è in tre linee la iscrizione VENETORV = FIDES. INVI = OLABILIS, sopra la quale un amorino, svolazzante verso la destra, allude alle tradizioni mitologiche dell'isola cara a Venere; e nell'esergo il nome di BISANTE colle note, varie negli esemplari, IIII, .I., . I . E ., . I . F . Ma come discernere fra questi pezzi quelli [I[duodecim assium]I] e quelli [I[quattuor quadrantium]I] che il Riccoboni distingue? Le sigle stessissime occorrono in un pezzo del massimo e in uno del minimo peso; dunque il peso non è dato regolatore. Il tipo nemmeno perché in tutte è simile, come simile è il metallo che in tutte è semplice rame. Se tutte avessero la cifra IIII potrebbero essere i pezzi di 4 quadranti, pezzi che d'altronde non sappiamo a che moneta corrispondessero. Ma quello di 12 assi, nome parimente a noi sconosciuto, parlandosi di monete coniate da' Veneziani, qual mai sarebbe? Forse quel nummo di biglione, custodito alla Marciana, del diametro m. 0,021 e, del peso di k. 14, che offre da un lato in quattro linee la epigrafe ÆS = ARGE = NTI = .X., e dall'altro il leone di S. Marco gradiente verso manca con all'esergo 1571? Lo Zon (p. 69) non esita a dirci anche questo pezzo, di rarità straordinaria, spettare alla guerra di Cipro; ma per uniformarsi al detto dal Riccoboni dovrebbe portare la cifra XII anziché quella X. Confessiamolo, ci mancano i fondamenti per basare una più plausibile conghiettura.

[T1] V. TERRAFERMA VENETA.

Abbracciamo sotto questo nome i possedimenti della Repubblica Veneta nella penisola d'Italia, escludendone il Dogado che comprendeva le lagune del settentrione dell'Adriatico e i loro margini sul continente. Più esteso però era il nome d'ITALIA VENETA, in cui s'includeva anche la penisola d'Istria.

Le condizioni naturali e politiche di Venezia ne aveano fatto uno stato commerciale, e meglio necessitato a stendere le sue colonie marittime sull'Adriatico e sul Mediterraneo che non a dominare il continente italiano. Era bastevole una forza terrestre a proteggere i limiti dell'estuario dagli attacchi degli stati minori, i cui confini toccavano all'occidente quelli della Repubblica; e se Venezia fu grande e ricca a dismisura, allora soltanto lo fu quando i suoi possedimenti continentali si limitavano alle terre del Trevisano. La smania di dominare in Italia, pagata a troppo caro prezzo con guerre che per anni ed anni si rinnovarono a tutto svantaggio della potenza e del commercio de' Veneti, li mosse a dilatare i loro confini sino quasi alle porte di Milano, e ad occupare oltre Po varie castella delle marche ne' secoli XV e XVI. È d'altri libri ufficio, meglio che non del mio, il dimostrare come quella smania, fattasi ancora più ardente quando le scoperte de' Portoghesi e degli Spagnuoli sul cadere del quattrocento aprirono vie novelle a' commercii, e quando potenti nemici calati dalle Alpi e collegati ad altri stati italiani le contesero armata mano ogni palmo de' suoi territorii.

Come nelle province oltremarine, anche in quelle continentali inviava la Repubblica a reggerle patrizii investiti della carica di [I[podestà]I], e nelle città principali altri con titolo di [I[capitani]I] a cui s'annetteva la giurisdizione militare, questi e quelli mutati per solito ad anno. Ma conservava a' paesi, che le sue armi aveano occupati, i loro proprii statuti e ne temperava il rancore della perduta autonomia colla mitezza delle savie leggi, colla tenuità delle imposte, coll'iscriverne le più illustri famiglie nel patriziato dominante.

Allorché i Veneziani dilatarono le loro conquiste in Italia, sentirono la necessità di apportare tali modificazioni alla loro monetazione da renderla facile e gradita agli stati ove novellamente signoreggiavano. Quindi i marcelli e le lire mocenighe e gli scudi d'oro ebbero nel volger di pochi anni spaccio immenso nella Terraferma; ed è ben difficile che si scopra qualche tesoretto sepolto nella pianura padana i primi anni del secolo XVI ove non entrino in quantità considerevole i nummi nostri. Citerò fra gli altri un tesoretto scavato l'autunno 1849 ad Abbiategrasso, che pare aver formato il peculio di un milite di cui si rinvennero presso alle monete la spada ed un frontale di cavallo. Vi si contenevano uno scudo d'oro di Carlo VIII di Francia, varii [I[cavallotti]I] de' marchesi del Monferrato, di Saluzzo e di Lavagna, due pezzi d'argento di Solothurn e di Uri, molti pezzi minori di Francesco Sforza; e insieme ad essi 2 [I[marcelli]I] di Pietro ed 1 di Giovanni Mocenigo, altro di Andrea Vendramin, uno di Agostino Barbarigo ed uno di Leonardo Loredan, de' quali due ultimi dogi v'erano eziandio due [I[mocenighe]I]. È questa una prova di più al fatto già noto del favore che godeano in Italia le monete veneziane. Sennonché introducendosi, per le vie stesse ond'uscivano le nostre, le monete straniere negli stati della Repubblica, il C. X. bandiva il 23 marzo 1517 le monete di ogni specie di Saluzzo, del Monferrato, di Lucca, di Bologna e d'altri governi italiani, riputandole di pessima qualità. Pochi stati invero tennero più d'occhio i nummi usciti dalle zecche straniere di quello che fece la Repubblica Veneta gelosa del credito de' suoi proprii.

Ma non solamente i maggiori pezzi d'argento e quelli d'oro erano ricerchi nella Terraferma Veneziana, ma si faceva sentire il bisogno altresì de' piccoli spezzati, e fu più d'una volta conceduto alle singole città lo stampo di monete destinate al corso esclusivo in esse e ne' lor territorii, e queste sono le ultime di cui ho ad occuparmi nel presente lavoro.

TREVISO.

Capitale della Marca Trivigiana sotto l'impero de' Franchi, Treviso ebbe ne' primi anni del secolo IX [I[corte]I] o palazzo imperiale, dove s'improntarono monete col nome e col monogramma di Carlomagno. Smembrata successivamente la Marca in piccoli territorii, altri signoreggiati da famiglie cospicue, altri reggentisi a repubblica, andarono restringendosi i confini del territorio rimasto soggetto alla città di Treviso, che di repubblica divenne feudo imperiale, e passò dagli Ezzelini ai Caminesi e quindi agli Scaligeri, che nel 1338 lo cedevano a Venezia in un trattato di pace. Oppressi poi i Veneziani dall'impeto de' Genovesi, rinunciavano nel 1381 Treviso a' duchi d'Austria che ristabilitavi l'abbandonata zecca vi batteano nuovamente monete. Ma occupata più tardi dai Carraresi, ricadeva nel 1389 ne' dominii della Repubblica.

La necessità in cui si trovò nel 1492 la città di minuti spezzati della moneta per sopperire a' bisogni della popolazione, la determinò a chiedere alla dominante la fabbrica di un bagattino pari a 1/12 di soldo, recante, oltre il simbolo del Vangelista, la imagine del patrono di quel comune, S. Liberale. E il Consiglio de' Dieci sanciva la seguente terminazione:

[I[ 1492. die 24 oct. in C. X. cum add.]I]

[I[Quod auctoritate hujus Consilii mandetur fieri in Cecha
nostra duc. centum bagatinorum ad sex pro marcheto
ad requisitionem fidelissimae civitatis nostrae Tarvisii
de puro ramine ad illam stampam quam illa comunitas
requisivit. Videlicet ab uno latere cum impressione Sancti
Marci in soldo et ab alio latere cum impressione
Sancti Liberalis protectoris sui, cum ordine et mandato
quod de eis non possit expendi ultra valorem unius marcheti
pro vice; ut cum eis provideatur necessitati pauperum
et expendantur in civitate et territorio Tarvisii.]I]

II bagattino coniato per Treviso nella veneta zecca è somigliantissimo a quelli che, intorno all'epoca stessa, si fecero per le città di Dalmazia, e con essi ha comune il metallo ch'è puro rame, o più frequentemente ottone. Il diametro n'è m. 0,017 e nel peso varia da k. 8 a k. 8. 2. Il diritto offre il patrono di Treviso in piedi, veduto di prospetto e che stringe nella destra una spada colla punta a terra e nella manca un'asta. All'ingiro è la epigrafe S. (ovvero SANCTVS in rari esemplari) LIBERALIS. TARVIXI, e a' suoi lati le sigle N e M, ad eccezione di pochi esemplari in cui non ricorrono. Il rovescio presenta il consueto S. Marco in soldo chiuso da una linea circolare ed attorniato dall'epigrafe +. S. MARCVS. VENETI.

Quanto al valore de' bagattini in discorso, sarebbe ozioso il ripetere ciò che ho già detto parlando di quelli cusi per le città dalmate, e a quella parte della mia operetta perciò rimando i lettori. Quanto poi alle sigle N e M, confesso che mi sono inesplicabili. Lo Zon, toccando di queste monete nel suo più volte citato trattato (p. 35), crederebbe spettassero a Nicolò Marcello che nel 1453 sedette podestà a Treviso, e il Gradenigo (Zanetti, vol. II p. 157 n. 6, 7, 8) è incerto se a lui veramente attribuirle o meglio a Nicolò Morosini che vi coprì quella carica nel 1417. Basta però confrontare queste monete colle altre che si hanno d'epoca certa di Traù e di Lesina, da me ricordate alle pagine 35 e 59, per convincersi della contemporaneità del loro stampo con quello del bagattino di Treviso. Arrogi che la terminazione 1492 or ora riportata non parla di nummi antecedentemente lavorati per quella città; arrogi il disegno e la forma delle lettere che accusa il declinare del secolo XV o il sorgere del successivo; e sarà necessario escludere dalle probabilità le ipotesi del Gradenigo e dello Zon. Reca però maraviglia che nel [I[Libro Reggimenti]I] non rinveniamo né fra i podestà né fra i capitani di Treviso, dal 1492 a tutto il secolo successivo ed anzi fino al 1684, alcun nome che concordi con quelle iniziali. Simili discrepanze fra le sigle impresse sulle monete e i nomi de' reggitori che pur doveano corrispondervi, ho rimarcato più addietro ne' bagattini di Spalato (p. 37). Né meglio saprei spiegare questo fatto che ritenendo qualche sbaglio o qualche ommissione ov'incorse il compilatore pazientissimo del [I[Libro Reggimenti]I].

Non è però questa la sola moneta che i nostri battessero per Treviso. Altra ve n'ebbe, quantunque non recante il nome né il patrono di quella città, in epoca più antica. Ad evitare pertanto inutili ripetizioni, ne diremo parlando delle monete di

PADOVA.

Giovanni Brunacci, che nel 1744 pubblicava il suo erudito libretto [I[de re nummaria Patavinorum]I], precorrendo al maggior lavoro che il Verci inseriva sull'argomento medesimo nella grande collezione dello Zanetti, riporta documenti del secolo XI da' quali appare che in quell'epoca si conteggiava a Padova in moneta veneziana. Un istrumento fra gli altri del 1053 ivi eretto nomina i [I[solidos de Veneciarum moneta]I]. Anche ne' secoli successivi, quando la Repubblica Padovana, retta da' vicarii dell'impero, esercitava il diritto di zecca, la bontà de' nummi nostri li faceva ivi preferire a quelli d'ogni altro paese, non esclusi i patrii; ed è perciò che in un rotolo conservato nell'Archivio Comunale di Padova, recante la data 23 febbrajo 1287, un Palamede Scapultro confessa di aver ricevuto [I[solidos XLIII, et XVII denarios venetorum grossorum]I]. Ma nel secolo successivo, durante la signoria di que' da Carrara, spinta con alacrità singolare la operosità della zecca di Padova, vi cessò la voga delle monete venete, a cui sottentrarono le carraresi; le quali, perché mal rispondenti nel loro valore nominale all'intrinseco, bandivano i Veneziani da' loro stati, ove s'erano introdotte, colla terminazione seguente che trascrivo dal Capitolare delle [I[Broche]I], e che non è a mia cognizione sia stata ancor pubblicata.

[I[ 1378 (more Veneto cioè 1379) die 18 Januarii, in Rogatis.]I]

[I[ Cum in Padua fiat de novo quaedam moneta nova ad formam soldinorum nostrorum, quae moneta nova habet ab uno latere charium, et ab alia parte crucem, quae moneta nova est cum magna utilitate nostrorum inimicorum et damno terrae nostrae;]I]

[I[ Vadit pars, quod praedicta moneta nova in totum sit bannita de Venetiis, et de omnibus terris, locis, et civitatibus Communis Venetiarum, et insuper pro bono et commodo nostrorum civium et fidelium qui ad praesens reperirent apud se de dictis monetis, ut ex hoc non recipiant notabile damnum, ordinetur, quod assignetur eis terminus per totum mensem praesentem; videlicet cuilibet qui haberet de eis, quod possit dictas monetas usque ad dictum terminum portare ad officium monetae, ubi habebunt de qualibet marcha praedictarum solidos quatuordecim, existentibus ipsis monetis bonis de argento; et si essent de falsis, illas debeant incidere officiales nostri, et restituere illis quorum essent, sine aliqua poena. Elapso vero dicto termino, omnes quibus dictae monetae novae factae in Padua, vel carrarini novi vel veteres reperti fuerint, tam falsi quam boni, debeant perdere praedictas omnes, et tantundem pro poena: de qua poena non possit fieri gratia, donum, remissio, revocatio vel aliqua declaratio, aliquo modo vel ingenio, sub poena librarum mille pro quolibet ponente vel consentiente partem in contrarium. Et praedicta stridentur publice in locis solitis, et committantur omnibus officialibus nostris quibus commissa sunt negotia argenti et monetarum, habentibus ipsis officialibus partem suam solitam de poenis, ut habent de aliis sui officii.]I]

Allorché i nostri occuparono armata mano nel 1405 la città di Padova, le monete della dominante sottentrarono a quelle de' principi Carraresi. Nel 1443, ducante Francesco Foscari, il Senato decretava lo stampo di bagattini per Bergamo, Brescia, Verona e Vicenza, di lega avente 1/2 marca di argento fino sopra 8 1/2 di rame, cioè a peggio 1088. A questa terminazione del 22 febbrajo, che recheremo più sotto, altra ne faceva succedere il 24 maggio dell'anno medesimo del tenore seguente:

+ [I[YHS. 1443. die 24 Magio, in Pregadi.]I]

[I[ Conziossiaché fosse prexo in questo Consejo che in la Cecha nostra sia fato di bagattini per Pergamo, Bressia, Verona, Vicenza, e niente sia expresso de Padoa, Trevixo et altre tere nostre;]I]

[I[ Vada parte che i masseri nostri de la moneda de l'arzento mandar debiano a Padoa, Trevixo e ale altre tere nostre da parte de tera et in la patria de Friul de bagatinj i qual vien spexi in li diti luogi, fati ala liga si chomo e prexo in questo Consejo.]I]

Bisogna quindi investigare quale fra le varie piccole monete che abbiamo del Foscari sia la contemplata dalla terminazione del Senato del 1443. Sappiamo che a quest'epoca una marca d'argento fino dava lire venete 31, e quindi la lira vi era rappresentata da un pezzetto d'argento del peso di grani 148. 2/3, il soldo da grani 7. 13/30 e il bagattino da 0,65 di grano. Siccome le monete ordinate da' suddetti decreti avevano per marca 1088 di peggio sopra 64 di fino, vi stava cioè il peso del rame a quello dell'argento come 17 a 1, così ogni singolo pezzo avente 0,65 di grano di argento dovea pesare nel suo complesso grani 11,05. E questo peso e questo titolo appariscono nelle monetine del Foscari che recano dall'un de' lati le iniziali F, F, D, V ([I[Franciscus Foscari Dux Venetiarum]I]) fra le braccia di una croce, e dall'altro il San Marco in gazzetta senza iscrizione.

Ma di un'altra moneta coniata per Padova trovo memorie ancor più precise sotto l'anno 1491 in una terminazione del C. X. che ne ordina lo stampo.

[I[ 1491. 31 Auosto, in C. X. cum Add.]I]

[I[ L'anderà parte che per autorità de questo Consejo sia preso et deliberà che in la Zecha nostra el sia chuniado per l'avegnir bagatini de la sorta e qualità mostrada adesso a questo Consejo, i quali vaiano 12 al soldo, i quali siano tuti de puro rame de eser spexi in Padoa e per lo Padoan destretto ala raxon predita de 12 al soldo, e siano fati con la imagine de Sam Marcho in forma de liom da uno lady e con una croxe dal altro, si come e sta conzeso a Veronesi. E chuniadi siano mandadiù ala camera nostra de Padoa ducati zento.]I]

La moneta di cui fa parola la presente terminazione, d'onde pare che siasi anche per lo innanzi battuta pe' Veronesi, è un pezzo di puro rame o di ottone, abbastanza facile a rinvenirsi, che reca il nome dell'allora regnante doge Agostino Barbarigo, o del costui successore Leonardo Loredan; moneta però che finora nessun numografo seppe spettare a Padova. Porta dall'un de' lati una croce ornata le uguali braccia di piccoli bisanti e contornata da un cerchio oltre il quale è la epigrafe AVG . BARBADICO . DVX, ovvero LEO . LAVREDAN . DVX . L'opposto lato presenta il sacro leone volto alla dritta del riguardante e che tiene colle zampe anteriori il vessillo. All'ingiro è la leggenda SANCTVS . MARCVS . VENETI . e fra le zampe del leone v'hanno varie sigle che qui riporto traendole da' varii esemplari ch'ebbi a vederne nella Raccolta Correr.

I pezzi di Agostino Barbarigo recano le iniziali A . F, Z . F . M,
C. K, Z : R, M . B, M . L, e alcuni ne vanno senza. Di quelli del
Loredan, altri portano . A . M ., altri mancano affatto di sigle.

Delle prime non sono agevoli ad interpretarsi che le due ultime, indicanti i nomi di Marco Bollani e di Leonardo Mocenigo, ambedue podestà a Padova, quegli nel 1498, questi nel 1500. Quelle su' pezzi del Loredan vanno spiegate col nome di Alvise Molin che fu rivestito di pari carica nel 1504. Le altre del Barbarigo non si accordano col nome d'alcun podestà di Padova né di Verona dal 1492 al 1501.

Che però in altri anni si desse mano allo stampo di queste monete da spendersi a Padova e nel suo territorio ce lo prova una terminazione del C. X. 19 dicembre 1498 che ordina una nuova fabbrica de' [I[soliti parvuli]I] per Padova che devon'essere quelli recanti le sigle M . B; come pure un'altra parte del consiglio stesso, 6 marzo 1503, decreta si stampino altri cento zecchini in [I[oboli ad solitam stampam]I] per quella città, che sono a mio credere i pezzi su cui leggiamo le iniziali di Alvise Molin.

VICENZA.

II territorio vicentino è la seconda provincia che la Repubblica di Venezia acquistava in Terraferma. Fattisene padroni nel 1259 i Padovani, dopo la uccisione di Ezzelino da Romano, ne vennero spossessati il secolo successivo dagli Scaligeri che vi dominarono fino al 1387, in cui cadde in potere di Gian Galeazzo Visconti. Lo tennero i Visconti fino al 1403 in cui i Vicentini volontariamente si sottoposero a' nostri coll'assenso della duchessa vedova di Milano, la quale non potendo assicurarsi il possesso di quella provincia, invasa dai Carraresi signori di Padova e di Verona, volle piuttosto cederla a' Veneziani che a' suoi nemici.

Fino dal secolo XIII Vicenza ebbe diritto di zecca e v'improntò grossi col nome della città; grossi che recando l'aquila dell'impero germanico spettano certamente al governo de' vicarii imperiali. Ma i conquistatori che la occuparono poi le tolsero quel diritto, e la città ebbe a vicenda i nummi degli Scaligeri e dei Visconti, non senza che nel suo territorio abbondassero quelli de' Carraresi. Ma allorché i Veneziani se ne resero padroni, pensarono tosto ad introdurvi le loro monete, trovandosi nel Capitolare delle [I[Broche]I] la nota seguente sotto il 19 settembre 1404: [I[Quod pro moneta ordinata fieri pro Verona et Vicencia possit fieri expensa notata in cedula praesentibus introclusa]I]. Non siamo però in grado di determinare quale fosse questa prima moneta fatta battere per inviare alle due città subito dopo la loro occupazione operata da' nostri.

E nel 1405 una parte, presa in Collegio il 29 settembre, ricorda l'orafo Marco Sesto, a cui si aumenta il salario [I[pro intajando stampas monetarum Veronae et Vicenciae quae verberantur et cuniantur Veneciis]I].

Nel 1443 il 22 febbrajo un senatoconsulto, citato quando parlai delle monete di Padova, e che riporterò testualmente allorché ci occuperemo di quelle di Brescia, decretava lo stampo dei bagattini o piccoli a peggio 1088 anche per la città di Vicenza. Ho ivi pure determinato quale sia la moneta contemplata da quel decreto.

Nel 1498 il C. X. sanciva la seguente terminazione:

[I[ 1498. 30 Julii, in C. X.]I]

[I[ Fidelissima comunitas nostra Vicentiae supplicari fecit ut ei concedamus quod in Cecha nostra cudi faciamus denarios ad novem pro marcheto et ad tres pro marcheto, sortis et qualitatis quae videbitur Capitibus hujus Consilii. . . Captum sit quod cudantur in Cecha nostra ducati CCC bagattinorum pro hac civitate consuetae stampae, pro usu hujus civitatis.]I]

Giova ora osservare se a qualcuno dei piccoli spezzati di argento o di biglione del doge Agostino Barbarigo abbiano a riportarsi i pezzi battuti per Vicenza, da nove al marchetto e da tre al marchetto. E a ciò fare partiremo da un dato sicuro, dal prezzo cioè che aveva allora l'argento ragguardato nel maggior pezzo di quell'epoca, nella lira [I[moceniga]I], del valore di soldi 20 e del peso di k. 31. 2, a peggio 60 per marca. Ogni [I[moceniga]I] aveva perciò di fino grani 119. 251/288, e quindi il soldo vi era rappresentato da gr. 5. 19/20 di fino argento. È precisamente questo il peso dell'argento sceverato dalla sua lega ne' due piccoli marchetti che abbiamo di quel doge, l'uno col leone alato, l'altro col tipo della moceniga in tenuissime proporzioni. Quindi è che de' pezzi cusi per Vicenza il primo, ragguagliato ad 1/9 di soldo e perciò corrispondente a bagattini 1. 1/3, avrebbe a contenere di fino 0,66 di grano; il secondo, ragguagliato ad 1/3 del marchetto o a bagattini 4, avrebbe a contenere di fino gr. 1. 49/50.

Una terminazione del C. X. sancita pochi anni addietro reca qualche lume a tale intralciata questione:

[I[ 1489 (more veneto cioè 1490), 17 fevrer, in C. X. cum Add.]I]

[I[L'e deliberado per questo Consejo con la Zonta che i
bagattini da 9 al soldo diebano tegnir charati 60 per
marcha d'arzento fin; et de quatrini bianchi ala raxon
de 3 al soldo deba tegnir d'arzento charati 180 per ogni
. marcha.]I]

Rilevasi chiaramente da questa legge che ne' pezzi da 1/9 di soldo l'argento fino deve stare al peso totale come 60 a 1152, cioè come 5 a 96; in quelli da 1/3 di soldo come 180 a 1152, ovvero come 5 a 32. Dunque i primi che tengono di fino 0,66 di grano avrebbero a pesare gr. 12,67, e simile dovrebb'essere il peso de' secondi, ne' quali tuttavia l'argento sarebbe in tripla quantità, avrebbero cioè di fino gr. 1,98 e di peggio gr. 10,69. Devo però confessare che né l'una né l'altra di queste monete non vidi mai. Lo Zon, che tali spezzati toccava appena di volo (p. 47), crederebbe ravvisarle in que' pezzi del Barbarigo a cui più ragionevolmente ho applicato il nome di [I[tornesi]I]. V'hanno bensì de' tempi del Barbarigo due piccole monete, senza epigrafe alcuna, l'una delle quali di fino argento a peggio 60 circa recante da un lato il S. Marco in soldo, dall'altro la Vergine, piccolissima moneta e leggiadra, del peso di 3 soli grani, che quindi equivale al [I[bezzo]I] o al [I[mezzo soldo]I]; la seconda, recante da un lato lo stesso simbolo del Vangelista, e dall'altro una croce ornata di bisanti; del peso di grani 5 e di argento a circa peggio 300, in cui potrebbe ravvisarsi una varietà del [I[bezzo]I]. Ma le monete battute per Vicenza non saprei discernerle né in questo che tanto se ne scostano, né in altre dell'epoca del Barbarigo.

E inutile parimente è il cercarle fra' nummi improntati sotto la ducea del Loredan, durante la quale abbiamo memorie che pur si stampassero, perché la legge del C. X. 26 maggio 1503 decreta che si coniino altri 500 zecchini [I[bagattinorum ad 9 pro marcheto]I] da spedirsi a Vicenza.

VERONA.

Una delle più fervorose città italiane a stringere la lega lombarda, Verona si reggeva a comune quando venne segnata nel 1177 la pace di Venezia. Straziata prima dalle fazioni de' guelfi e de' ghibellini, più tardi tiranneggiata dal vicario imperiale Ezzelino da Romano, cadde in potere della famiglia Scaligera che per 127 anni la tenne, spogliatane poi da' Visconti di Milano che volontariamente offersero città e territorio alla Repubblica di Venezia, perché non avessero a cadere in mano di stranieri venuti di oltr'Alpe. Sennonché, prima che i Veneziani ne conseguissero il possesso, fu ricuperata dagli Scaligeri, e poco dopo occupata da' Carraresi di Padova, a' quali i Veneziani la tolsero per sempre nel 1405.

Il diritto di zecca che Verona esercitò sotto la dominazione de' Franchi, e poi durante il governo autonomo e quello degli Scaligeri e de' Visconti, le venne tolto da' Veneti, nella cui officina nummaria s'improntarono nel 1404 monete da spendere nel suo territorio combattuto allora, ma per diritto a Venezia spettante. Le due terminazioni 19 settembre 1404 e 29 settembre 1405, di cui ho riportato frammenti quando testé feci parola delle monete di Vicenza, ricordano pure le veronesi. Ma di quest'ultime ci offre nuove memorie il Capitolare delle [I[Broche]I] sotto il mese stesso di settembre 1404, col farci sapere che nella nostra zecca [I[la spexa dela moneda di Verona per una marcha]I] era di soldi 13; e che poscia venne cosi modificata che [I[i quatrini per Verona per una marcha non metando el chalo che xe m. 8. k. 4 per zentener de le marche]I], fosse di soldi 8 e denari 6, mentre [I[la spexa de' pizoli per Verona]I] non eccedesse i 7 soldi e 10 denari per marca. Ma queste monete che Verona ebbe comuni, almeno in una specie, con Vicenza, non abbiamo dati sicuri per distinguerle dalle monete ordinarie della dominante; e perciò riterrei aversi ad applicare il nome di [I[pizoli]I] al [I[denaro]I] cauceo del doge Steno, e al costui [I[tornese]I] quello di [I[quattrino]I].

Nel 1443 il senatoconsulto più volte citato dei 22 febbrajo decretava lo stampo di nuovi bagattini per la Terraferma Veneta, quindi eziandio per Verona. A quali nummi del Foscari abbia attribuirsi quel nome, ho già dimostrato parlando delle monete di Padova.

Nel 1493, ducante Agostino Barbarigo, domandavano i Veronesi alla Repubblica nuovo stampo di piccole monete per la loro città. Qui riporto la terminazione del C. X. che annuisce a quella ricerca:

[I[1493. 16 Martii; in C. X. cum Add.]I]

[I[ Concedendum est fidelissimae comunitati nostrae Veronae et universo territorio petentibus quod cudantur in Cecha nostra ducati CCCC quatrinorum ad tres pro marcheto et ducati CC obolorum ad novem pro marcheto sortis et charatatae alias concessa, propterea]I]

[I[ Vadit pars quod auctoritate hujus Consilii per Cecham nostram cudantur duc. CCCC quatrinorum et ducati CC obolorum.]I]

Ecco dunque ricorrere un'altra volta quelle introvabili monete da 3 e da 9 al soldo delle quali ci occupammo con qualche estensione allorché cadde non ha guari il discorso sopra simili pezzi che per Vicenza s'erano cusi. Non è però questa l'ultima memoria di monete qui battute per la città di Verona; rilevandosi dal tenore della terminazione 31 agosto 1491, riportata allorché si trattò delle monete di Padova, che bagattini simili a quelli che il C. X. decretava in quel giorno per Padova, s'erano già prima coniati per Verona, quantunque io abbia avvertito che le varie sigle ricorrenti su que' pezzi del doge Agostino Barbarigo non corrispondono alle iniziali de' podestà che rappresentarono la Repubblica gli ultimi anni del secolo decimoquinto a Verona. La qual città pochi anni dopo, assalita da prepotenti forze imperiali, veniva ceduta dal podestà veneziano Francesco Garzoni a' cittadini il 1.° giugno 1509, che aprivano le porte a Massimiliano che la resse fino al 1516 e v'improntò moneta col suo nome e co' suoi stemmi. Ma ritornata alla Repubblica, perdette la seconda volta il diritto di zecca.

BRESCIA.

Emancipata nel 936 dal grande Otone, entrò nella lega lombarda, e fu poi straziata da' partiti, tiranneggiata da' vicarii, e subì con pazienza impotente il giogo crudele di Enrico VII. Nel 1330 stanca delle lunghe oppressioni degli antichi signori, invocò la protezione di Giovanni re di Boemia e di Polonia, dal quale, per aver lui rotta la fede giurata, si emancipò di nuovo per darsi agli Scaligeri, donde passava con Bergamo pochi anni dopo a' Visconti. Governata sul cadere del secolo XIV da Pandolfo Malatesta e quindi un'altra volta da' signori di Milano, volle dedicarsi a Venezia; e il generale Francesco Carmagnola nel 1426 ne prese possesso in nome della Repubblica, che le mantenne i patrii statuti e fino al 1488 il [I[consiglio popolare]I].

Varii de' dominatori che successivamente ressero Brescia e il suo territorio vi esercitarono diritto di zecca, toltole poi dalla occupazione de' Veneti. Tuttavia nella zecca della metropoli s'improntarono monete per quella città prima del 1443 e dopo quell'anno, come appare dalla più volte citata terminazione del 22 febbrajo dell'anno medesimo, che qui riporto:

+ [I[YHS. 1442 (more veneto, o 1443) adi 22 Fevrer, in Pregadi.]I]

[I[ Cunziossiaché el faza per la Signoria nostra a questo tempo bexogno de factura de denari per ogni modo et via honesta; et in Cecha nostra del arzento altre volte se feva pizoli over bagatini per Bressia, Pergamo, Verona e Vicenza soto diverse stampe secondo el chorso di luogi; i qual bagatini tegniva marche 8 de rame e 1 de arzento; per che i diti bagatini son manchadi, al prexente alguna moneda del ducha di Millan chiamada sexini (i qual di sora sono bianchizadi e tuto el resto si e rame) a prexo corso per tuto el nostro teritorio dal Menzo in la; e sel fosse fato de i diti bagatini che tegnissino marche 8. 1/2 di rame e meza de arzento el nostro Chomun ne receverave grandissima utilitade e guadagno.]I]

[I[ L'anderà parte che i nostri masseri de la moneda del arzento debiano far far de i diti bagatini secondo le stampe uxade de Pergamo, Bressia, Verona, Vicenza e Veniexia, metando marcha meza de argento in marche 8. 1/2 di rame.]I]

Non è invero agevole il discernere fra le monete del Foscari, alle quali dee spettare il nome e il valore di bagattini, quelle coniate fra il 1423 e il 1443 per l'una o l'altra delle città ricordate da questa terminazione. Quanto poi alle cuse dopo quell'anno, credo aver provato nella parte del mio lavoro sacrata alle monete di Padova, aversi a riconoscere quei nuovi bagattini nelle monete che recano dall'un de' lati le iniziali del nome del Foscari fra le braccia di una croce, e dall'altro il S. Marco in soldo senza iscrizione.

La copia de' bagattini stampati in esecuzione del senatoconsulto 22 febbrajo 1443 è provata da un altro sancito il 23 novembre dell'anno stesso, che dice come s'era fatta nella zecca nostra [I[granda quantitade de pizoli per Bressia, Padova et altre tere]I]; e sembra anzi che le province di Terraferma ne fossero innondate se, nel 1451, il Senato ne sospendeva lo stampo:

[I[ 1451. adi 25 Settembre, in Pregadi.]I]

[I[ Chel sia comandado per autoritade de questo
Consejo ai oficiali nostri dela Cecha che i no
debia piu far far pizoli di Bressia.]I]

Ma i bisogni della guerra, che rendono sempre necessaria la più operosa attività delle officine nummarie, indussero l'anno seguente il Senato ad abrogare questa terminazione coll'altra che qui riporto:

[I[ 1452. adi 29 Dezembrio, in Pregadi.]I]

[I[ Che la Cecha possa far stampir e chuniar pizoli dela stampa da Bressia, non ostante altri ordini over chomandamenti nostri ordenando in chontrario.]I]

Simili a quello cui ho attribuito il nome ed il valore di bagattino per la Terraferma, e più specialmente di [I[bagattino per Brescia]I], non ricorrono d'alcun doge dopo del Foscari. Abbiamo bensì memoria d'altre monete battute per quella città, conservataci dalla terminazione del C. X. 19 ottobre 1474 che bandisce i [I[quattrini duini da Bressa]I] e i[I[ pizolli uechi dal lion, le qual monede no se possino in alchuna parte del mondo spender]I]; e così pure di quattrini e sesini ivi spediti nel 1589 troveremo notizia nell'occuparci di quelle di Bergamo, comeché le monete bandite nel 1484 o le decretate nel 1589 non sappiamo discernere fra quelle destinate ad aver corso anche nella capitale della Repubblica.

BERGAMO.

Passata dal dominio de' re d'Italia a quello de' vescovi, Bergamo cominciò poi a reggersi sotto l'impero del terzo Otone con forma repubblicana. Costretta in seguito a ricevere vicarii imperiali, ed associatasi alle città conchiudenti la lega lombarda, si emancipava per oro nel 1286 da ogni supremazia dell'impero germanico e ritornava all'antica autonomia. Ma nel 1330 datasi a Giovanni di Lussemburgo re di Boemia e di Polonia, ebbe da lui leggi civili e criminali; ma poco dopo la occuparono a vicenda Visconti e Scaligeri. Venduta da una famiglia ottimate a Pandolfo Malatesta, fu a costui ripresa da' Milanesi; sennonché, ardendo la guerra fra il Visconte e Venezia, i Bergamaschi inviarono legati ad offerir la loro città alla Repubblica che nel 1428 ne prendeva possesso, contrastato in seguito dalle armi del duca Filippo Maria, ma inutilmente. Ne' torbidi anni in cui gli alleati di Cambray minacciavano la esistenza della Repubblica, Bergamo aprì le porte a' Francesi, per discacciarneli pochi anni dopo e far ritorno al mite governo de' Veneziani.

Nel secolo XIII, imperando Federico II, mentre la città era soggetta a' vicarii, s'improntavano a Bergamo monete col nome e colla imagine di quell'augusto e recanti le armi della città, un castello guernito di tre alte torri. Questi nummi argentei di Bergamo, che però stanno fuori del nostro campo perché battuti anzi la veneta dominazione, offrono un esempio di lega forse unico nella storia numismatica. Conciossiaché il fino argento in cui si vollero coniati si presenti in numerosi esemplari misto all'antimonio. Non si avendo però né della zecca di Bergamo, né d'altre zecche del mondo memoria alcuna che ricordi appositamente impiegato quel miscuglio stranissimo, crederei non ingannarmi nel ritenere che la difficoltà delle operazioni docimastiche, in un'epoca in cui poco si conosceva l'arte di appurare i metalli, lasciasse nella massa che si credeva di fino argento alcune porzioni di antimonio che nello stato naturale contenea l'argento medesimo.

La terminazione del Senato di Venezia 22 febbrajo 1443, riportata quando dissi delle monete di Brescia, ci prova che dal giorno della occupazione di Bergamo operata da' nostri fino a quello in cui fu sancita la detta legge s'erano già battute monete per quella città, le quali non è possibile discernere fra le altre improntate col nome del doge Foscari. Ma ravvisammo bensì fra queste, le comandate dal succitato senatoconsulto, allorché si toccò de' nummi cusi a Venezia per Brescia e per Padova.

Havvi però una moneta di rarità singolare, il cui solo esemplare a me noto si conserva nella Marciana, alla quale provenne dal Pasqualigo, espressamente battuta per Bergamo nel secolo XVI inoltrato, e recante il nome del doge Pasquale Cicogna. È un piccolo pezzo di biglione, del diametro di m. 0,0185 e del peso di k. 5 o poco meno; il cui diritto offre l'imagine stante di S. Marco che, volgendo il capo alla destra dell'osservatore, tiene con ambe le mani il Vangelo. Lo accerchia la epigrafe . S . M . V . PASC. CICON . DVX; e nell'esergo sotto la figura campeggia la cifra 4 fra due rose. Il rovescio presenta il Redentore veduto fino alle reni, di prospetto, e recante nella sinistra il globo e colla destra benedicente. Lo attornia questa leggenda VIA . VERITAS . ET . VITA; e nell'esergo il nome della città per cui fu cuso questo nummo, così abbreviato BERGO . e sott'esso una stellina.

È prezzo dell'opera soffermarci alcun poco a considerare la moneta presente, ch'è invero fra quelle stampate pei possedimenti veneti una delle più singolari. Quanto alla età, la determina chiaramente il nome del doge Cicogna che governò la Repubblica dal 18 agosto 1585 al 2 aprile 1595. Non ugualmente agevole è il verificare la occasione che ne dié motivo allo stampo, e così pure il nome, il titolo, il valore. Ciò nullameno le osservazioni che verrò esponendo gitteranno alcuna luce su questo punto tuttora incerto della patria numismatica.

Il coscienzioso Zon così ne scriveva a pag. 57 del suo trattato: [I[Nel 1589 vi ha un ordine per istampo di sesini o quattrini per Bergamo a peggio 550, siccome le gazzette, che sono forse quelli di grani 20 per ciascuno fatti sotto il doge Cicogna, col Salvatore e col motto: VIA VERITAS ET VITA, e BERGO, scritto nell'esergo]I]. Conoscitore della lealtà del mio illustre amico, e ammiratore della rara diligenza ch'egli poneva ne' suoi diletti studii numografici, non potei non andar molto maravigliato nel trovar le notizie date nel passo surriferito non conformi al vero; né saprei indovinare come lo Zon siasi questa volta lasciato trar in errore, forse dall'altrui autorità. Svolsi infatti ed esaminai accuratamente le terminazioni del Senato, a cui allora era affidata la direzione della zecca, non solo dell'anno 1589 ma di tutto il tempo in cui ducò il Cicogna, e non mi fu dato rinvenire quell'imaginario senatoconsulto. Vi rincontrai bensì diversi decreti de' Pregadi riguardanti le ingenti spese sostenute quell'anno e nel precedente per proseguire le fortificazioni di Bergamo e di Brescia, e l'unico ove m'imbattei in memorie di [I[quattrini]I] (non già di [I[sesini]I]) è quello di cui qui trascrivo la porzione che più interessa le nostre ricerche:

[I[ 1589. 25 Novembre. In Pregadi.]I]

[I[ . . . Quanto poi alla moneta minuta, et particolarmente dei quattrini, volemo che quei che si stamperanno in questa città siano spesi a 6 alla gazetta. Et acciocché questo ordine nostro habbia la sua debita et presta essecutione, siano da i Proueditori nostri in Cecca mandati in più volte a i Rettori nostri di Brescia de i danari ultimamente applicati alle fortezze per la fabrica di quel castello duc. tremille de quattrini, ed altrettanti a quei di Bergamo per pagar la maistranza alla fabrica di quella fortezza et altre persone che farà bisogno.]I]

Dal tenore di questo decreto chiaramente appare che si mandarono a Brescia ed a Bergamo somme considerevoli in piccoli pezzi da 6 alla gazzetta, cioè del valore di 4 bagattini ciascuno per gli stipendii degli operai impiegati nell'erezione di quelle fortezze. Perché dunque non potrebbesi ammettere che in tal circostanza una qualità particolare di quattrini, destinati ad inviarsi a Bergamo, s'improntasse col nome di quella città? Vi corrisponde l'epoca, semplicemente espressa col nome del doge allora regnante, vi corrisponde la cifra 4 indicante il valore del [I[quattrino]I], o 4 piccoli, pari ad un 1/6 di gazzetta, come vuole il decreto.

A determinare pertanto il titolo del metallo in cui la moneta di Bergamo si volle coniata, mi varrò di un computo da me altre volte adottato per precisare la quantità di fino che dev'esistere in un dato pezzo. E nel caso presente, prenderò a punto di partenza il notissimo [I[ducatone]I], detto oggi altramente [I[Giustina minore]I], il quale all'epoca del Cicogna si mantenne al prezzo di lire 6 e soldi 4, o soldi 124, cifra che reca nell'esergo del suo rovescio. Questo pezzo del peso di k. 134. 1/2 a peggio 60 conteneva perciò d'argento fino k. 127. 95/192; e v'era quindi il soldo rappresentato approssimativamente da un pezzetto d'argento del peso di k. 1. 1/35, e perciò il quattrino, pari ad 1/3 di soldo, dovea tenere di fino gr. 1. 12/35, o press'a poco gr. 1. 1/3. Sicché pesando il quattrino di Bergamo grani 20, avrebbe a contenere circa gr. 18. 2/3 di lega, andrebbe cioè al peggio approssimativo di k. 1075. Qual differenza fra questa cifra e quella di k. 550 che avea data lo Zon!

RAVENNA.

Dall'anno 1390, allorché Ravenna era sotto il dominio di que' da Polenta, fino al 1440 fu sede di un Veneto podestà, le cui attribuzioni non erano peraltro maggiori di quelle di un semplice console, comeché il nome della carica suonasse una più lata giurisdizione. Quando nel 1440 la vecchia capitale dell'Esarcato si dedicò alla Repubblica, mandovvi questa un patrizio rivestito di ben più ampii poteri, insignito del doppio titolo di [I[podestà e capitano]I], mutantesi d'uno in altro anno. Circa settant'anni ne rimasero padroni i nostri, fino a che cioè, dopo un inutile assedio messole dalle truppe papali che fu valorosamente respinto da' difensori, ricadde nelle mani del Pontefice per trattato, dopo la rotta dell'Alviano a Ghiaradadda.

Due anni dopo la veneta occupazione, nel 1442, tolto a Ravenna il privilegio di zecca, che da dieci secoli esercitava, il Senato venne alla terminazione che qui trascrivo, per sopperire a' bisogni del minuto commercio di quella città:

+[I[ YHS. 1442, adj XVIII Luio. In Pregadi.]I]

[I[ Conziossiaché el sia prexo in questo Consejo ch'el sia fato dj bagatinj ala liga nuoua per letere nostre, e bona chossa sia etiamdio proueder ch'el sia fato dj quatrinj e mezj quatrini per Rauena ala liga e segondo la mostra dj dictj quatrinj fata per i masserj nostri dela moneda del arzento e mandada al proveditor nostro da Ravena, el qual l'alda che el sia facto dj dictj quatrini perché i piaxeno molto a i citadinj di Ravena;]I]

[I[ Vada parte che i masserj nostrj de la moneda del arzento debiano far far di quatrini e mezi quatrinj predicti ala liga e segondo la mostra per i predicti masseri facta.]I]

Avvegnaché la presente terminazione ricordi due diverse monete battute per Ravenna, cioè il [I[quattrino]I] o terza parte del soldo, e il [I[mezzo quattrino]I] o il sesto di soldo, una sola ne incontriamo nelle nostre raccolte, il cui peso e il cui titolo ci consigliano a tenerla il [I[quattrino]I]. Parlando sotto l'anno 1443 delle monete cuse per Padova, feci vedere come il soldo a quell'epoca fosse rappresentato da un pezzetto d'argento fino del peso approssimativo di grani 7. 1/2. Ora, risultando dall'assaggio la lega del nummolo ravennate al titolo 0,333, ed essendone il peso di grani 7. 1/2, esso equivale veramente ad 1/3 del soldo, cioè al quattrino.

Offre la rarissima moneta di cui ci occupiamo, da un lato il patrono di Ravenna, mezza figura, con insegne di vescovo e benedicente, veduto di prospetto, e intorno ad esso la epigrafe S . APOLI . RAVEN . Dall'altro il S. Marco in soldo chiuso da un cerchietto, oltre cui gira la leggenda + S . MARCVS . VENETI . N'è corretto il disegno, e il diametro è di m. 0,012.

Nel 1451 trovo nuovamente memoria de' quattrini per la Romagna, ne' quali non altra moneta saprei ravvisare che la or ora descritta:

[I[ 1451. adi ultimo Dezembrio. In Pregadi.]I]

[I[ I oficiali nostri dela moneda del arzento sia tegnudj e debiano far far da mo fin per tuto el mexe d'aprile prossimo de tempo in tempo, si chome al Colegio aparerà, ducati mille dj quatrini, qual se spenda in Romagna, ancora arquanto miorando ala stampa.]I]

Gli è fuor di dubbio che, se questo senatoconsulto ebbe esecuzione, si avrebbe dovuto trovare due varietà de' quattrini ravennati; ma finora me lo vietò la molta rarità di questi piccoli nummi, che mancano alla Raccolta Correr; e l'esemplare che ne vidi alla Marciana e qualche altro che trovasi in collezioni private, non mi esibirono che un solo tipo.

ROVIGO.

Tolta da' Veneziani nel 1404 ad Alberto d'Este marchese di Ferrara alleato de' Carraresi, Rovigo fu restituita da' nostri nel 1438 a Nicolò d'Este, per interposizione di papa Eugenio IV. Ma nelle guerre combattute da' Veneti contro il duca Ercole, fu da loro ripresa, e lor ne venne confermato il possesso nella pace del 1484. Dopo il 1509, fervendo la lotta contro gli alleati di Cambray, mutò spesso padrone, fino a che nel 1514 restò in perpetuo dominio della Repubblica.

La moneta che sola si conosce di Rovigo è di tipo simile alla precedente, benché migliorata nelle imagini ed accusante epoca più moderna. Il titolo n'è alcun poco inferiore, il peso è di k. 2. 1, per cui non temerei asserirla un [I[quattrino]I] di valore simile al ravennate. La leggenda del diritto, invece del nome di S. Apollinare, ha quello di S. Bellino patrono de' Rodigini, S . BELLI . RODIG .

L.I. Grotto dell'Ero nelle [I[Ricerche ed osservazioni]I] che stese intorno a questo santo [I[vescovo di Padova e protettore del Polesine]I] (Padova, 1843) sembra che ricordasse la moneta presente allorché scrisse: [I[Gli statuti di Rovigo (lib. III pag. 244) contengono una ducale di Agostino Barbarigo riportata anche dall'Orologio, del 1487, diretta ad ampliare ed ornare la chiesa depositaria delle terrene spoglie del martire, in onore del quale Rovigo nella sua dedizione alla Veneta Signoria del 1484 coniò una medaglia, ove leggeasi nella parte anteriore: S . BELL . RODIG . e nella posteriore: S . MARCVS . VENETI ]I].

Non mi fu dato rinvenire la legge che di questa moneta decreta lo stampo; ma il tipo si mostra degli ultimi anni del secolo XV, e prova che fu battuta durante la seconda occupazione di quella città, cioè dopo il 1484.

Vince questo nummo in rarità il ravennate. Il p. Basilio Terzi, goffo geologo e più goffo erudito, in una sua [I[Dissertazione sopra alcune monete inedite d'Italia]I], Padova, 1808 in 4.°, fu il primo a pubblicarlo, mentre il ravennate s'era già illustrato nella grande raccolta dell'Argelati (vol. III, pag. 123). Dice il Terzi che a' suoi giorni di questo di Rovigo si conoscevano tre esemplari. Ma non ebbi occasione di vederne io a' miei che un solo, quello conservato nel Museo Correr.

[T1] CONCLUSIONE.

La illustrazione del nummo rodigino chiude in un tempo e la parte consacrata alle monete della Veneta Terraferma e l'intera operetta che offersi a quelli de' miei concittadini e de' forastieri che intendono con amore coscienzioso allo studio delle antichità veneziane. Il mio cammino è dunque fornito, e mi resta la dolce lusinga di averlo dischiuso e percorso recandovi quella luce di critica che bastasse a diradare molte dubbiezze che finora lo resero intralciato e posero agli eruditi, che pur si accingevano a batterlo, ostacoli insuperabili. Ma so bensì che le mie accurate indagini, i pazienti miei studii su' documenti e su' monumenti, non valsero a fugare tutte le ombre dell'incertezza. V'hanno de' punti infatti ove l'insorgere di qualche difficoltà, a distruggere la quale non bastarono le forze mie, mi costrinse ad indietreggiare per non gittarmi nel campo d'ipotesi soverchiamente avventate. E solo l'ipotesi che si presentava avvalorata da saldi puntelli fui talora obbligato ad accogliere, pronto a nuovamente piegare i miei raziocinii a fatti la cui esistenza, provata nell'avvenire, giovasse ad abbatterli.

Il seguente prospetto presenta nel metodo tabellare i risultati numerici delle mie ricerche, già esposte in più particolareggiata maniera in questo libretto. L'ordine progressivo delle monete che vi si trovano elencate è quello stesso che tenni nel tesserne la illustrazione. Ad ogni pezzo apposi l'epoca del suo stampo per servire agli studii dell'economista, rintracciante il vario valore de' metalli chiamati a fungere l'ufficio di simboli della ricchezza, nelle varie età. I pesi conservai in carati e grani della marca nostra, che avvertii simile alla marca di Colonia. Mi valsi, ad indicare i titoli dell'argento, della cifra esprimente i carati di lega ch'entravano in ciascuna marca di mistura da monetare; sicché il fino risulta ben facilmente detraendo da' 1152 carati componenti la marca la cifra notata nella tabella. Il valore è in lire venete, soldi e denari, a cui si ragguaglia ogni moneta considerata nell'epoca nella quale fu primamente improntata.

In sei differenti gradi ho stimato valutare la varia rarità delle monete registrale nel prospetto. Espressi con una C le più [I[comuni]I] a trovarsi, quelle di cui nessuna raccolta suol difettare. La lettera Q dinota le [I[quasi comuni]I], quelle cioè che s'incontrano con minor frequenza delle precedenti, non tale però da meritare d'esser classificate fra le [I[rare]I]. A queste ultime apposi il segno R; come indicai [I[doppiamente rare]I], R2, le mancanti d'ordinario alle collezioni, non già a quelle colossali che abbiamo a Venezia. Il grado di [I[somma rarità]I] è espresso dal segno R3, e in questa categoria entrano pur le monete di cui sono a mia notizia almeno due esemplari. I nummi invece di cui un solo esemplare è a me noto, o quelli la cui esistenza, quantunque da me non vedute, è constatata, assumono il segno R4. Se tuttavia io dovetti rimanermi incerto sulla esistenza effettiva di un pezzo, vi apposi il segno del [I[dubbio]I] (?).

[T5] Tavola sinottica delle monete de' Possedimenti Veneziani descritte ed illustrate in quest'opera.

Colonne 1 Nome della moneta 2 Epoca 3 Peso in k. 4 Peso in gr. 5 Titolo in peggio p. marca k. 6 Valore in lire ven. 7 Valore in soldi 8 Valore in denari 9 Grado di rarità

1 2 3 4 5 6 7 8 9 [Bo[I. DALMAZIA ED ALBANIA]Bo]. 1. Tornese di Dalmazia 1410 3 2 912 - - 4 R4 2. Liretta 1664 13 3. 1/2 350 1 - - Q 3. Da otto 1664 5 2. 1/5 350 - 8 - Q 4. Da quattro 1664 2 3. 1/10 350 - 4 - R 5. Gazzetta 1690 38 - rame - 2 - C 6. Gazzetta 1706 33 3. 9/17 rame - 2 - C 7. Gazzetta 1730 29 2. 2/13 rame - 2 - C 8. Soldo 1690 19 - rame - 1 - C 9. Soldo 1706 16 3. 13/17 rame - 1 - C 10. Soldo 1730 14 3. 1/13 rame - 1 - C 11. Leone Mocenigo di A. Mocenigo II. 1706 56 - 450 4 - - Q 12. Mezzo detto 1706 28 - 450 2 - - Q 13. Quarto detto 1706 14 - 450 1 - - Q 14. Ottavo detto 1706 7 - 450 - 10 - Q 15. Sedicesimo detto 1706 3 2 450 - 5 - ? 16. Galeazza di Alvise Pisani 1736 92 2. 2/3 144 7 6 8 Q 17. Mezza detta 1736 46 1. 1/3 144 3 13 4 Q 18. Quarto detta 1736 23 2/3 144 1 16 8 Q 19. Bagattino di Sebenico 1485 9 - rame o ottone - - 1 C 20. detto di Zara 1491 8 3 rame o ottone - - 1 R 21. detto di Traù 1492 9 2 rame o ottone - - 1 R2 22. detto di Spalato 1491 7 3 rame o ottone - - 1 Q 23. detto di Lesina 1493 7 2 rame o ottone - - 1 R3 24. Grossetto di Cattaro 1423 5 - 60 - 2 8 R3 25. detto 1627 ? - 238 - 2 8 R4 26. Mezzo Grossetto di Cattaro col S. Marco 1548 2 2 120 ? - 1 4 R2 27. detto col leone 1567 2 2 120 ? - 1 4 R3 28. detto collo stemma 1597 ? - ? - 1 4 R4 29. d. scemato nel titolo 1627 ? - 443 - 1 4 R4 30. Quattrino (?) di Cattaro senza lo stemma 1451 5 a 6 - 1092 ? - - 2 R2 31. detto collo stemma 1488 7 2 1092 ? - - 2 Q 32. Moneta colle iniziali Z e M 1638 8 3 1098 ? - 1 2 Q 33. Follare di Cattaro di peso eccedente 1485 20 3 rame - - 2/3 R4 34. Follare comune di Cattaro 1569 6 - rame - - 2/3 R 35. Grossetto di Scutari 1423 ? 5 - 60 - 2 8 R2 36. Bagattino di Antivari 1490 ? 6 3 rame - - 1 R [Bo[II. LEVANTE VENETO]Bo]. 37. Tornese di Andrea Dandolo 1350 ? 3 - 912 - - 4 R4 38. Tornese di Giovanni Gradenigo 1355 3 - 912 - - 4 R3 39. Tornese di Giovanni Dolfin 1356 3 - 912 - - 4 R4 40. Tornese di Lorenzo Celsi 1361 3 - 912 - - 4 R2 41. Tornese di Marco Corner 1365 3 - 912 - - 4 R 42. Tornese di Andrea Contarini 1368 3 - 912 - - 4 C 43. Tornese di Michele Morosini 1382 3 - 912 - - 4 R3 44. Tornese di Antonio Venier 1382 3 - 912 - - 4 C 45. Tornese di Michele Steno 1400 3 - 912 - - 4 R 46. Tornese di Tommaso Mocenigo 1414 3 - 912 - - 4 R3 47. Tornese di Francesco Foscari 1424 3 - 912 - - 4 R3 48. Tornese di Agostino Barbarigo 1487 2 2 912 - - 4 R 49. Tornese di Leonardo Loredan 1505 2 2 912 - - 4 R 50. Grossetto per navigare 1498 6 3.51/55 60 - 4 - R 51. Da 30 tornesi di Antonio Priuli 1618 18 3 1050 ? - 2 - R 52. Simile colla iscrizione greca 1618 17 3 1050 ? - 2 - Q 53. Simile di Giovanni Corner I 1625 16 - 1050 ? - 2 - Q 54. Da 32 tornesi di Antonio Priuli 1618 18 3 1050 ? - 2 1.3/5 R 55. Da 4 soldi dello stesso doge 1618 23 3 1050 ? - 4 - R4 56. Da 60 tornesi di Giovanni Corner I 1625 32 - 1050 ? - 4 - C 57. Da 15 tornesi dello stesso doge 1625 8 - 1050 ? - 1 - Q 58. Piastra di Francesco Contarini 1623 130 - 60 7 - - R4 59. Reale dello stesso doge 1623 130 - 60 7 - - R4 60. Reale di Francesco Erizzo 1645 ? - ? ? - - R4 61. Leone di Francesco Morosini 1688 131 - 300 6 16 - R2 62. Leone di Silvestro Valier 1694 131 - 300 6 16 - R 63. Leone di Giovanni Corner II 1709 131 - 300 6 16 - R2 64. Mezzo leone di Francesco Morosini 1688 65 2 300 3 8 - R4 65. Simile di Silvestro Valier 1694 65 2 300 3 8 - R2 66. Simile di Giovanni Corner II 1709 65 2 300 3 8 - R4 67. Quarto di leone di Francesco Morosini 1688 32 3 300 1 14 - R4 68. Quarto di leone di Silvestro Valier 1694 32 3 300 1 14 - R2 69. Quarto di leone di Giovanni Corner II 1709 32 3 300 1 14 - R4 70. Ottavo di leone di Francesco Morosini 1688 16 1.1/8 300 - 17 - R3 71. Gazzetta per le Isole e per l'Armata 1688 38 - rame - 2 - Q 72. Soldo simile 1688 19 - rame - 1 - Q 73. Gazzetta per l'Armata e la Morea 1688 38 - rame - 2 - Q 74. Soldo simile 1688 19 - rame - 1 - Q 75. Gazzetta per Corfù, Cefalonia e Zante 1730 29 2. 1/13 rame - 2 - Q 76. Soldo simile 1730 14 3. 1/13 rame - 1 - Q 77. Tallero di Francesco Loredan 1755 138 - 190 11 - - R 78. Mezzo tallero dello stesso doge 1755 69 - 190 5 10 - R2 79. Tallero di Marco Foscarini 1762 138 - 190 11 - - R2 80. Mezzo tallero dello stesso doge 1762 69 - 190 5 10 - R2 81. Tallero vecchio di Alvise Mocenigo IV. 1766 138 - 190 11 - - R2 82. Mezzo detto 1764 69 - 190 5 10 - R2 83. Quarto detto 1765 34 2 190 2 15 - R4 84. Tallero nuovo dello stesso doge 1768 138 - 190 10 - - Q 85. Simile di Paolo Renier 1779 138 - 190 11 - - C 86. Mezzo detto di Paolo Renier 1780 69 - 190 5 10 - C 87. Quarto detto 1780 34 2 190 2 15 - C 88. Ottavo detto 1780 17 1 190 1 7 6 C 89. Tallero nuovo di Lodovico Manin 1789 138 - 190 11 - - C 90. Mezzo detto 1789 69 - 190 5 10 - C 91. Quarto detto 1790 34 2 190 2 15 - C 92. Ottavo detto 1790 17 1 190 1 7 6 C [Bo[III. CANDIA]Bo]. 93. Soldini 2. 1/2 1632 25 - rame - - 8 C 94. Soldino 1632 10 - rame - - 3.1/5 C 95. Gazzetta doppia di Fr. Erizzo 1645 20? - 1098 - 4 - R4 96. Simile di Fr. Molin 1647 28 3 1098 - 4 - R3 97. Gazzetta dello stesso doge 1647 19 2.25/59 1098 - 2 - R2 98. Soldo dello stesso 1647 9 3.12/59 1098 - 1 - R2 99. Moneta Grimani 1648 25 - rame 1 - - R 100. Ossidionale da lire 10 1650 arb. - rame 10 - - R3 101. detta da lire 5 1650 arb. - rame 5 - - R2 102. Gazzetta 1658 34 - rame - 2 - C 103. Soldo 1658 17 - rame - 1 - C [Bo[IV. CIPRO]Bo]. 104. Carzia di Francesco Venier 1554 2 2 1060 - - 2 R3 105. Simile di Girolamo Priuli 1559 2 2 1060 - - 2 R3 106. Bisante ossidionale 1570 arb. - rame - ? ? C 107. Da X … [I[Aes argenti]I] 1571 14 - ? - ? ? R4 [Bo[V. TERRAFERMA VENETA]Bo]. 108. Bagattino di Treviso 1492 8 2 rame - - 1 R 109. detto di Padova ecc. 1443 2 3,05 1088 - - 1 Q 110. detto di Padova e Verona 1491 8 - rame - - 1 Q 111. Quattrino per Vicenza e Verona 1498 3 0,67 972 - - 4 R4 112. Obolo per Vicenza e Verona 1498 3 0,67 1092 - - 1.1/3 R4 113. Quattrino di Bergamo 1589 5 - 1075 - - 4 R4 114. detto di Ravenna 1442 1 3.1/2 768 - - 4 R2 115. detto di Rovigo 1442 2 1 768 - - 4 R3

[T1] NOTE ADDIZIONALI ED EMENDE.

Siccome nel corso della presente operetta ho riportato per esteso o in frammenti parecchi decreti che riguardano le monete di cui ho fatto cenno; e di que' decreti alcuni furono sanciti dal Maggior Consiglio, altri dalla Quarantia Civile, altri dal Senato, altri finalmente dal Consiglio de' Dieci, così reputo non ozioso l'accennare brevemente a quale delle varie magistrature della Repubblica spettasse nell'epoche diverse la direzione della zecca e il dovere d'invigilare la monetazione.

La zecca fu primamente affidata al Maggior Consiglio, il quale ne delegava sul declinare del secolo XIV (intorno al 1390) varie mansioni alla Quarantia Civile ed altre al Senato, a cui tutte poi si devolveano nel 1416. Nel 1468 sottentrava a' Pregadi il Consiglio de' Dieci, e a questo di bel nuovo nel 1582 il Senato. I decreti riguardanti la monetazione veneziana emanarono perciò dalle seguenti autorità:

Fino al 1390 —- M. C.

1390 a 1416 —- M. C., XL.ª, Pregadi.

1416 a 1468 —- Pregadi.

1468 a 1582 —- C. X.

1582 a 1797 —- Pregadi.

pag. 15. l. 2. invece di 360 [I[per marca]I], leggi 350 [I[per marca]I].

p. 26. l. 9. [I[L'Europa non ebbe altr'oro coniato da quello in fuori de' paesi occupati dagli Arabi]I]. S'aggiunga [I[e dell'impero greco]I]. Potrebbe oppormi taluno la esistenza del [I[soldo aureo]I] di Carlomagno, e più probabilmente di Carlo il Calvo, posseduto dall'illustre sig. F. De Saulcy a Metz, e trovato da pochi anni a Vesoul, il quale reca da un lato il monogramma di KAROLUS e dall'altro in due linee il nome della città di Usez, UCECIA. Non è però ignoto agli amatori e a' cultori della numismatica come la genuinità di quel singolarissimo nummo non sia ancora luminosamente provata. È vero che Gioacchino Lelewel che primo lo diede inciso, il De Saulcy e molti altri eruditi reputatissimi se ne fecero apologisti; ma anzi che si voglia con un fatto solo atterrare una catena di fatti è d'uopo lo si assoggetti alla critica più severa; e ciò è appunto ch'io credo non siasi ancora operato per diradare le dubbiezze che avvolgono l'unico pezzo d'oro de' Carolingi. Stimo inutile il ricordare come il raro medaglioncino parimente [I[aureo]I] che offre da un lato la imagine e il nome di Lodovico Pio e dall'altro la croce fra una corona, accerchiata dall'epigrafe MVNVS DIVINVM, sia per sentenza di tutt'i numografi escluso dalla serie delle monete e collocato in quelle delle medaglie.

p. 33. l. 4. invece di 1470 leggi 1490. ib. l. 24. invece di k. 8. 32 leggi k. 8. 3.

p. 53. l. 3. Alla serie de' rettori di Cattaro che improntarono quattrini del 2.° tipo si aggiungano i due seguenti:

P. V. Paolo Vallaresso, 1508 a 1510.

P. Z. Pietro Zen, 15l4 a 1516.

p. 74. l. 13. [I[È notabile come se ne scostasse il tipo dai precedenti]I]. Giova tuttavia avvertire che una monetina affatto simile a quella del Barbarigo alla quale ho applicato il nome di [I[tornese]I] esiste anche del Loredan, e non ne varia nel peso, né nel titolo. L'unica diversità consiste necessariamente nel nome del doge LEO . LAVREDAN . DVX . È quindi più probabile sia questo, e non l'altro pezzo, il ricercato tornese di questo doge.

p. 123. l. 8. [I[Vorrebbe il Pasqualigo che di questa donna ecc]I]. Le monete de' Lusignani, da noi rarissime ma delle quali ha una stupenda serie il R. Gabinetto di Torino, cominciano da Ugo II (III?) e seguono non interrottamente fino a Jacopo II marito della Corner, della quale non se n'ha alcuna. Il loro tipo, avvicinandosi alle monete di Francia, si discosta d'assai dalle bisantine.

Lo stesso R. Gabinetto di Torino possede un piccolo nummo di basso biglione al cui disegno si fa luogo nell'ultima delle tavole corredanti quest'opera. Offre dal diritto il leone rampante de' Lusignani attorniato dalle iniziali I, P, L, N; dal rovescio le lettere V E sopra una S nel mezzo del campo. Non ispettando esso a' Lusignani da' cui tipi molto si allontana, è probabilissimo siasi battuto da' Veneziani dopo la conquista dell'isola. Il suo peso ed il titolo ben si avvicinano alla [I[carzia]I], e le iniziali del diritto potrebbero indicare il nome e la carica di Girolamo Pesaro che sedette luogotenente in quel reame dai 1491 al 1493. [I[Jeronimus Pisauro Locumtenens Nicosiae]I], e le sigle del rovescio essere semplice abbreviatura di VENETVS. Devo la comunicazione di un calco di questo non conosciuto e curioso cimelio della zecca di Cipro al dotto cavaliere de Mas Latrie illustratore della storia de' re Lusignani.

p. 124. l. 26. [I[Offre il rovescio il leone di S. Marco in gazzetta]I]. Più attenta osservazione delle carzie di Cipro de' dogi Venier e Priuli mi conduce a verificare non essere effigiato sovr'esse il leone di S. Marco, sì bene un leone rampante verso sinistra, che sporge la lingua e la cui coda nell'incurvarsi s'ingrossa; sprovvisto oltrecciò delle ale, del sacro nimbo e del libro del Vangelo, e in quella vece similissimo al leone ricorrente nelle monete che abbiamo degli ultimi re Lusignani da Ugo IV sino a Jacopo II. La presenza del leone di Cipro su questo nummolo del Priuli fu già avvertita dal conservatore del R. Gabinetto di Torino ov'esso si custodisce, siccome moneta battuta per Cipro da' Veneziani, in un bell'esemplare sovra un cui calco, comunicatomi dal Mas Latrie, fu condotto l'esattissimo disegno che ne offro nelle tavole.

p. 132. l. ult., invece di TREVIXI leggi TARVIXI.

p. 140. l. quartultima, invece di [I[1/4 del marchetto]I] leggi [I[1/3 del marchetto]I].

p. 143. l. 21, invece di [I[potentibus]I] leggi [I[petentibus]I].

Allorché dissi de' tornesi che s'hanno di quasi tutti i dogi da Andrea Dandolo a Tommaso Mocenigo dopo il fortuito ritrovamento del 1849, non esposi le varie loro leggende. Supplisco all'involontaria mancanza, riportandole in questa nota quali mi vennero communicate dal dott. Costantino Cumano avventurosamente possessore di quella serie ricchissima:

: + : ANDR : DANDVLO : DVX

+ IO . DELPhYNO . DVX

. + . LAVR . CELSI . DVX
+ . MARC'CORN. DVX
+ ANDR' 9TAR' DVX

+ MIChL' MAVROC' DVX

+ ANTO' VENERIO · DUX.

. + . MIChAEL . STEN' . DVX

+ TOM MOCENIGO DVX

La iscrizione nel rovescio varia alcun poco nella ortografia ne' primi e negli ultimi tornesi; in quelli da Andrea Dandolo fino a Marco Corner leggendosi costantemente + VEXILIFER VENECIAR; negli altri da Andrea Contarini a Tommaso Mocenigo + VEXILIFER VENETIAR. È poi singolare la varietà ortografica di un tornese del Contarini nel cui diritto si legge + ANDR . 9T . A . R . D . V . X, e nel rovescio + VEXILIER VENETA ([I[sic]I]).

[T1] PROSPETTO DELLE TAVOLE.

DALMAZIA ED ALBANIA.
TAVOLA I.

1. Tornese di Dalmazia de' primi anni del secolo XV, descritto a pag. 12, tratto dall'esemplare Marciano, e raffrontato ad altro comunicatomi posteriormente dalla gentilezza del dottor Cumano.

2. Liretta di Dalmazia e d'Albania.

3. Da otto simile.

4. Da quattro simile.

5. Gazzetta simile.

6. Gazzetta simile. Tutt'e cinque illustrati da pag. 14 a pag. 18.

TAVOLA II.

7. Leone Mocenigo.

8. Mezzo detto.

9. Quarto detto.

10. Ottavo detto.

TAVOLA III.

11. [I[a]I]. Galeazza di Alvise Pisani col rovescio variato dal comune, tratto dall'unico esemplare della collezione Malipiero.

11. [I[b]I]. Galeazza comune dello stesso doge.

12. Sua metà.

13. Quarto detta.

TAVOLA IV.

14. Bagattino di Sebenico.

15. Bagattino di Zara.

16. Bagattino di Traù.

17. Bagattino di Spalato.

18. Bagattino di Lesina.

19. Grossetto di Scutari.

20. Bagattino di Antivari.

TAVOLA V.

21. Grossetto antico di Cattaro. Tratto dall'esemplare della Raccolta Correr, raffrontato ad altro della collezione Cumano, del quale mi fu posteriormente comunicata notizia dal suo possessore.

22. Grossetto di Cattaro del 1627. Tratto dalle tavole del Nani.

23. Mezzo grossetto di Cattaro col San Marco. Esemplare del Museo Marciano, ov'è conservato parimente il tipo che segue.

24. Simile col leone.

25. Terzo tipo del mezzo grossetto di Cattaro. Tratto da un pezzo originale della raccolta Cumano, che perfettamente corrisponde a quello pubblicato dal Nani.

26. Quattrino di Cattaro collo stemma.

27. Follare di Cattaro.

28. Quattrino (?) di Cattaro del 1638.

LEVANTE VENETO.
TAVOLA VI.

29. Tornese di Andrea Contarini.

30. Tornese di Francesco Foscari.

31. Tornese di Agostino Barbarigo.

32. Grossetto per navigare.

33. Da 30 tornesi coll'iscrizione greca.

34. Da 32 tornesi.

35. Da 60 tornesi.

36. Da 15 tornesi.

TAVOLA VII.

37. [I[a]I]. Piastra Veneta. Tratta dall'unico esemplare della Marciana.

37. [I[b]I]. Real Veneto. Dall'unico esemplare della Marciana.

38. [I[a]I]. Leone di Francesco Morosini.

38. [I[b]I]. Rovescio del leone di Silvestro Valier, variato da quello del Morosini.

TAVOLA VIII.

39. Tipo del mezzo leone.

40. Quarto di leone.

41. Ottavo di leone.

TAVOLA IX.

42. Gazzetta per le Isole e per l'Armata.

43. Soldo simile.

44. Gazzetta per l'Armata e la Morea.

45. Soldo simile.

46. Gazzetta per Corfù, Cefalonia e Zante.

47. Soldo simile.

TAVOLA X.

48. Tallero col leone rampante.

49. Mezzo detto.

50. Tallero col leone accosciato.

TAVOLA XI.

51. Mezzo tallero col leone accosciato.

52. Quarto detto.

53. Ottavo detto.

CANDIA.
TAVOLA XII.

54. Pezzo da soldini 2 e 1/2.

55. Soldino.

56. Gazzetta doppia di Francesco Erizzo. Tratta dall'unico esemplare conservato alla Marciana.

57. Gazzetta doppia di Francesco Molin.

58. Gazzetta semplice dello stesso doge.

59. Soldo simile. Tutt'e tre dagli esemplari della Marciana.

TAVOLA XIII.

60. Moneta Grimani. Tratta dagli esemplari della Raccolta Correr.

61. Da lire dieci dell'assedio del 1650. Dall'unico esemplare della Raccolta Correr.

62. Simile da lire cinque. Dagli esemplari Correr e Marciano.

63. Gazzetta del 1658.

64. Soldo simile.

CIPRO.
TAVOLA XIV.

65. Carzia del 1491. Tratta dall'esemplare del R. Gabinetto di Torino.

66. Carzia del 1559. Tratta dall'esemplare del R. Gabinetto di Torino raffrontato a quello della Marciana.

67. Bisante ossidionale del 1570.

68. [I[Aes Argenti X]I]. Dall'unico esemplare della Marciana.

TERRAFERMA VENETA.

69. Bagattino di Treviso.

70. Bagattino per la Terraferma del 1443.

71. Bagattino per Padova e Verona del 1491.

72. Quattrino di Bergamo. Dall'unico esemplare della Marciana.

73. Quattrino di Ravenna. Dalla Marciana.

74. Quattrino di Rovigo. Dal Museo Correr.

Io spero che i miei lettori mi sapranno grado dell'aver corredato il mio libro, qual esso siasi, delle quattordici tavole che ne formano senza dubbio il miglior ornamento. Questo elogio spetta tutto all'intelligente e valentissimo artista che non lasciò cura alcuna perché i disegni riuscissero il più possibile conformi a' tipi originali. Il semplice confronto di un solo pezzo fra quelli da me illustrati col disegno offertone dalle mie tavole varrà a comprovare la fedeltà scrupolosa che Carlo Kunz seppe conservare riproducendo esemplari di conii spesso logori e mal discernibili, senz'allontanarsi minimamente dalle forme che caratterizzano in modo singolare dalle monete che uscirono nel medio evo e in tempi a noi più vicini dalle varie zecche d'Europa la maggior parte delle monete improntate a Venezia ed a Cattaro, o fra le mura assediate di Famagosta e di Candia.

[T0] INDICE.

AI CULTORI DELLA STORIA VENETA.
PREFAZIONE.
I. DALMAZIA ED ALBANIA.
[SC[A. MONETE GENERALI]SC].

[I[Tornese di Dalmazia]I].

[I[Lirette e Gazzette]I].

[I[Leoni Mocenighi]I].

[I[Galeazze]I].

[SC[B. MONETE PARTICOLARI DELLE CITTÀ]SC].
CITTÀ DI DALMAZIA.
[SC[SEBENICO]SC].
[SC[ZARA]SC].
[SC[TRAÙ]SC].
[SC[SPALATO]SC].
[SC[LESINA]SC].
CITTÀ D'ALBANIA.
[SC[CATTARO]SC].

[I[Iperpero]I].

[I[Grassetto]I].

[I[Mezzi Grassetti]I].

[I[Quattrini]I]?

[I[Obolo o Follare]I].

[SC[SCUTARI]SC].
[SC[ANTIVARI]SC].
[SC[DULCIGNO]SC].
[SC[ALESSIO]SC].
II. LEVANTE VENETO.

[I[Tornesi]I].

[I[Grossetto per navigare]I].

[I[Ducato delle Galee]I].

[I[Da 30 tornesi]I].

[I[Da 32 tornesi]I].

[I[Da 60 tornesi]I].

[I[Da 15 tornesi]I].

[I[Piastra]I].

[I[Reali]I].

[I[Leoni Morosini]I].

[I[Gazzette e Soldi per le Isole e per l'Armata]I].

[I[Gazzette e Soldi per l'Armata e per la Morea]I].

[I[Gazzette e Soldi per Corfù, Cefalonia e Zante]I].

[I[Talleri a torchio col leone rampante]I].

[I[Talleri a torchio col leone seduto]I].

ZECCHE DI CORON E DI MODON.
III. CANDIA.

[I[Soldini]I].

[I[Gazzetta doppia di Francesco Erizzo]I].

[I[Gazzette doppie e semplici, e Soldi di Francesco Molin]I].

[I[Moneta Grimani]I].

[I[Ossidionali del 1650]I].

[I[Zecchino di cuojo]I].

[I[Gazzette e Soldi]I].

[I[Prospetto delle incusioni nelle Gazzette di Candia]I].

IV. CIPRO.

[I[Carzie]I].

[I[Soldo col doge armato]I].

[I[Bisante]I].

V. TERRAFERMA VENETA.
[SC[TREVISO]SC].
[SC[PADOVA]SC].
[SC[VICENZA]SC].
[SC[VERONA]SC].
[SC[BRESCIA]SC].
[SC[BERGAMO]SC].
[SC[RAVENNA]SC].
[SC[ROVIGO]SC].
CONCLUSIONE.

[I[Tavola sinottica delle monete de'Possedimenti Veneziani

]I] [I[descritte ed illustrate in quest'opera]I].

NOTE ADDIZIONALI ED EMENDE.
PROSPETTO DELLE TAVOLE.

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