Title : Tempeste
Author : Ada Negri
Release date : May 8, 2011 [eBook #36063]
Language : Italian
Credits : Produced by Maria Grazia Gentili and the online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
TEMPESTESesto migliaio
È ver, son forte.—Per la via sassosaLasciai brandelli d'anima e di fede;Pur con superbo piedeSalgo ancor verso l'alba luminosa.Offersi il petto a tutte le ferite,I più foschi e implacati odii sfidai;E ai torturanti guaiOpposi l'energia di cento vite.Dolorando non mossi un sol lamentoNulla piega il mio fronte e il mio pensiero.Io sono forte, è vero,Io son la quercia che non crolla al ventoE una legge d'amor rinnovatriceD'uomini e cose ne' miei canti freme,Eterna, come il seme,Come il bacio del Sol fecondatrice..... Benedicimi, o Madre.—È per te solaChe combatto, che spero e che resisto.Quando, col sangue misto,Il pianto mi fa strozza ne la gola,Quando sento fra orrende, avide spireNel tenebror dibattersi la mente,E la virtù possenteChe m'infiamma le vene è per morire,Ti guardo, o Madre.—E così fiera e grandeM'appari, ne l'eretta e statuariaFronte di solitariaCinta di bianche ciocche venerande;Così pura mi sembri, ne la calmaIntemerata de' tuoi anni estremi,Tu che i mali supremiProvasti un giorno, e l'agonie de l'alma;Tanta luce ti splende ne le chiarePupille e tanta dignità nel viso,Nel gesto e nel sorriso,Ch'io mi sento per te rinnovellare:Carne de la tua carne io ridivento,Forza de la tua forza, o Santa, o Vera:Rivive in me l'alteraQuercia selvaggia che non crolla al vento.—
Miseria.—La pigion non fu pagata.—A rifascio, nel mezzo de la via,La scarsa roba squallida è gettata.Quello sgombero sembra un'agonia.La tenebrosa pioggia insulta e bagnaIl carro, i cenci, i mobili corrosiDal tarlo, denudati, vergognosi.V'è un'anima là dentro che si lagna;E il letto pensa al disgraziato amoreCh'egli protesse, e che le membra grameDi due fanciulli procreò a la fame,O del tugurio maledetto amore!...E scricchiola fra i brividi: Chi il drittoDiede a la donna schiava e mal nudritaDi crear per un bacio un'altra vitaD'angosce?... amor pei poveri è delitto.—Sotto la pioggia il carro stride.—Dietro,Un operaio scarno, a fronte bassa,Segue la sua rovina.—Ei muto passa,Ombroso il guardo, e non si volge indietro:E a lui presso è la donna, la piangenteLacera donna, con due figli.—E vannoSenza riposo, e dove essi nol sanno,E la pioggia gli sferza orrendamente:Un austero dolor che par minacciaPer entro ai cenci ammonticchiati freme,Freme nel carro che cigola e geme.Nei quattro erranti da l'emunta faccia:Quella guasta mobilia denudataChe in mezzo al fango a l'avvenir s'avvia.Quella miseria che ingombra la viaSembra il principio d'una barricata.
La profonda caverna è a mille metriSotto la terra.Nei pozzi e fra gli scavi, erranti spetri,Vanno per la prigion che li rinserraI minatori.Son cinquecento: han lampade e picconi,Corde e martelli.D'aspre fatiche indomiti campioniSon cinquecento, muscolosi e belliCome guerrieri:Niuno di lor varcò i trent'anni ancora,E spose e figliLi attendon là, dove nel sol s'infiora,Dagli abissi lontano e dai perigli,Il verde eterno.E via scavando con gigante lenaVan dentro il massoÈ la forza plebea che si scatenaContro la fredda maestà del sassoSelvaggiamente:E rode, sventra, abbatte, invola, strazia,Vandalo atroce,Piovra succhiante che mai non si sazia;Ma spian gli abissi l'attimo feroceDe la vendetta;E l'attimo suonò.—Scoppia una lampaRisponde un tuono.La gran corrente del grisou divampaCon guizzo orrendo e formidabil suonoTutto è perduto.Per l'âtre forre e le crollanti vôlteFumosa e rossa,Fra gli urli de le vittime stravolte.Qual serpe che si snoda in una fossa,La fiamma sale.*
Sale e distrugge; e sotto l'immane vampa edaceLa profonda caverna diventa una fornace.Morti e morenti ammucchiansi; si sfasciano le travi;Son ruggiti di belva giù in fondo ai ciechi scavi,Son castelli di fiamme, son rimbombi di frane,È l'inferno che s'apre su quelle teste umane.Ma soccomber non vogliono i vivi ancora!... avvintoÈ il lor corpo a la vita con delirio d'istinto.E corrono per gli antri, disfatti, scamiciati,Come dèmoni erranti per abissi infocati,Con le bluse a brandelli, con l'orbite schizzanti:S'arrampicano ai muri, convulsi, sanguinanti,Volendo l'aria, l'aria!... la gaiezza del sole,La libertà dei venti, il verde delle aiuole,Dei magnifici azzurri la purezza infinita,Tutto ciò che è respiro, che è vita, vita, vita!...Oh, quella vita schiava trascinata nell'ombra,Trascinata nei pozzi che fumo o polve ingombra,Quella vita inumana, senza raggio nè fiore,Quella vita di cieco, quella vita d'orrore,Essi adesso la vogliono, la vogliono!... E le maniS'aggrappano a le rocce con movimenti insaniLe bocche cercan aria ed ingoiano fumo:La terra nera è fatta di sangue e polve un grumo:Tutto cade e si sfascia, tutto è morte e maceriaDovunque è la terribile follia de la materia:La fiamma scende e sale, e folleggia e gavazza,E sul carnaio infame divampando sghignazza.D'odio omicida è fatta: e stride a le ruineCon rabbia insazïata di vincitrice: fine.*
.... Tutto passò.—Domani, a cento a cento,Saran portati al sole, informi e muti,Con tumulti d'angoscia e di spaventoI resti dei caduti:Su le membra staccate e fumigantiImprimeran lo stigma del doloreMille bocche febbrili e singhiozzanti,Mille bocche d'amore.Poi, gettata sui carri a la rinfusa,Fra spiegate bandiere e veli bruni,La turba funeral sarà rinchiusaNe le fosse comuni:Poi, su le fosse, calerà l'oblìo.Splendide rose e pallidi giacintiSorgeran come al bacio d'un IddioDai corpi degli estinti;E steli e spiche di robuste messiD'umani succhi turgide e superbe;E nel verde dei mirti e dei cipressi,Ne l'umidor dell'erbe,Ne l'innocente palpitar dell'ale.Ne l'ampia folla libera e serenaL'onda rifluirà calda e vitaleDe la gioia terrena..... Ma i figliuoli dei morti, oh, triste, inaneGente!... cresciuti a stenti ed a squallori,Diventeranno per un soldo e un paneAnch'essi minatori.E ad uno ad uno scenderan nell'ombra:E forse un giorno, dentro i negri scaviNe la caverna smisurata e ingombra.Al suon di colpi gravi,Inciamperan ne l'ossa d'un parente.Al subito tremor d'intima guerraSi curveran le fronti, e sordamenteCadran le picche a terra..... O razza, o razza conculcata e ignava;Cui nulla giova l'esser bella e forte,Se null'altro sai far che darti schiava.Meglio per te la morte!...Viva l'incendio che bruciando annientaLe tue lacere vesti e la tua fame,Viva l'incendio che all'ignoto avventaLe tue viscere grame;Che, per un'ora almen, su te raccendeLa sterile pietà di chi non soffre,Che fatica e dolor, tutto ti prende,E pace e sonno t'offre!...Viva l'incendio che al felice, assisoDi fronte al sole, urlando va: Ti desta:De' tuoi sogni d'amor lascia il sorriso,Lascia le sale in festa:Scopriti il capo: al suolo, al suol reclinaLe tremanti ginocchia e il volto smorto:Sul lavor, tra le fiamme e la ruina,Il tuo fratello è morto!...
Lettera bianca con suggello neroVenuta da lontano,Le cittadi attraversa e l'Oceàno.Fatta d'ali così, come il pensiero.Le bisbigliano i flutti ampii del mare«Forse a un amor distruttoÈ velo e tomba il tuo suggel di lutto?».... Ella tace e prosegue il muto errare.Le ripeton le voci alte dei venti:«Rechi gioia o sconforto,Bacio di vivo o tetro odor di morto?...»Ella risa non ha, non ha lamenti.E via e via, per monte e per pianura,Vïaggia notte e giorno,Fatato augel che non avrà ritorno,Brano d'alma lanciato a la ventura:Ma niun le invola il suo mister profondo.Chi sa?... forse è l'orroreD'un addio: l'affannoso urlo d'un core,Il soave pallor d'un riccio biondo:Goccia di sangue giovane, stillatoDa una ferita aperta:Pianto o preghiera d'anima disertaChe soffre e sconta senza aver peccato..... E va, e va, e giunge.—Ne la bruma,Col freddo, su la sera,Giunge in silenzio a la stanzetta austeraD'una donna che amor tutta consuma.Brilla il guardo: un rossor la fronte accende:Batte a schiantarsi il core:La cerea mano convulsa d'amoreEsitando a la busta, ecco, si stende........ No.—Cerea mano piccola e tremante.E minacciosa l'ora.Un sol minuto, un sol minuto ancora,Avida mano piccola e tremante.
A Donna Emilia PeruzziDammi una zappa, un erpice o un rastrelloA me non cale che l'estate avvampi.Sotto il bacio del sol vivido e belloVo' lavorar ne' campi.Così, discinta, con le braccia nudeLe vesti rialzate a la cintura!La campestre fatica umile e rudeLo sai?... non m'impaura.E voglio qui le stanche, le pallentiGracili dame da la man di cera.Fronde di salcio abbandonate ai ventiSteli fioriti a sera.Gli ammalati di sogno e di nevrosi,I parassiti inutili e belanti,Gialli d'ozio, di spleen e di clorosi,Fantasmi in tuba e guanti.Giù cravatte e gioielli!... al foco il vanoBusto ove il petto sta qual fior di serra!...Chiediam la luce e il solco, e l'aer sano:Alla terra!... alla terra!...Qual pienezza di vita entro la brunaZolla che s'apre de la vanga al morso,E insetti e semi e caldi amori aduna!...Come in eterno corsoVan le linfe gioiose, risucchiateCon eterno desìo da la radice,Dai tronchi e da le foglie al vento alate,Qual latte di nutrice!...È il baccanal del verde e del frumento,Del buon frumento da le spighe d'oro,Maturanti in silenzio a cento a centoNel Sol di Messidoro:Lieti fiori di porpora fra il granoRespiran largo, trionfanti e belli.Il riso slancia da l'acquoso pianoGli steli verdi e snelli,Sorgon bianche ninfee da le paludi,Variopinte corolle in mezzo ai prati,Ovunque i soffii ravvivanti e crudiSon dei fieni falciati;Un'alma vive in ogni filo d'erba.Un'alma vive in ogni atomo errante.Tutto, con franca voluttà superba,Si bacia al sol fiammante.Alla terra!... alla terra!... LaceriamoIl seno e i fianchi de la Madre antica:Il tesoro dei frutti a lei strappiamoE de la gonfia spica:Vogliam nembi di rose e vogliam paneE dolci vini dal sorriso biondo!...Libera scorra la dovizia immaneA rotoli pel mondo,E ovunque arrida: a la soffitta oscura,Al palagio sorgente in mezzo ai fiori:Tutti figli siam noi de la Natura,Tutti lavoratori.Qui, sotto i cieli, nella luce.—Avanti,Con macchine e forconi e vanghe e scuri,Noi sacerdoti de la forza e amantiDel Sol, noi, belli e puri!...Già il petto, ecco, s'allarga e rifiorisce:Già le vene s'inturgidan, bollenti:Nova fiumana al cerebro fluisceD'alate idee fulgenti:Più tristezza non v'ha, non v'ha più noia:Più miseria non v'ha, non v'ha più guerra:Tutto è moto, è salute, è speme, è gioia....Alla terra!... alla terra!...
ILa MaestraÈ una maestra.—Ha ne lo sguardo buonoLa rassegnata calma pazïenteDi chi sa il vuoto, il pianto ed il perdono.Con lungo amore, faticosamente,I figli d'altri a l'avvenir prepara;Insegna con austere voci e lente.Ne la sua stanza fredda come baraOve mai riscaldò fiamma d'ebbrezzaLa sconosciuta povertade amara,Ove non fulse mai la giovinezzaD'un lieto sogno, morrà un giorno, sola,Composta il volto a stanca tenerezza;E su l'algide labbra di vïolaE nel vago stupor de gli occhi spentiMorrà con essa l'ultima parolaDel suo delirio: «O bimbi, o bimbi.... attenti....»IILa MadreVedova, lavorò senza riposoPer la bambina sua, per quel suo beneUnico, da lo sguardo luminoso;Per essa sopportò tutte le pene,Per darle il pan si logorò la vita,Per darle il sangue si vuotò le vene.—La bimba crebbe, come una fioritaDi rose a Maggio, come una sovrana,Da la dolce materna alma blandita;E così piacque a un uom quella sultanaBeltà, che al suo desìo la volle avvinta,E sposa e amante la portò lontana!....... Batte or la pioggia dal rovaio spintaAi vetri de la stanza solitariaOve la madre sta, tacita, vinta:Schiude essa i labbri, quasi in cerca d'aria;Ma pensa: la Diletta ora è felice....—E, bianca al par di statua funeraria,Quella sparita forma benedice.IIILa FidanzataEgli le disse: «I monti e l'oceànoFrapporre io devo fra il tuo bacio e il mio;Oh, pensami, mentr'io sarò lontano.Oh, attendimi!... Giammai sonno d'oblìoCol tempo graverà sul nostro amore:Serberà la distanza alto il desìo.».... Ed ella attese.—Ed i minuti e l'oreE i mesi e gli anni, i lunghi anni glaciali,Passaron senza un raggio e senza un fioreSu quei densi capelli verginali;E quando cadder dal suo volto smortoLe primavere e dal suo passo l'ali,E una ruga ghignò sovra quel mortoFascino (lenta pioggia il marmo scava)Ei rïapparve alfin, come risorto.Ma non confuser l'infocata lavaDe' baci; non l'ebbrezze desïate;Ella il padrone, egli guardò la schiava,Per ritrovar le forme un giorno amate.Per ritrovarle....—e poi stettero, fissoLo sguardo al suolo, querce fulminate;E fra di lor si risquarciò l'abisso.
(Chiesa di San Francesco, in Lodi.)Antico tempio maestoso e neroOv'io, pensosa adolescente, orai,Te grave d'anni e d'ombra e di misteroAntico tempio, io non iscordo mai.Sorridean le Madonne del trecentoMiti ed ingenue, sui giallastri muri.Qualche prete sbucava a passo lentoCome una larva, dagli sfondi oscuri.V'era come un odor di vecchie rose,Un odore di mammole appassite;V'era il silenzio de le antiche coseNel tramonto dei secoli sopite.V'era una lampa giorno e notte accesaCome un triste desìo, sopra un altar,E a me là giù, sul bianco marmo stesa,Parea dolce il pregare ed il sognar.*
Ore inspirate, quando a me fanciullaL'organo ripetea sacra un'istoria,E m'assopiva come in una cullaUn'ebbrezza fatidica di gloria;Ore inspirate, quando in me, bollente,Spumeggiò l'onda de le strofe prime,E mi travolse appassionatamenteLa vertigine azzurra del sublime;Ore perdute fra le nebbie d'oroDi quel che non ritorna aulente Maggio,Come di rondinelle agili un coroSciolto a volo pel ciel fra raggio e raggio;Ore di sogno e d'ideale incanto,Io vi ricordo, io vi ricordo ancor;E mi strazia per voi sordo il rimpiantoDi chi rimembra un soffocato amor.*
Avanti, avanti.—Il tempo mi sospinsesenza riposo, sul cammino incolto:Una rete di fili aspri m'avvinse,Ma lo sguardo a l'azzurro è ancor rivolto.Avanti....—ma al passato un dolce, intensoDesìo la torturata alma rimena..... O profumi di gigli e vecchio incenso,Nel grave tempio ov'io pregai serena!...O ceri, o arcate, o pace di convento,O larve erranti negli sfondi oscuri,O gracili Madonne del trecentoChe impallidite sui giallastri muri;Tutto il mal ch'io commisi e ch'io soffersiFra voi, fra voi vorrei dimenticar;Fra voi, sui marmi benedetti e tersi,Le preci dei sereni anni cantar.
Il circo tace.—Ogni sorriso muore,È pallida ogni faccia,Mozzo ogni fiato; e un gel d'ansia e d'orroreLa chiusa folla agghiaccia.Come candida nube o cosa alata,Da l'alto Ella s'avanza:Su i trapezii lucenti, aerea fata,Ride, volteggia, danza,Si slancia e si contorce flessüosaA spire di serpente,Scioglie i veli ed il crin, lancia una rosaA la turba silente,Scherza col vuoto, provoca l'abissoDe le pupille assorteCol nero guardo ammalïante e fissoVince periglio e morte.Non forse par che la sua chioma avvampi,E che nel fulvo ardoreTutti chiuda in un fascio i raggi, i lampiDe le tropiche aurore?...Sotto la breve tunica stellataIn guizzi sapïentiSnodasi l'esil forma delicata,Che dai primi dolentiAnni, fra i salti e gli urli de' buffoni,Fra i lazzi osceni e i rôchiAccenti de le bacchiche canzoni,Nuda s'offerse ai giochiPerigliosi, a le danze agili, ai voli:È bella, è ancor bambinaQuasi, e par che ne l'aria ella s'involi,Soffio e luce divina!....... O bimba, o vecchia bimba, a cui fu mutaL'infanzia di dolcezza;O vecchia bimba al pubblico venduta,Che la feroce ebbrezzaDi vederti scherzar con l'agoniaPaga, e al tuo corpo ha dritto,Che l'acre gioia di chiamarti «Iddia»Paga, e paga un delitto;O vecchia bimba già prostituita,Danza, danza nel vuoto:A gli spirti de l'aria offri la vita.Duella con l'ignoto,Getta a la folla che guatando tremaBaci, sorrisi, fiori:Poi concedi un'orrenda orgia suprema.L'ultima, a' tuoi signori:Dal sommo ove folleggi, ebbra, traditaDa una superba mossa,Vittima ne le bianche ali ferita,Cadi—e schiàntati l'ossa.
Alto, lacero, bruno, scamiciato,Con un erculeo torsoDi facchino, di fabbro o di soldatoEgli aperse la porta impallidendoEra un disoccupato.Disse: Chiedo lavor, son forte e sanoResisto a la fatica,Ho due braccia di ferro.—Da lontanoVengo: e, son già due mesi, ad ogni portaBatto, pregando invano!...—Chi gli rispose allora, io non rammentoFu un no secco e reciso.Gli contrasse la faccia uno sgomentoCupo: dal petto uscì rauca la voceCome un singhiozzo lento.E disse: Per l'amor dei vostri estinti,Non mi lasciate andare.È una cosa tremenda esser respintiQuando si ha fame.—Oh, per pietà, nel nomeDei vostri cari estinti!...—E disse ancora: Se credete in Dio,Non mi lasciate andare.Sacro diritto a la fatica ho anch'io:È una bestemmia abbandonar chi cade.Quando si crede in Dio!...—Chi gli rispose allora, io non rammento:Fu un no timido e fioco.Parve ch'ei barcollasse in quel momento:Poi partì, senza un motto, a capo chino,Trascinandosi a stento.Affascinata, io lo seguii col guardo;E allontanarsi il vidiLungo la via sassosa, a passo tardo.Su la testa il colpìa del Sol di giugnoL'arroventato dardo.Sparì—ma, come in sogno, il disperatoCorso seguir lo vidi,Inutil forza, braccio dispregiato:E avanti, avanti, sudicio, ramingo,Febbril, dilanïato,Per città, per villaggi, per cascine,Mendicante superbo,Mostrando invan le stimmate e le spineDi sua miseria!... e poi cadere, affranto.Invocando la fine!...E, curvo il capo, smorta di dolore,Mormorando: perdono,—Sentii di tutti i secoli l'erroreE il rimorso del mondo e la vergognaPesar sovra il mio cuore.
Non un bimbo da me!...—l'appassionataMia giovinezza si dilegua sola:E d'un trepido olezzo di vïolaProfuma l'erba non ancor falciata.O baci de la culla!... o immensurataGioia che d'ogni lutto il cor consola,O prima soavissima parolaA una boccuccia d'angelo insegnata!Io questa invoco dignità fecondaChe dal mister de l'anima sprigionaLarga d'affetto inestinguibil onda:Questa rosa divina al Sol fiorita,Questo schianto di viscere che donaTutta la vita nostra a un'altra vita.
I
E penso: Egli verrà.—Da le sorgentiDe la mia balda e vincitrice essenza,Dal fluttüar de le mie linfe ardenti,Egli i germi trarrà de l'esistenza.Tutto mi prenderà, l'ansie irrompenti,La sanguigna del cerebro potenza,Il pugnace desìo de' sommi eventi,De l'infinito amor la coscïenza.E sarà grande come io mi giuraiD'essere, e non divenni; e quelle eccelseVette soggiogherà, ch'io non toccai;E felice io vedrò lo spirto mio,Vedrò le forze ch'ei da me divelseRinnovellarsi in lui, come in un Dio.II
Ah!... troppo t'amerei.—Come un'immensaNube carca d'elettriche scintilleSarebbe l'amor mio; con mille e milleForme di vita impetüosa e densa.O tu che dormi ne la notte fondaDe l'increato e nel mister del sogno,Per questo ben che sovra gli altri agogno,Per questa mia di te sete profonda,Svèlati!—al bacio e al frutto anela il fioreQuando a la terra Primavera scende,In un'ansia di te l'alma s'accendeGridando ai fati: amore, amore, amore.
Batto: l'ampia Città schiude le porte.—Chi t'ha cresciuta?...—Il campo e la radura.——Chi ti condusse?...—L'ala della sorteE un vento d'uragano.De le mie selve i canti e la frescuraTi porto da lontano.Vissi tra i verdi muschi e i pruni incolti,Tra le spire dell'èdere tenaci,Fra il nereggiar dei pini agili e folti.Del pieno aer conoscoLe rabbie tempestose e i dolci baci:Fui zingara del bosco.La libertà, la libertà sfrenataFu mia, fu mia!... Se tu sapessi comeÈ bello irromper sola e scapigliataTra le foreste e i campi;Senza rigidi lacci e senza nome,Pieno l'occhio di lampi!Se tu sapessi che ridente cosaEsser nato da un bacio de la terra:Esser l'erba sottil, la pampinosaVite, la spica bionda,Il fior che un seme di dovizia serraIl Dio che lo feconda!...Giunse a me da le vèrtebre del suoloDai bisbigli de' germi a primavera,Da le nozze de i pòllini, dal voloMagnifico de i venti,Da la fumida corsa battaglieraDe' cavalli nitrenti,Un rigoglio di vita, un soffio, un'ondaDi vigore, una febbre di vittoria,Come di fiume che abbatta la sponda,E sul domato pianoSi dilaghi rombando, in una gloriaTorbida d'oceàno!....... Ora a te vengo, o Fulgida, o Vetusta,Marra e zappa lasciando a le pendiciPatrie.—Mi vuoi?... son giovane e robusta:Da l'umide risaieVengo al sordo clamor de gli opificiE a le case operaie.Lancio un raggio di sol negli angiporti,Reco il vivo color de la saluteAi volti de' tuoi bimbi esili e smorti;Un profumo di fieno,Un cinguettìo di rondini sperduteNel meriggio sereno.E a la folla che intorno mi respira,In giacchetta, in gonnella, in cenci, in guanti,Che m'urta, che m'assorda, che m'attira,Che passa e non mi guarda,Che si rinnova per le vie sonanti,Affannosa, gagliarda,Grido il saluto libero e fraterno,L'inno augural che avvince cuore a cuore,Inno di speme e di giustizia: eternoCome i mari e i deserti,Come i germi de' solchi e lo splendoreDe' glauchi cieli aperti.
A Donna Emilia Peruzzi.Corsia di San Giuseppe, a destra, in fondo,Numero venti.—Il letto è vuoto, adesso.—Or son tant'anni, sul guanciale istesso,Mio padre moribondoGiacque, e spirò.—Gracile bimba in cullaEro; e di lui, di lui che m'adorava,Che, per me lacrimando, agonizzava,Nulla ricordo—nulla.—O padre mio ch'io non conobbi, sentiLa mia voce ora tu?... La creaturaChe abbandonasti ai geli, a la sciagura,A gli schiaffi dei ventiE cresciuta, ha sofferto, ha lavorato,Ti piange: su le punte dei coltelliPassò, ma nei pensosi occhi ribelliRise un sogno inspirato,Rise il fulgor d'una possente fede:Ed ella vinse; ed or, fiera qual giglio,Armata in campo, intrepida al periglio,Ama, combatte, crede.—Mentr'io ti parlo, in una queta stanzaLa dolce madre, sorridendo, posa:A lei dintorno, come aulir di rosa,Ondeggia una speranza:Nel lacerato cor che vinse il male,Che sfidò per vent'anni ombra e tempeste,Un'altra gioventù quasi celesteBatte le fulgid'ale.Ma tu non sai. Tu i detti miei non sentiForse!... per ritrovarti io son venuta,Ma la pallida coltre è diaccia e mutaA le lacrime ardenti!...Tu qui spirasti, e mia madre non v'era:Tu qui spirasti, desolato, solo:Su te una suora arrovesciò il lenzuoloE disse una preghiera:Poscia, a notte, giacesti su le pietreDe la brugna 1 , gelata acqua stillanti:E quelle gocce a te parvero i piantiDe' figliuoli: e, le tetrePaventando solenni ombre, qualcunoChiamasti, che de' folli, ultimi baciTi coprisse e de l'ultime, tenaci,Avide strette....—ah!... niuno.—.... O care ossa disperse, o mite volto,O viscere pulsanti, o largo cuore,O polve di mio padre, o sacro amoreIn atomi dissolto!...Qui, dal tragico orror de l'ospedale,Nel nome vostro un voto al mondo io grido:Quanti ha figli la terra abbiano un nidoPieno di canti e d'ale:Quanti ha figli la terra benedirePossan la dolce casa ove son nati,E in essa, calmi sorridendo ai fati,Di fronte al Sol morire.
Piccola mano bianca ed affilata,Piccola mano gracile e nervosaChe un dì la giovanil penna infocataReggesti senza tema e senza posa,Essa—ricordi?...—ne le ardenti sereBattagliando correa fra le tue dita;Tinte in rosso, le strofe alte e sincereInvolavano a me brani di vita.Ma in quel tempo ero sola.—Ora qualcunoChe vide e vinse, presso m'è venuto:Quand'ei m'affisa col suo sguardo brunoBatte il core a schiantarsi, e il labbro è muto.Per lui, per lui ne l'anima inspirataOr palpitan gli alati inni supremi....E tu intanto, manina innamorata,Entro le sue timidamente tremi.
Tu mi dicesti: O smorta innamorataChe a me ti stringi e taci,Perchè su la tua bocca appassionataSembran singhiozzi i baci?I tuoi sguardi profondi come notteInseguono nel vuotoDei fantasmi fuggevoli le frotteChe sorgon dall'ignoto.Del nostro fido amor la gioia istessaIn te stride e non canta;Nel tuo cor v'è una lacrima repressa,Geme una corda infranta.Presso il mio petto qual folle pauraIl grande occhio t'accende?...Qual lontano spavento di sventuraL'anima ti sorprende?...—Io ti risposi: Quando, a te vicina,Tutta pallida in faccia,Sento il mio gracil corpo di bambinaSvenir fra le tue braccia,Cupe larve di donna a me davantiPassan ne la penombra.Son larve di fanciulle in voti e in piantiConsumate nell'ombra:Ed eran belle, e avean del Sol l'ardoreNe l'auree trecce folte;E non ebbero baci, e senz'amoreFûr ne l'oblìo sepolte.Sono donne che, presso il capezzaleDe lo sposo o del figlio,Vider lenta calar l'ora mortaleDe l'ultimo periglio:E davanti a lo spirto che salìaCon maestoso volo,Si contorser ne l'orrida agoniaDel cor rimasto solo:E il sogno ormai di non terreno locoHan ne lo sguardo assorto:Le avvelena in silenzio, a poco a poco,La nostalgia d'un morto.Arse di desiderio insazïato,Distrutte da la tisi,Singhiozzanti sul feretro velatoDei loro affetti uccisi,Passano, curve, barcollanti, stanche.Tragiche ne l'aspetto,Con veli neri su le carni bianche,Con un teschio sul petto:E mi guardano.—È allor, sai, che m'assale,Che m'agghiaccia il terrore,E dentro il petto, sino a farmi male,Batte a martello il core:È allor che ne le mie strette tenaciSenti uno spasmo occulto,E ne l'acuta, strana ansia dei baciLa scossa d'un singulto....Il bieco occhio geloso in me fisandoPassan fra sterpi e guaiEsse, un'orrenda profezia lanciando:«Tu pur, tu pur verrai.»
Quando, ne l'ora oscura,Penso che sei da me così lontano,E mi striscia ne l'animaIl sinistro timor ch'io t'amo invano,E questo amor mi porterà sciagura;Quando in petto mi tremaIl pensiero che tu non torneraiForse, e che tutto ha un termine,E che t'ho amato per non esser maiTua, credi, allora una pietà supremaDi me, di te m'aggrava:Sento il bisogno di tornar bambinaPer ripeter l'ingenuaPreghiera che in soffitta, a me vicina,La mia pallida madre m'insegnava:E, in ginocchio fra i veliDel letto freddo come vuoto nido,Singhiozzo nelle tenebre,Perdutamente a Dio gettando il grido;«O Padre nostro, che siete nei cieli!...»
Io voglio, io voglio vivere, e aver sempre vent'anni,Sfiorar tutti gli spazii col vol di tutti i vanni,Rider, gioire, amar;Vo' inebbriar di raggi la gioventù superba,Lieve siccome un'ala, fresca qual filo d'erba,Limpida come il mar!...Io ti ripudio, o Morte.—Amo la fiamma e l'onda,Amo la terra sana che ai baci si fecondaDel Sole ammaliator;Titanica fucina ove i magli gigantiS'abbatton senza posa d'innumeri bracciantiCon epico fragor!Pel labbro mio che beve le dolci aure serene,Pel vigoroso sangue che m'arde ne le vene,Pel bacio e pel desir,Pel folle riso ingenuo che scopre i bianchi denti,Per quest'intima forza che m'anima ai possentiSogni de l'avvenir,Per tutto ciò che nasce, per tutto ciò che spera,Che fra le nubi e l'alme solleva una bandiera,Che ride a un ideal,Che su la terra come foco d'incendio splende,Che pugna e che trionfa, si spegne e si raccende,Fato, mi vo' immortal!Alla salute, ai muscoli, ai sensi, a l'opre umane,Ai cerebri assetati di verità sovrane,Ai più felici amor,A le madri che allattano, ai padri affaticati,A le cittadi, ai monti, ai boschi, ai solchi, ai prati,Al buon frumento d'ôr,Ai sacrifici occulti e ai magnifici errori,A l'energie del genio e ai palpiti de' cuori,Al moto, al suono, al vol,Io sciolgo, io sciolgo un inno irrefrenato, indomo;Semplice come spica, robusto come l'uomo,Eterno come il Sol!...Soffrir?... soffrire è vivere: è la vertigin muta,La voluttà tremenda, cieca de la caduta.Giù, sino al fondo, giù:Udir del precipizio la soffocata voce,Dissetarsi di fiele, piegar sotto la croce,Singhiozzare: mai più....—Poi scorgere ad un tratto nel buio un tenue raggio.Rinascere a la speme, a la luce, al coraggio,All'amore, a la fè:Aggrapparsi a una corda, sentir nel corpo esangueScorrere a fiotti, a gorghi un rinnovato sangue,E rïalzarsi re!Per chi teme la lotta, si spalanchi un Taigete;I deboli travolga la gialla onda di Lete,Fredda come un avel:Maledetto chi trema e si rivolge indietro,Chi sta qual ombra nera di fluttüante spetroStesa fra l'uomo e il ciel!Io salgo.—Dei fidenti, dei liberi, dei fortiSu pei dirupi alpestri mi seguon le coortiSacrate a l'avvenir;E del meriggio innanzi a la dorata gloriaIo l'orifiamma sventolo e canto la vittoriaDi chi non può morir!...
Talor m'avvolge il cerebro profondoNebbia pesante, accidïosa oscura.Come vinta da sonno o da pauraL'anima tace de l'abisso in fondo.Nulla vive: non palpito, non grido,Non sogno o lotta.—Triste e indifferenteIo mi smarrisco tra la folta gente,E vo' come l'augel che non ha nido.E vo' senza battaglia e senza gloria,E più non mi sorride il Dio d'un giorno:Dentro è gelo e infinita ombra dintorno,E sopita dei cieli è la memoria.Ad un tratto, da l'imo, in un minutoDi risveglio, di gioia o di pazzia,S'agita e vibra ne l'essenza miaUn'altra anima, un'altra.... e tosto il mutoCerebro scoppia in magiche parole,Germinando qual zolla a primavera,Alto assurgendo, da la notte nera,A la divina maestà del Sole;E mentre la raggiante visïoneSfolgora a me dal nudo del sereno,Mi scote e m'apre trionfando il senoIl ruggito selvaggio del leone.
Non più, sotto il gran Sol che scalda e allumaLe sue grigiastre formeL'opificio respira e romba e fuma.Alto è il meriggio, e l'opificio dorme.Stagna dovunque la tristezza mortaDel lavoro spezzato.Non voci, non tumulti il giorno porta:V'è un silenzio sinistro e disperato.Qual mai, qual mai fatidica bandieraSventola al Sol?...—CenciosoSciopero, benvenuto.—Osa!...—La neraFabbrica, nel terribile riposoRuina pare; e un vel di polve giaceSovra i telai deserti;E s'abbarbica ai muri un motto audace:—O più giusto compenso, o braccia inerti.—Osa e spera!...—Ogni macchina è sopita;Ma i ben limati dentiChe forse stritolâr più d'una vita,Digrignan gl'ingranaggi rilucenti.Immobili le cinghie, un giorno sciolteAd incessante giro,Cupamente ristanno, al par di scòlteIn vedetta, così, senza respiro.Tutto è spento: cilindri e morse e spole:Non fuoco a la fucina.Non acqua a le caldaie.—E splende il SoleCon baleno irrisor, su l'officina;Ma per gli androni bui, sotto le vôlteStriscian fantasmi oscuri.Strisciano larve di minaccia avvolteLungo il viscido e freddo orror de' muri:E s'anima ad un tratto, ecco, ogni cosa,E umana forma prende,E sobbalza, gigante e maestosa:Viva una fiamma qua e là s'accende:Ogni macchina assume il divo aspettoDi vindice profeta:Rugge de la motrice il vasto petto,Ogni sbarra si fa gladio d'atleta:E tutto grida: O luminosa aurora,Non sei, non sei lontana.Per te chi or sotto sferza empia lavoraPotenza avrà di creatura umana:Per te giustizia, non pietà, nel mondo;Tutti per te gli sguardiVolti a un novo ideal santo e giocondo:Per te gioie sui bimbi e sui vegliardi!...O fiumana d'amor, scendi, schiumante!E un popol di risortiNe la tua benedetta onda scroscianteLe labbra dolorose, arse, conforti!...Già splende a l'orïente il sogno d'oroDe l'avvenire: il maggioDei redenti e del libero lavoro,Lembo di cielo, sfavillio di raggio:Maggio d'ali e di sol, maggio di fiori,Di baci, di canzoni:Che vinti non avrà nè vincitori,Che non avrà nè servi nè padroni.
Si fissarono in volto, emunti, lividiPer insonnia, per fame e per dolore,Stanchi di lotta.—E l'uno disse, torbido:—A che scopo?... si muore.—E un altro disse: I miei bambini languonoDi stenti.—E un altro: Inferma a l'ospedaleÈ la mia donna.—Su le teste un brividoPassò, nero, glaciale.Bracia e favilla il guardo, irruppe un ErcoleDi vent'anni: No: mai!—Tutti dobbiamoSino all'ultimo dì, tutti, resistere....Non bruti, uomini siamo!...—.... Si fissarono in volto, emunti, lividiPer insonnia, per fame e per dolore.Un pensiero tremò nel gran silenzio:—A che scopo?... si muore.—E, maestosi ne le vesti lacere,Singhiozzi di vergogna in cor frenando,Severe e desolate ombre, tornaronoA l'opre.—Fino a quando?
A tramonto salìaBreve schiera di femmine pallenti,Chino lo sguardo, a passi gravi e lenti,Su per montana via.Tornavan da la valle.Ombrate il volto da una triste idea:E ciascuna una lunga asse teneaSopra le curve spalle.Io chiesi: «Che portate,Donne, al paese vostro, e qual pensieroVi cruccia, che pel brullo, erto sentieroFra pianti e preci andate?...»—Ed elle, a voce bassa:«Del curato è doman la sepoltura.Poi che mancan, rechiam da la pianuraI legni per la cassa.Egli era buono.—Oh, quanta,Quanta dolcezza ne le sue parole!...Quasi parea fiorissero vïoleDa quella bocca santa:Per ogni afflitto cuore,Per ogni piaga un balsamo egli avea,E compatire e perdonar sapea,Ed insegnò l'amore!...».... Dissero: e, miti orando,Le gentili sparir dietro gli abeti,De la montagna pei recessi quetiFunèbri echi destando.« De profundis clamavi.... ».... Pace a l'anima tua, pace, o vegliardo,Che Dio portasti nel clemente sguardoE nei detti soaviChe ai solitari, ai mesti,Ai deboli, ai fanciulli eri sostegnoChe, molto amando, lo spregiato regnoDe gli umili scegliesti!...« De profundis... » Le cimeL'ultimo sole illuminò di rosa.Palpitò nel silenzio d'ogni cosaUna pietà sublime;E tutto in alto parveRaccogliersi in un pio senso di morte:Poi da le cime inesplorate, assorteLuce e pensiero sparve.
Egli aperse l'azzurro occhio innocenteNe l'ospedal d'un carcere.—Le muraD'una casa d'infamia e di sventuraUdiron prime il suo vagir dolente.Dibattè, dibattè le membra stenteIl bimbo, come avesse onta o paura:Forse comprese.—E abbrividì l'impuraBeffarda ombra su lui, sinistramente;Ma a sè lo strinse con gelose bracciaLa madre: labbro a labbro, core a coreStettero, ne la notte algida e muta.Quando il giorno spuntò, la macra facciaDi lei, chinata sul dormente amore,Parve di santa e non d'una perduta.
Da l'agile coppa ove i petaliDi giallo velluto carnosoDischiude in silenzio, una pallidaVïola mi fissa con guardo pensoso.Io vidi altre volte due suppliciCari occhi guardarmi così:Quegli occhi per sempre si chiusero,Con essi un amore nel vuoto sparì.Se è vero che i morti risorgonoDei tronchi nei vividi umori,Nei fili dell'erba, nei pòllini.Nei calici freschi, ridenti dei fiori,Vïola che triste mi affasciniCol supplice sguardo ch'io so,In te vive un brano dell'animaDi chi nel lontano passato mi amò!...
Cala qual nembo sul mio cor di vergineL'ora sacrata de la passïone:È notte e ne la tenebraCova un incanto di perdizione:È notte e tu non sai,Tu che dormi da me così lontano,Ch'io, bianca in volto e con le mani in croce,Chiedo il tuo bacio in vano.Mai più, mai più ne' miei grand'occhi il raggioDi questa prorompente giovinezzaSorriderà sì fulgido,E le mie labbra avran questa dolcezza:Mai più l'acceso spirtoA te verrà con vïolento grido,Come augel che trillando ai boschi, ai cieli,Ebbro si slancia al nido.Il desiderio mio ne l'ombre tacite,Rogo e martirio, lampeggiando avvampa:Ma l'ora passa—e spegnesi,A poco a poco, la solinga vampa.L'alba, triste nei veli,In un pallore di sudario spunta:Perduta è l'ora de la nostra ebbrezza:Essa morì consunta.
È malato, è malato, e a sè mi chiamaForse, laggiù, su l'inclemente suolo.Il tetro annuncio il mar passò di volo,E mi s'infisse in cor come una lama.Ne le notti di febbre insonni e lenteForse ei mi cerca presso il capezzale,E grida fra gli spasimi del maleIl mio nome, il mio nome, infantilmente.Oh, s'io potessi corrergli d'accanto;S'io gli posassi la mia pura manoUn sol minuto, su la fronte, piano,Guarirebbe, lo so!... come d'incanto.E pur qui resto, fiacca, immota, inerte:Non ho coraggio di lasciar la miaCasa, la madre veneranda e pia,Per affrontar le strade erme ed incerte,Il procelloso mare e le mugghiantiCittà, folle, sublime, a l'avventura,Fra nove razze, per monte e radura,Su treni scatenati e sibilanti,Fino al letto ov'ei giace!...—E il pianto ingoioPerchè la madre mia dal suo riposoNon si desti, il tumulto angoscïosoDegli urli miei, de' miei singhiozzi ingoio.E, il corpo su la terra arida prono,Giunte le mani sul petto fremente,A lui mormoro, a lui che non mi sente,Che non vedrò più mai, forse: Perdono.—
In sogno ti vidi.—La plagaOv'io t'incontrai m'era ignota:Gravavan su l'aria silente ed immotaLe nubi d'un rosso di piaga.Un'ansia mortale, un mortaleDolore pei cieli passava.Un'eco di squilla lontana oscillava,Qual fioco lamento spettrale.A me tu venivi.—VoleaIo moverti incontro, ma invano:Un peso insoffribile, un incubo stranoAvvincermi al suolo parea.E dirti io voleva: TornatoQui presso il mio cor, finalmente,Sei tu dal solingo vïaggio dolente?...—Ma il labbro rimase serrato.Tu m'eri lontano e vicinoA un tempo.—Te quasi toccavo;E pure, stendendo le braccia, tremavoDi stringere un'ombra.—Il divino,Dolcissimo sogno nudritoTant'anni, tant'anni nel core,Svaniva in un senso di vago terrore,Svania ne l'affanno infinito.E tu di baciarmi tentasti;Ma sopra la squallida plagaLe nubi d'un rosso di labbro e di piagaS'avvolsero in nembi nefasti:Parea che un divieto solennePartisse dai campi infecondi,Da l'algida angoscia dei cieli e dei mondi....E il bacio, il tuo bacio, ah!...—non venne.—
Non ritornar mai più.—Resta oltre i mari,Resta oltre i monti.—Il nostro amor, l'ho ucciso.—Troppo mi torturava.—-E l'ho calpesto,L'ho sfigurato in viso,L'ho morso, l'ho ridotto in cento brani,L'ho ucciso, ecco!—Ora tace, finalmente.—Tace.—Più lento per le vene scorreIl sangue prepotente:Posso dormir, la notte; e più non piango.Te chiamando, affannosa.—Oh, quanta calma!...Ne la penombra senza fine, senzaMoto, riposa l'alma;E tesse, tesse le oblïose filaD'un sogno di rinuncia.—Non tornare.—Io, cieca e fredda, voglio odiarti, comeTi seppi un giorno amare:Odiarti pe' miei freschi anni fiorentiChe immolai, dolorando, a te lontano;Povera gioventù senza carezze,Sacrificata invano!...Ma nell'odio si soffre; ma si piangeNell'odio.... ed io t'avrei sempre davantiAnche imprecando a te.—Non ho più forzaDi lotta o di rimpianti;Voglio silenzio—un gran silenzio!...—FateTacer quel fioco gemito, là in fondo.—C'è qualcuno che lagnasi, un nemico,Un malato, là in fondo:Qualcuno oppresso da un immenso male,Da un peso immenso a cui non può sfuggire;Qualcuno che agonizza e chiede aiuto.E non vuole morire.
Perduta?... no.—Sorgendo come IddiaSu la gioia sepolta,La mia superbia e la potenza miaIo voglio dirti.—Ascolta:Io voglio dirti come s'abbandoniL'alma al santo peccato,E pianga, invochi, spasimi, perdoni,E in crollo disperatoSi sfasci, così, guarda, a brano a brano,Miserabile, vinta:E poi risorga, da un desìo sovranoDi luce ancor sospinta.Io voglio dirti che nel cor giammaiHavvi sconfitta intera;Che, pur gridando al bacio e al Sol: più mai,—Inconsci, ancor si spera;Che, quando tutto fugge e si disperde,Pur resta in noi qualcosaDi fido e vivo, un sogno, un filo verde,Una foglia di rosa,Un germe che s'allarga e si fecondaEntro l'anima oscura,Nova promessa de la gloria biondaD'una messe futura.Io voglio dirti che si può cadereCon la mota alla gola,E non aver più amici, e non averePiù una sola, una solaCreatura che in noi creda, o qualcunoChe ci aiuti la croceA portare: esser nudo, ed esser unoDavanti a la feroceIgnoranza dei tempi e de le genti,A lo scherno dei vili,A lo spietato insulto dei potenti,Degl'invidi agli stiliAvvelenati: e pur sentirci in core,Sentirci nel profondoCerebro lo splendor di mille aurore,L'idea che muta un mondo,La fede che trasporta e che rischiara;E vivere; e qual tuonoRuggire al gregge de la folla ignaraO scellerata: Io sono.—
Palpita una canzone in lontananza:Voce è di donna, calda, appassionata:A me giunge un po' fioca, un po' velata—Tra i melagrani in fior—da la distanza.Come sacri turiboli d'incensoOlezzan gli orti ove il tuo canto va,O sconosciuta sotto il cielo immenso,O cor che parli ne l'oscurità!...Chi sei dunque? hai tu errato?... hai tu sofferto?...Hai tu pianto giammai presso un morente?...Su le macerie de le gioie spenteNon t'infiammò la sete del deserto?...E quale a te mi lega arcano sensoDi fraterna dolcezza e di pietà,O sconosciuta sotto il cielo immenso,O cor che parli ne l'oscurità?...
A Sofia Bisi.Irrequïeto, scarno, adolescente:Nato da un fabbro e da una tessitrice:Fior di plebe cresciuto a la severaOmbra d'una motrice:Scalzo, in blusa stracciata e collo ignudoEra bello nei fieri occhi selvaggi.Irrideva col fischio del monelloAi lucidi ingranaggi:Genio infantil perduto in un inferno,Correa fra casse e sbarre audacemente,E ogni cinghia parea che l'afferrasseQual spira di serpente;Ed ogni morsa lacerar pareaVolesse le sue carni a brano a brano,Ed ogni uncino conficcar la puntaIn quell'esile mano.Pur, tra il buio, il periglio e la minaccia,Vittorïoso e bello egli passava:Fra le turpi bestemmie e l'ignominia,Innocente, passava.Quando, a tramonto, una pesante calmaIl lanificio torbido invadea,E una stanchezza senza nome i pettiDe le donne opprimea,Quando, lividi in viso, i tessitoriFinivan l'opre senza una parola,Trillava fra le macchine pulsantiUna voce, una sola:Egli cantava!... del severo locoEgli, alato ed indomito folletto,Colle mani a la spola, un inno in bocca,E la tisi nel petto..... A poco a poco indebolì.—FunestaÈ pei fanciulli l'aria greve e scarsaChe corrotti miasmi e polve infiltraNe la gola riarsa..... A poco a poco s'accasciò.—FunestaÈ pei fanciulli la fatica:—irosaPreme sui corpi e ne risucchia il sangueSenza pietà nè posa.Ai piè de la motrice che ruggìaDa disperata, ei cadde un dì, svenutoLo portarono via due forti braccia,Oh, così inerte e muto!...E la motrice continuò, nel buio,Il suo rombo terribile ed alterno—Pareva stanca.—In quel fragor tremavaUn singhiozzo materno.*
.... In fondo alla corsia v'è un letto bianco:Vi posa un volto dolce di pallore.Il folletto gentil de l'officinaIn quel lettuccio muore.Muore di tisi—gli dilania il pettoTosse implacata, e il corpo è già spettrale.Crebbe nel chiuso orror d'un opificio:Finisce a l'ospedale..... Datemi sole dunque, un po' di solePer questo bimbo che nol vide mai,Che mai non bevve il gaudio de la vitaNe' suoi torridi rai!...Datemi libertà: l'allegra, sana,Garrula libertà de la foresta,Per questo bimbo che non seppe giochi,Che non conobbe festa!...Datemi l'aria, l'aria!... avean bisognoD'aria questi polmoni egri e corrosi!Chi gli negò la luce, i campi verdi,I sogni luminosi,I fiori, i nidi, le corse a l'aperto,De l'aurea fanciullezza il folle riso?...Chi l'uom temprato a le titanie lotteIn questo bimbo ha ucciso?....... Silenzio.—Passa il brivido dell'ombraPer la crociera.—Nel lettuccio biancoGiaccion le membra immobili, tranquille.Silenzio....—egli è sì stanco!...Geme: trasale.—Sogna forse i rombiSinistri de le macchine: i rotantiCilindri: il volo rapido e gagliardoDe le cinghie giganti:E, spaventate, l'ossa moribondeRicordan l'opra antica e dolorosa.Fanciullo, non temer—troppo hai sofferto,Or finisti.—Riposa.—
De l'alba al mite brividoIl paesello s'è destato or ora.Il sol non fulge ancoraDi sopra a le montagne alte e sognanti.Di sopra a le montagne alte e sognantiNel ciel si perde e sfumaL'ultima trasparenza de la bruma:Anime e cose salgono.*
De le casette rusticheDisperse a gruppi sul montano fiancoNarra il profilo biancoTutto un passato di squisita pace:Tutto un presente di squisita paceL'acqua d'una fontanaGorgogliando laggiù, garrula e piana,Nel silenzio, bisbiglia.*
Io sogno una biondissimaRosea fanciulla che dal monte scende,Mentre le vette accendeLa prima luce.—Ella è serena e canta.Ella è serena e al dì che sorge canta:L'acqua de la fontanaLe risponde quaggiù, garrula e piana,E i tersi cieli arridono.
Ho freddo, ho freddo in mezzo a voi, severiLibri che antiche pugne a me narrate!Che m'importa di ciò?...—fossili austeri,Il Sol di maggio batte a le vetrate.Gonfaloni, castelli, glorïoseFollie di prenci e papi e imperador,Io vo' l'olezzo de le nuove rose,Io vo' tuffarmi nel meriggio d'or!...O pali, o mummie, o blocchi di granito,Il fragor de la via non vi ridesta?...Titanico fragor che par muggito,Fischio di vento, rombo di tempesta?...Larve d'anni e di secoli travolti,Vizze foglie del tempo che fiorì,Filosofi, tiranni, eroi sepolti,L'eco non giunse a voi de' nostri dì?...Viveste un giorno, o scheletri: morganaFata arridente al cupido pensiero,Voi pur tradì la multiforme e vanaIllusïon che l'uomo appella il Vero.Pace ai morti!... ma l'attimo fuggenteÈ troppo breve pel nostro gioir:A che arrestarci su le vite spente,Quando il fato ne incalza a l'avvenir?...Oh, lasciatemi andar dove la novaScïenza sboccia come al Sole il fiore:Dove brilla, spumeggia e si rinnovaL'onda rossa del gaudio e de l'amore.Ch'io fugga tra i braccianti infaticati,Tra colpi d'ascia e colpi di martel,Ch'io m'involi su i treni scatenati,Sibili e fumo vomitanti al ciel!Oh, lasciatemi andar per le boscaglie,Fra i sorrisi de l'alte erbe e del grano:Il sangue sparso, o innumeri battaglie,Gioiosamente ora feconda il piano.E mi chiama la zolla che riverde,E mi chiamano l'ali aperte al vol........ Fossili, addio!... Mi salvo in mezzo al verde,Con fiori nei capelli e in faccia il Sol!...
Se m'ami, guarda: mi balena in fronteL'intima vïolenza del pensiero.Giunsi in alto per ripido sentiero,E grigio ancor sul capo ho l'orizzonte.So dei roveti le mordenti spine,So l'arida tristezza dai deserti:Non rispecchio il seren dei cieli aperti,Ma porto il lutto nel guardo e nel crine.Linatori sbucanti da la terra,Vittime scarne e intrepidi ribelliDal labbro audace e dai grand'occhi belliOve raggia un desìo di santa guerra,Come a quest'ora tu mi gridi: Io t'amo,Dissero un giorno a me: Pietà di noi!Dissero tutti, martiri ed eroi:—«O fanciulla, sei nostra e ti vogliamoNe le viscere tue passi e rivivaOgni duolo, ogni spasmo, ogni singultoTutto il dolor che ci dilania occultoTrabocchi in te, perchè di noi tu viva:Perchè da l'alma tua scossa e sconvoltaProrompa il canto che sia noi! ... CamminaPer sassosa e dirupata chinaDe la giustizia, o solitaria scôlta:Inciampa, cadi e ti raddrizza ancoraSovra il corpo d'un morto o d'un morente,Con infinite lacrime piangentePer l'ansia e la pietà che ti divora:E quando, arse le vene e stanche l'ossa,La tua vita ai fratelli avrai donato,E su tutte le piaghe avrà tuonatoLa profetica tua voce commossa,Fra noi, per noi ne l'ultima tempesta,Musa del novo amor, cadrai!...»—L'immensaTurba così parlò.—Guardami e pensa!...Fino a la tomba la mia strada è questa.*
Per ciò forse tu m'ami?... Oh, vieni allora,Vieni con me nel nome del dolore,Serbo per te voluttüoso un fioreSorto di notte da selvaggia flora.Vieni, vieni con me!... La nostra elettaCasa sarà dovunque un vinto gema:Ove l'infanzia abbandonata trema,Ove fermenta la miseria infetta.De gl'infelici i miseri giacigliSaranno il nostro letto nuziale;Gl'innominati e gli orfani, cui l'aleTarpò il dolor, saranno i nostri figli.La mia bocca di vergine ti serbaTeneri baci, noti a lei soltanto.Sono i baci che sbocciano dal piantoCome anèmoni tristi in mezzo a l'erba;Baci che sanno il torbido misteroAleggiante sul capo ai moribondi,Baci che sanno i palpiti fecondiDe gl'istanti di lotta e di pensiero;Del precipizio la vertigin muta,Del sacrificio l'agonia sublime,Il desìo degli abissi e de le cime,La dolcezza del cor che non si muta.Vieni, vieni con me!... Ti benedicoPerciò che in nome del mio amor farai,Pel sangue tuo che non per me daraiFratello d'ideal, ti benedico.Vieni, vieni con me!... Soccomberemo,Forse, prima d'aver tutto compito.Che importa?... nel fulgor de l'infinitoIn un raggio di sol risorgeremo:E il nostro amplesso arriderà sovranoSu le gioie de 'l mondo rinnovato:Fiorirà sotto a noi, giglio invocato,Quell'avvenir che non sognammo invano.
Attraverso la nebbia e il tenebrore,Stringendo a l'ammalatoPetto, con senso di mortal timore,Il bimbo assiderato,Tutta ravvolta ne lo scialle stinto,Dolorosa di fame,Giunse al Notturno Asil, bruto sospintoDa l'ansia d'uno strame:E per la carità di quella notte,Curva tremando, comeColpevole alla gogna, a voci rotteDisse la patria, il nome,La strazïante istoria del passato,De l'improvviso lutto,Lo schianto de lo sgombero forzato,L'urto nel fango, tutto:E sol quand'ebbe, vergognando, messoA nudo il rimordenteCancro de la sua vita, a lei concessoFu un letto....—finalmente.—*
Ella dorme d'un sonno alto, oblïoso.Col suo bambino a lato.Su lei, su l'altre che a l'asil pietosoScaraventò il selciato,Casta raccoglie le grand'ali biancheLa breve ora di pace;Nei franti cuori, ne le membra stancheOgni spasimo tace..... Ella sogna.—S'allarga sul guancialeIl denso crine attorto,E sembra la coperta glacïaleD'una cassa da morto.Ella sognando va ch'ora e per sempreÈ suo quel caldo letto..... O riposo, o dolcezza!... ora e per sempreÈ suo quel caldo letto!...E la tranquilla visïon le arrideD'una stanza ove cuceEssa cantando, mentre il bimbo rideDel foco a l'area luce:Imbianca i vetri l'ultima carezzaDel giorno in agonia,E al nido porta l'alitante brezzaLe voci de la via....*
.... Stride una squilla: al dormitorio austeroS'affaccia e ghigna l'alba.Balza la Triste dal letto stranieroNe la penombra scialba:Rimette cenci su la carne ignuda:Torna col figlio al notoOrror de l'abbandono, a l'aria cruda,Ai perigli, a l'ignoto,A la caccia del pane!... Avida miraL'ampia città che fuma,Che da le ansanti fabbriche respiraE fischia tra la bruma,A la forza inneggiando e a la faticaCon tumulto canoro........ Avida mira, come una nemica:Essa non ha lavoro.
La via s'allunga, tacita, deserta,Sotto gli occhi dei fieri astri immortali.Infinito è il silenzio.—Dei fanaliLe fiamme rosse come rosse piagheSembrano austere sentinelle a l'erta.Sfiora lieve il selciato una figuraDi donna.—Senza posa, lentamente,S'aggira per la via che vede e sente:E l'ombra sua, riflessa ne le zoneDi luce, ondeggia come biscia impura.Il corpo così bianco sotto il neroVestito, è terra senza spirito.—Tutto,Fuor che la cieca fame è in lei distrutto:Niuna miseria è più cinica e ignavaDi quella forma che non ha pensiero.Chi mai la coscïenza le divelse?...Che lungo dramma la gettò sul vuotoLastrico, a notte, in caccia d'un ignoto?...Un'occulta pietà trema e s'effondeSu su dei cieli per le vôlte eccelse.Pietà!... La notte tragica s'imbrunaPiù e più, senza luna e senza vento,D'angosciosa tristezza e di sgomentoPiena.—E sotto la gogna dei fanaliPassa e ripassa la figura bruna....
Egli lo disse.—Giù verso ponenteIl magnifico ciel di PalestinaIn sangue si tingea:Corruscava di faccia al sol morenteUn ammasso di nubi—e la ruinaDi turrite cittadi arse parea.Nel solenne tramonto anche la vesteE il peplo candidissimo del DioParean di fiamme cinti:Sul deserto, sul mar, su le foreste,Sui pargoli curvati in atto pio,Sui ceppi e sulle lacrime dei vinti,La Sua voce tuonò. (Silenzio intorno,Vasto silenzio) «Chi ne l'ombra visseLuce domani avrà:Schiuderà il cieco le pupille al giorno;Chi fu solo, chi pianse e maledisseDomani esulterà!...Chi di freddo tremò nè fu scaldato,Chi di fame languì nè fu soccorso,Chi ebbe sete d'amor,E d'amor si consunse e non fu amato,Chi, vergine di colpe, al crudo morsoGiacque del disonor,Domani coglierà mirti e vïolePer le boscose vie piene d'incanti,Ove messe è il desir:Ebbro di libertade, ebbro di sole,Tra gli ulivi movendo a le raggiantiPorte de l'avvenir!...In alto, in alto i miseri, gli schiavi:In alto, in alto gli umili, i reietti:L'ora sacrata è là.Sorgi in nome di Dio, popol d'ignavi,Fa del nome di Dio scudo a' tuoi petti,Vinci, perdona, e va!...»—*
Questo Egli disse.—I popoli ed i cieliE le immobili palme e i campi e l'ondeAscoltavan.—Le mesteDonne ravvolte in fluttüanti veliSeguian con le pupille umide e fondeIl sogno d'un doman senza tempeste.Sotto la terra, in grembo al mar sonante,Trasalivan dei secoli futuriI germi, a quella voce.Sciogliendo a l'aure il divo inno squillanteL'universo abbracciava Egli coi puriSguardi....—e, ne l'ombra, l'attendea la Croce.
Questa notte dal ciel scendono baciCome fiocchi di neve calmi e lenti;Scendon baci dolcissimiDai tersi cieli aperti e sorridenti.Piovon sugli occhi che nel buio inseguonoLarve d'amore non raggiunte mai,Supplici, dolorosi occhi, ove accendesiUna speranza non distrutta ancor;Piovon sui corpi che l'amplesso attendonoDel Diletto che Iddio non manda mai.Fragili corpi, solitarie lampade,Gigli morenti di strano languor.Piovon sui cuori palpitanti d'ansia,Che ne la febbre non guarita mai,Nel desiderio dei negati gaudiiSinghiozzano all'ignoto: Amore, amor!...*
Questa notte dal ciel scendono baci:Silenzïosi, benedetti, lenti.Calman sospiri ed incubi:Succhian le vane lagrime cocenti.
Fra l'erba, in una triste primavera,Una precoce mammola fiorì.Fredda era l'aria.—Prima ancor di vivere,L'esile fior morì.Su la mia bocca, in una triste sera,Un bacio dal mio cor per te fiorì.—Volgesti il capo....—prima ancor di vivere,Il bacio mio morì.—
Fra i veli niveiDe la sua cullaIl bimbo posa.I sogni sfioranoLa delicataFronte di rosa.Niuno lo vigila:Sua madre è al ballo,Suo padre al gioco.Nessuno palpitaAl suo respiroSoave e fioco.Erran per l'aereLievi, invisibiliBattiti d'ale,Soffii, bisbigli....Passano larvePresso il guanciale.—Da un molle bacioDentro un'alcòvaVenuto al mondo,Di', che t'aspetta,Figlio di duca,Pargolo biondo?...Bollori ed impetiNon ha il tuo sangueSmorto e languente:Ultima gocciaD'una superbaRazza morente.Che avrai?... Le splendideFeste e i confortiDi laute cene:Spumanti caliciChe gettan fiammeDentro le vene:Tumulti d'orgie,Notti di baciBassi e sapienti:Lunghe ore d'ozio,Corse di fieriCavalli ardenti:Di fibra e d'animaIl raffinatoDelirio intenso:Labbra d'etèrie,Larve d'amore,Spasmo di senso.Non tue le fervideDe la scïenzaLotte severe:Non per te i palpiti,Non per te i sogniDi fedi austere:Non per te l'utiliOpre del braccio....Ma, solo, fiacco,Sfibrato, inutile,Pel nulla nato,Del nulla stracco,L'ultimo soffioDe la tua vitaSterile e vanaDarai a un gelido,Venale amplessoDi cortigiana.
(dal quadro di T. Pattini).Di fuori è tènebra:Dentro il tugurioFreddo e desertoTrema il lucignoloD'una candelaCon guizzo incerto.A terra è il rigidoCorpo d'un morto.—Non sa, non sente;Riposa.—Il copreNero un sudario:Sembra un dormente.La salma squallidaÈ d'un robustoLavoratore,Strappato al vomero,Strappato al suoloFecondatore;Ai campi fertili,A l'auree vigne,Ai fieni aulenti;A le boscaglieFolli di sole,Nel sol fiorenti.Prona in un angoloGiace una donnaMuta nel duolo.Più lunge, un roseoFanciullo giocaSul nudo suolo.Non sa di triboli,Non sa d'orrori,Non sa di morte.Ei gioca, ingenuo,Biondo, ridente,Tranquillo e forte.Su lui la tènebraTutta s'affisaCon occhio strano.Ha voci e brividi,Pensieri e piantiL'intento vano.—Da un rozzo bacioDentro una stallaVenuto al mondo,Di', che t'aspetta.Figlio di plebe.Pargolo biondo?...La zappa ruvidaCorrusca al sole:L'aratro lento:Meriggi torridi,Furia di piogge,Furia di vento:De la malaria,De la risaiaLa febbre impura:Fatiche innumeri,Pan bruno e scarso,Stamberga oscura.Chi sarai?... DeboleCorpo impossenteDi mal nudrito,In buia, torpida,Rude ignoranzaInebetito?...Chi sarai?... LiberaAlma selvaggiaDi lottatore,De l'imo popolo,Del solco vergineSôrto dal cuore?...Tu giochi, ingenuo;Ma l'aria e l'ombraSan di tempesta.Su l'ala rapidaTe invola il tempoChe non s'arresta:Te, forse militeD'aspri e bollentiConflitti umani:Forse una vittima,Forse un ribelleDe l'indomani.
Te divina di forme, un dì vedeaBianca qual giglio e bionda come DeaEgli, la prima volta:Avevi un fior di prato a la cintura,E parevi, così ridente e pura,Tutta di sole avvolta.E s'accese ne l'alma il sognatore,E ti serrò nel laccio d'un amoreGeloso e vïolento:Tu lietamente lo seguisti sposa,Come la nube va tinta di rosaOve la porta il vento.E poi ti nacque un bimbo.—Oh, la profondaGioia d'accarezzar la testa biondaD'un bimbo tuo; la solaGioia che al mondo sia senza rimpianti;Viver de' baci suoi, dei dolci canti,De l'incerta parola!...Ride tra il verde la tua giovin casaDa gaie torme di trastulli invasaDispersi sui tappeti:I tuoi balconi sono aperti al sole,E vi penètran sogni di vïole,Effluvii di roseti:Il bimbo corre per le chiare stanze,Tu il miri e tessi de le tue speranzeGli azzurri e tenui fili:L'anima esulta, si dilata e saleCome salgon danzanti atomi ed aleNel ciel dei freschi aprili.Ridi....—sei così semplice e secura!...Un inganno, uno schianto, una sciaguraTi spezzerebbe.—Oh, ridi.—Son così pochi al mondo i fortunati!...Io, te guardando, penso ai baci alatiDe le allodole, ai nidi;Ai nidi fatti di musco e di amore,Palpitanti tra i folti alberi in fiore,Pieni di trilli, pieniD'infanzia e d'innocenza;—a le scorrentiAcque dei fiumi; a l'albe trasparenti,Ai meriggi sereni;A le pianure fertili di granoSacro e dorato; al verdeggiar lontanoDei pascoli in pendìo,Ove l'alma a sorsate ampie respiraCon l'acre essenza che da l'erbe spiraL'ebbrezza de l'oblìo.
Lessi:La plebe intera e ammutinata:Fiera e compatta ingombra piazze e strade:Gli urli «Pane e lavor» son le sue spade,Di mille petti a sè fa barricata.Lessi:Caffè, palagi han vetri infranti:Chiusi i balconi e chiuse son le porte:Passan per la cittade armate scôrte,Lutti s'apprestan per le donne e pianti.Un battaglion di pallidi soldatiO miseria!... sparò contro i ribelli:E questi cadder, minacciosi e belli:Morser la polve, e niun li ha vendicati.Avean fame: avean figli: intimo istintoDi giustizia gli spinse a la sommossa:Caddero........ Sorsi, in mezzo al cor percossa,Da un orrore improvviso il sangue vinto.—Di chi la colpa?...—con gran voce dissi.E in nome degli insorti e dei venduti,Dei fratricidi in nome e dei cadutiQualche cosa ne l'ombra io maledissi.
Mendicante che vai sotto la pioggiaE mi stendi la man,Con lungo sguardo e con lamento suppliceChiedendo un soldo e un pan,Ingiusta al pari de la tua miseriaÈ la miseria mia:Mi trascina con te l'IneluttabileA una stessa agonia:Sol tu, cui fame insazïata strazia,Lo gridi, il tuo dolor:Io, pianti e febbri soffocando, muoioPer nostalgia d'amor!...
Casette bianche sfavillanti al soleCon le finestre aperte e ai piedi il verde,Come lento su voi l'occhio si perde,Casette bianche sfavillanti al sole!...Passando innanzi a voi (non lo sapete?)Chiusa in dolce pensier, guardo e sorrido:La vostra pace garrula di nidoOh, narratela a me, casette liete.Entro le stanze tiepide e raccolte,Nel cristal de le coppe trasparenti,Appassiscono gigli e thee morenti,E lievi gruppi di cardenie sciolte?V'è un bizzarro cestello da lavoro,Ove, tra gli aghi e tra le matassine,Un biglietto si celi intimo e fine,Un nastro azzurro, un braccialetto d'oro?...Vi son ninnoli e libri civettuoli,Fantastici pastelli a le pareti,Bambole e carrettini sui tappeti,Cinguettii di fanciulli e d'usignoli?V'è una placida nonna cogli occhiali,Che, seduta in antica, ampia poltrona,Con la sua voce di vecchietta buonaNarri d'un rosso demone dall'aliFiammanti i casi orrendi e battaglieriA una turba di bimbi estasïata?...V'è una snella mammina affaccendata,V'è un babbo serio dai gran baffi neri?....... Dite, ditelo a me!... Stretta s'allacciaL'edera appassionata ai vostri muri:Traversa i cieli radïosi e puriUn'allodola, ed io tendo le braccia;Tendo le braccia al sole e a la gaiezza:M'entra ne l'imo cor la nostalgiaD'un volto amato, d'una mano piaChe mi sfiori con trepida carezza:D'un profumo svanente di vïole,D'un nido ove s'effonda alta quïete:La nostalgia di voi, casette liete,Casette bianche sfavillanti al sole.
Ne l'abituro ove morì stanotteIl vecchio pellagroso,Veglia sul freddo, altissimo riposoLa vanga sola, viva ne la notte:Guatando il letto che somiglia un trono,In suo linguaggio prega.E prece è questa che singhiozza e nega:Che di fede non è—non di perdono.E dice: Vecchio, hai lavorato indarno:Indarno il sangue hai dato:E piangesti e non fosti consolato,E dolcezze non ebbe il corpo scarno.E dice: L'implacabil malattiaChe infesta la risaia,Che nei tugurî senza sol si sdraia,Mista d'odio, di fame e di pazzia,L'implacabile e scialba malattiaTi prese, ebete, nudo,Affranto; e nel rigor d'un verno crudoTi condusse a la morte.—Così sia.—Spiran con te, dovunque, a mille a mille,I tuoi compagni.—IntantoCommove l'aria, da lontano, un cantoDi guerra, e squarcian l'ombre auree faville:È un grido a l'avvenir d'appassionateCoscïenze in tumulto,È un affannoso accorrere, un singultoFierissimo d'elette alme inspirate:A colpi d'ascia ogni menzogna è spenta:Splenderà il Sol domaneSovra le gioie e le grandezze umane,Sovra la terra da l'amor redenta!....... Ma tu, vecchio, non odi.—È la tua salmaRigida come pietra:Fra i cenci e l'abbandono, ignuda, tetra,S'agghiaccia in atto di sdegnosa calma.Niun può ridar lo spento soffio a questaMateria tua!... la bellaDi giustizia e d'amore opra novellaChe le infamie del secolo calpesta,Che i brandi spezza e infrange le catene,Del sangue tuo succhiatoGoccia a goccia dal solco derubatoNon renderà una stilla a le tue vene;Non una sola ai venerandi e fortiCompagni tuoi, traditiDa la terra e sotterra seppelliti.Ora e in eterno.—Chi risveglia i morti?...
Io vidi in sogno, come vanni d'aquilaBelle, giganti e fiere,Elevarsi del Sol fra i lampi torridiPiù di mille bandiere.Mai non arrise ai verdi campi e a l'aurePiù luminosa aurora:Cielo e mare avvolgean fiamme d'incendioNel delirio de l'ora:Salia dai boschi e da le zolle un palpitoDi forza germinale,E largo il vento, come il sogno a l'anima,Dava a le fronde l'aleE i lucenti vessilli in alto ascendereCome trofei di gloriaIo vidi, e ognun parea cantare a l'auraD'un popolo l'istoria.Crivellati di palle erano, e laceri,Con l'aste mutilate,Come trafitti da pugnali innumeriIn mischie disperate;Chiazze nere e vermiglie e fumo e polvereNe copriano i colori:Polve di schioppo o di mitraglia, e giovaneSangue di gladiatori;E molti d'essi, a l'orïente roseoAssurgendo giganti,Nel maestoso volo avean terribiliSuoni di ceppi infranti.Ad un tratto (era sogno) da un magneticoSoffio d'amor sospinti,Dimentichi de l'epiche battaglie,Dimentichi dei vinti,Tutti si strinser quei vessilli in crocco,In universo abbraccio,E fu di pianti, di memorie, d'anime,Di spemi e forze un laccio;E non rimase ne gli azzurri spazii,Vivido al par di fiamma,Sciolto a le brezze come velo d'angelo,Che un unico orifiamma;E a lui, balzando da gli antichi ruderi,Da le pianure intriseDi sangue, da l'orror dei morti secoli,L'umanità sorrise.
Eppur ti tradirò.—Verrà ne l'oraChe di mistero avvolge e terra e mar,Un demone dal vasto occhio di fiammaLa mia fronte a baciar.Ed io, tutta vibrante e tutta bianca,Tremando scenderò da l'origlier;E seguirò ne l'ombra il maestosoPasso di quell'altier.Egli susurrerà sul labbro mioCose sublimi che l'ignoto sa.—E dal mio petto e dal mio cor, dinanziA l'âtra immensità,Liberamente sgorgheranno i cantiDi quel dèmone al soffio avvivator:I canti che singhiozzan ne la morte,Che ridon ne l'amor:Che sul tumulto dei dolori umaniParlano di speranza e di pietà,Schiudendo l'invocata e folgorantePorta dell' al di là ;Che san tutte le colpe e tutti i sogni,Che squarcian d'ogni frode il bieco vel:Che son fatti dei gorghi d'ogni abisso,Degli astri d'ogni ciel!...Oh, non esser geloso.—Oh, non strapparmiA quell'ora d'ardente voluttà:A quell'ora di gioia e di follìaChe solo il genio dà!...Come prima, sommessa e innamorataA le tue braccia mi vedrai tornar:Smorta nel velo dei capelli scioltiIl tuo bacio implorar.E la mia fronte candida, che soloSfiorò de l'estro il labbro vincitor,Come timida fronte di bambinaTi dormirà sul cor!...
Folla e tumulto.—SpingesiE s'accavalla al par d'onda sovr'onda,Torrente irrefrenabileChe abbatte con gigante urto la sponda:Mare in tempesta, unanimeFiorir di sogni e battere di cuoriAffratellati: bacioDi cruente memorie e di doloriIn una sola, trepidaGioia che accende i petti e le pupille;Che lancia ai glauchi spaziiRisa, speranze, cantici, faville;Che va fra cielo e popoloSu l'ali di magnetiche parole:Che sfolgora per l'aereCoi fulvi raggi del novello Sole..... Silenzio.... è l'ora.—ScindesiLa folla in due compatte ali frementi:Serpe nei cori un brivido:Tra il solenne sfilar dei reggimenti,Tra l'ondeggiar dei candidiVessilli ai venti radïosi e puri,Tra il suon degl'inni e l'epicoClangor dei bronzi e il rullo dei tamburi,—O Eroi di Marzo, o fumidaAncor di sangue patria visïone!...—Lento un corteo di feretriS'avanza su gli affusti di cannone.E in un con le reliquieDa la notte di lunghi anni redente,Alta ne la memoria,Viva nel cuore de le turbe intente,Passa l'Iddia terribile,L'Iddia vermiglia de le barricate,Che, inerme ed indomabile,Per vie ruggenti e piazze disselciate,Al lampo degli incendii,Ebbra di sangue e polve e fumo e schianti,D'un avvilito popoloFece ad un tratto un popol di giganti;E il quinto giorno un magicoGrido innalzò di gioia e di vittoria:—Qui comincia l'Italia!...E un'ampia le rispose eco di gloria!.... Silenzio.—I morti sognano:Ne le bare che passan lentamenteUn riso erra, dolcissimo,E culla e bacia quelle forme spente.—Per Essi ora la patriaA l'aulente suo crin tesse ghirlande:Per Essi da' suoi fertiliGiardini al mondo arride, onusta e grande:Per Essi, per le lacrimeDegli occhi loro, pel sangue che i fortiLor petti a rivi sparsero.Per quell'immenso amor!...—Sognate, o morti.—*
La patria è grande.—ImperanoSovra l'umido pian di Lombardia,Furie dal negro artiglio,La fame, la pellagra e l'anemia.Da le brumose e fetideMaremme, da l'incolto Agro Romano,Da le ruine càlabreProrompe, disperato, un pianto umano.A cento a cento, i siculiSchiavi, nei pozzi de la zolfatara,Trovan fra le veneficheAure il pane, l'ergastolo e la bara.Mentre, fidando, partonoDa le materne vacillanti bracciaBaldi e robusti militiDi novi servi e d'afri allori in traccia,Là fra le accese sabbieDei deserti, a dar morte ed a morire,Là su le terre steriliIl vessillo a piantar de l'avvenire,Languono ovunque l'italePlebi, ed ovunque la miseria piange:«Pane, pane» singhiozzanoDonne e bimbi; ma a scoglio erto si frangeCome spuma d'OceanoChe rimbalzando su di sè ripiomba,La strazïata e supplicePrece dei vinti, ed a sè stessa è tomba.In basso e in alto sfasciansiLe fedi e van le coscïenze infrante:Taccion nei fiacchi spiritiI santi affetti e le collere santeMa, come invitta quercia,Libera Italia sta!...—Non vi svegliate,O Morti.—Ora e nei secoliIl vostro sogno trïonfal sognate,Che ne la rossa mischiaA voi mordenti il fango de la via,In canto di letiziaIl rantolo mutò de l'agonia.
in Val Ganna
Senza gloria di marmi e senza croce,Qui ove giunge al tuo cor, lieve su i venti,De l'alpine freschissime sorgentiL'eterna voce;Qui fra i macigni ruïnosi e foschiGuatanti dal silenzio de le altureI vellutati pascoli e le oscureLinee de' boschi;Qui, solingo, sdegnoso, abbandonato,Dormi in eccelso oblìo presso le stelle,Ferreo Titano de l'idea, ribelleCome sei nato!...Errar ti vider queste vette e questeBoscaglie, un giorno: quando a le tue nudeTempie battea lo spirto audace e rudeDe le tempeste;E il sangue acceso fumido ondeggianteIn larghe ondate al cerebro fluiva,Pòlline sacro a fecondar la divaIdea balzante.A l'opra, in lotta con l'informe creta,Ti vider questi cieli e queste valli,Del marmo e degli ignivomi metalliSire e poeta;E gli aquiloni che da l'erme cresteE dai vergini ghiacci immoti e soliPiomban, rotando in procellosi voliPer le foreste,Mugghiando a fascio ne la valle e intornoA la povera casa orribilmente,Salutarono, o Grande, il tuo fuggenteUltimo giorno.Qui dunque resta, o Grande, ora e per sempreLungi da i molli rètori bugiardi.Larvàti in fronte e nel ferir codardi!...Ora e per sempreSotto i baci dell'èriche il profondoTumulo giaccia senza cippo o nome!...Tutta Val Ganna il glorïoso nomeSinghiozza al mondo.Passino sul tuo capo albe e tramonti,I sogni e gli astri de le calme sere,E le battaglie de le nubi nereIn groppa ai monti;Passin gli spirti de le rocce, i cantiDe la luce, i letarghi de le nevi,I rimbombi de l'alte acque e de' greviMassi frananti:Assorba, assorba il tuo vigor d'Iddio,E in raggio lo trasmuti, in tronco e in fioreQuesta che t'arse d'indomato amoreTerra d'oblìo.—— Val Ganna, settembre 1893.
Ricordo.—Era il Dicembre:La campagna apparìa smorta di neve,Irta di ghiacci.—L'alba tersa e lieveAnimava il silenzio.A l'orïente gelidoIl sol rifulse: e allor, trasfigurata,La neve palpitò come baciata,E si fè tutta rosea:Sovra le rame squallide,Su l'erbe vive ancor, su le brughierePalpitò di dolcezza e di piacereNel mattino purissimo.
Io la vidi.—Sul volto estenüatoL'insonnia tormentosaUn sudario di tomba avea calato.Era scalza, disfatta.—Sui ginocchiTenea l'ultimo nato.I suoi capelli, un dì sì neri e folti,M'apparver tutti grigi.Cadeano a ciocche, ruvidi, disciolti,Irritati.—Nessuno ella guardavaCoi folli occhi stravolti;Nemmeno i figli.—Intorno, a bassa voce,Si parlava del morto.Inghiottito l'avea, presso la foceDel tristo fiume, a l'improvviso, un gorgo....Dio! che agonia feroce!...Bello: trent'anni: i muscoli possenti,Come sculti nel bronzo.L'avean cresciuto i balsami tepentiDe le patrie boscaglie, i nembi, il sole,I lieti inni de' venti!...Ed or?...—Certo ei, sott'acqua, avea lottatoCon furore d'istinto,Palmo per palmo, oncia per oncia.—E urlatoCerto avea, con demente urlo d'angoscia....Poi più nulla.—Annegato.—.... Ella non ascoltava.—Un fisso, acutoPensier la rimordea:Per sè, pei figli il queto pan perduto,Il forte braccio inerte, il focolareSpento ed il letto muto;E la miseria, la miseria!...—Ai campiDunque, gracile donna,O fischi il vento o sia che l'aura avvampi,Alla zappa, alla vanga.—Ora sei sola,Niuno v'ha che ti scampi!...Alla risaia dunque, alla risaia,Ove il capo percoteIl sol piombante come una mannaia,Ed il mïasmo fetido s'infiltra:Penoso non ti paiaIl sacrificio.—La fatica immaneTu sempre sosterrai,Dal rodente pensier de la dimaneSpinta—pei figli, per la rozza casa,Per un tozzo di pane!...*
Già la sera calava a poco a poco:E le donne pensoseAccosciate per terra e intorno al foco,Pïamente intonarono il rosarioCon un bisbiglio rôco.Ella tacque—distratta e come stancaSpogliò l'ultimo nato.Mormoravan le donne a destra, a manca,«Ave....» e lei cadde, rigida, a ginocchi,Presso la culla bianca.
E d'inseguirti io non mi stanco mai,O sogno ammaliator de la mia vita:Tutto già mi prendesti e tutto avrai,La giovinezza ardita,I tumulti del sangue e i desiderî,L'ansie, le veglie, le preci, le lotte,Il battagliar dei vividi pensieriChe riddan ne la notte.Tutto ciò che sorride e che non mente,Tutto ciò che s'eleva e non dispera,E de l'ingegno mio triste e frementeLa luce e la bufera.E tu lasci ch'io levi a te la faccia,Ma distogli i raggianti occhi fatali:E tu lasci ch'io stenda a te le braccia,Ma non raccogli l'ali:E, attirandomi, fuggi.... e forse, quando,Bellissima di gioia e di desìo,T'afferrerò, da l'imo cor sclamando:—Ho vinto e tu sei mio,—Sazie le brame, tisica la fede,Spenta l'illusïon, rotto l'incanto.Cadrai, rovina inutile, al mio piede,Come un balocco infranto.
A me dintorno la città sorgea,Desta a la prima aurora.La gran città che nutre e che lavoraNel sole a le giganti opre movea.Era un gridìo di chiare voci ignote,Un fluttuar di suoni,Un aprirsi di porte e di balconi,Fischi di treni, turbinar di rôte:Era l'accorrer gaio e vïolentoDi mille forze umaneVerso il lavor che dà salute e paneE innumeri vessilli affida al vento.Tutto avea luce, palpiti, sorrisiDi festa mattinale,Ogni cosa parca sciogliesse l'ale,Speme e gioia ridean su tutti i visi,Quand'io lo scôrsi.—Era possente.—Il voltoPallido di pensieroNobilmente s'ergea con atto fieroSul bronzeo collo da ogni fren disciolto:Collo di tauro, petto di selvaggio,Guardo e parola ardita:In quelle vene un rifluir di vita,Vampe d'amore e vampe di coraggio!...Sonante il passo, come un vincitore,S'avanzò, nella luce.E a me disse il mio cor: Non forse è un duce?...Non forse, in mezzo a l'infernal clamoreD'un'officina, splendido nel saio,Egli soggioga i mostriCh'ebber dal genio umano artigli e rostri,Alma di fuoco e muscoli d'acciaio?...Non forse in lui la fonte d'energiaZampilla, prepotente,Che riviver farà questa languenteÊra, gialla di vizio e d'anemia?...Oh, dolce, dolce esser la sua diletta....Attenderlo, la sera,Presso il desco frugal, con la sinceraAnsia gentile di chi amando aspetta:Dolce coglier da lui, siccome il giglioBianco da l'ape d'oro,Il bacio di chi sa lotta e lavoro.Esser tutto il suo bene, e dargli un figlio:E in questo figlio bello ed innocenteChe la virtù paternaPossegga, un voto, una speranza eternaRiporre, e i gaudii de l'età cadente:E sognare per lui continüata.Ne i secoli venturiLa razza degli indòmiti, dei puri,A luminosi dì predestinataLa schietta razza dei redenti schiaviChe mieterà fra i cantiMessi di libertà nate da i pianti,Dal sangue e dalle viscere de gli avi.
Mentre del Sol di giugno i raggi effusiCon infrenata voluttà d'amoreBaciano i fiori largamente schiusi;Mentre da l'aure in fiamme e dal fulgoreDei sommi cieli a le campagne pioveDi giovinezza un trionfal vigore,Il contadin ne la sua terra smoveL'ardue zolle col nitido strumento,E a pacata canzone il labbro move;E va de la canzone il ritmo lentoCol pispiglio dei passeri e l'olezzoDei fieni, su l'errante ala del vento.Di fianco a l'uscio de la casa, al rezzo,La tranquilla compagna offre il bel senoAl suo lattante, con materno vezzo:Sgorga, fonte purissima, dal pienoPetto, la vita: succhia avidamenteIl fanciullo: fiorisce al ciel sereno,Nel meriggio, dinanzi a l'innocenteLetizia de le cose e a la vittriceOpra dell'Uomo, il gruppo, santamente:Ride Natura intorno, e benedice.
A Nice Turri.Clair de Lunedi Beethoven.Passa pel chiuso salottoil brivido cupo dell'ombra:i tasti animati singhiozzanosotto le dita tue bianche, o Nice,e tu sei vestita di biancocome un fantasma.—Suona.—*
O Pallida, o Pallida, io so che ben presto morrai,che quando la tosse t'affannaritiri dal labbro la tela macchiata di rosa.Tu non mi parli, suoni:non vedo il tuo volto, non vedogli occhi sognanti ove langue un desìo di carezzeove par che una lagrima tremisempre:vedo l'abito bianco,vedo i lunghi capelli di seta,e sento l'anima, l'anima,l'anima tua, Nice!... vibrar ne le note.*
È Beethoven.—Quand'egli creavala solenne armonia,tu non vivevi, Nice, io non vivevo:ma ciò che l'artista creatutto il mondo lo beve,lo fa sua carne e suo sangue:ed ora, più di qualunque parola,questa musica diceciò che tu senti, ciò che io sento.—Suona.*
Narran gli accordi gravil'occulta rovina del corpo tuo così bello,minato dal male:narran la tua gioventù che non vuole morire,narran che tu sei sposa,narran che tu sei madre,che il bimbo tuo balbetta le prime vezzose parole,e che per lui, per luit'aggrappi alla vita!...*
Narran gli accordi graviche mentre tu passi lasciando nel mondo l'amoreio vivrò disamata.O Nice, ancora vent'anni, ancora trent'annidovrò trascinare nel mondo,sola!...Poi che amore ti chiamavivi, e lascia ch'io, non rimpianta, muoia!...*
Tu non volgi la testa:non vedo il tuo volto, non vedoi tuoi occhi sognanti ove langueun desìo di carezze,ove par che una lacrima tremisempre.—A terra mi prostro e bacio l'abito biancoio umana a te divina,a te che domani morrai.E dicon gli accordi gravi:Tu che resti nel mondo, tu che invochi l'amore,non perder tempo, non perder tempo, ama:ama chi soffre e non spera:tu debole e solapei deboli e i soli diventa robusta e possente:fa che la gelida mortedischiuda al tuo corpo la fossaquando l'animadivisa in frementi brandelli,sciolta in milioni d'atomi luminosi,abbia già baciatele dolci anime sole, piangenti su la terra:ama, l'amore è infinitopoi che infinito è il dolore.
S'io potessi per sempre soffocareQuesta voce che sorge dal profondo,E piange, piange senza mai cessare:Oh, s'io potessi soffocar nel fondoDe la coscienza e non udir più maiQuesta voce che sorge dal profondo!...Però ch'essa mi dice: No, giammai:Non vedi che cammini ne la notte?...Chi ti schiara la via?... Bada, cadrai:Sei sola, sola ed hai le membra rotte,E niuno ha fede in te: non vincerai,Non vedi che cammini ne la notte?...—
Va dunque, o libro austero,Di rogo eterno luminosa fiamma,Ch'io m'illusi, in un sogno battagliero,Di regger alto come un orifiamma!...Va.—Tu mi porti viaL'anima a brani.—Ora che tu sei nato,Sento il peso glacial de l'agoniaSul cerebro e sul cor.—Vissi—ho creato.—È la fine del dramma,È il vuoto, è la rinuncia ultima, oscura.O libro nero a lettere di fiammaUn suggello sei tu di sepoltura.
Ammiro i Forti che, baciati in fronteDa bocca sovrumana,Anelanti a più fulgido orizzonte,A un'altezza sovrana,I sorrisi del genio, i lampi, i cantiEbbero e le follìe,E sepper tutti i voli e tutti i piantiE tutte le armonie;E lanciaron dal culmine a l'intentoMondo sacre parole;E moriron fra un sogno ed un concentoCirconfusi di sole.Amo i Ribelli che, morsi nel cuoreDa un'angoscia suprema,Avvinti da un divin laccio d'amoreA chi piange, a chi trema,Ai maledetti che Gesù redenseE i fratelli han tradito,Per terra e mare fra le turbe immenseNova legge han bandito;E disser l'inno delle età venture,Sublimi nel delirioDe l'ideale; e, ceppi o corda o scure,Sorrisero al martirio....... Ma piango il sangue del mio cor sui GrandiDe la tenèbra.—SonoGli Affamati, gli Oppressi, i Venerandi,Che tregua nè perdonoEbber da la natura empia e nemica,E pur non hanno odiato:Che per altri fiorir vider la spica,E non hanno rubato:Che bevver fiele e lacrime, vilmenteFrustati in pieno visoDa l'ingiustizia cieca e prepotente,E pur non hanno ucciso:Che passaron fra i geli e le tempeste,In basso, ne l'oblìo,Senza sol, senza pane, senza veste,Ed han creduto in Dio:Che uno strato di paglia per dormireInfetto e miserandoEbbero, e un ospedale ove morire,E sono morti amando.—
.... E sale, e sale.—Con sinistro romboS'accavalla nel buio onda sovr'onda:Qual torrente d'inchiostro urge a la sponda,E trema l'aria, pavida, al rimbombo.È la fiumana dei pezzenti.—E sale,—Son cenci e piaghe, son facce scarnate,Braccia senza lavor, bocche affamate,Cuori gonfi d'angoscia.—E sale, e sale,E con sè porta un greve tanfo umano,Il tanfo dei tuguri umidi, infetti;E un grido erompe dai dolenti petti:«Dateci il nostro pane quotidiano.»—Ma ognuno a la gran voce è sordo e cieco.—L'immota calma che precede i lampiDel tonante uragan pesa su i campi,E il fiume ingrossa, il fiume avanza, bieco:I granitici, immensi argini atterra,Lordo di sangue, livido di pianto:Domani, in nome d'un diritto santo,Mugghiando allagherà tutta la terra........ Ah!... l'ora è sacra.—Una virtù d'amoreInfinita, immortal come il Creato,O forti, può guarir quel disperatoCumulo di miserie e di dolore:Basterebbe che incontro a le diserteAnime singhiozzanti i vincitoriMovessero fra siepi alte di fiori,Benedicendo con le braccia aperte.Fine
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Brugna. Nome popolare di quella stanza de l'Ospedale Maggiore di Milano, ove si pongono i cadaveri prima dell'autopsia o del funerale. |
Nota dei trascrittori
I seguenti refusi sono stati corretti (tra parentesi il testo originale):
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